Da EUROPA del 19 dicembre 2006:
«La cosa migliore da fare in questo momento è andare a nuove elezioni».
A parlare è Elias Zananiri, consulente della Palestinian Peace Coalition e rappresentante in Palestina dell’Iniziativa di Ginevra, un accordo di pace non ufficiale siglato nel 2003 da esponenti della politica e della società civile israeliani e palestinesi.
Cosa pensa della decisione di Abu Mazen di indire elezioni anticipate?
La decisione di indire nuove elezioni compete al presidente, il cui potere viene direttamente dal popolo. Il popolo ha eletto Abu Mazen due anni fa perchè fosse il presidente di tutti i palestinesi, e la sua decisione è un modo per uscire democraticamente dalla difficile situazione in cui ci troviamo.
Secondo la Basic Law, il popolo è la fonte del potere e spetterà a lui decidere se vorrà adottare la linea di Abu Mazen oppure quella di Hamas: la cosa migliore da fare in questo momento è andare a nuove elezioni e lasciare al popolo la libertà di esprimere la propria volontà.
Lo scontro fra i miliziani di Hamas e quelli di Al Fatah è sempre più violento, tanto da far temere lo scoppio di una guerra civile. Pensa che si arriverà a un conflitto aperto? Non c’è una guerra civile in Palestina.
Il popolo palestinese non è diviso in gruppi etnici o religiosi che si combattono l’uno con l’altro. Non c’è una guerra civile e non ci sarà. Hamas, che non vuole le elezioni, cerchèrà di imporre la propria volontà, il proprio programma fondamentalista islamico, su tutti i palestinesi.
I leader di Hamas potrebbero usare la propria autorità di governo sui territori palestinesi come strumento di pressione sulla popolazione, ma non credo che lo faranno. Devono capire che hanno vinto le elezioni per governare e non per continuare ad agire come un’organizzazione criminale. Hamas sta provando a imitare la Mafia, senza rispettare i principi che accomunano tutti i governi democratici.
Ci saranno cambiamenti nei rapporti con Israele, in caso di elezioni anticipate?
Israele ha molte responsabilità per l’attuale situazione in cui versano i territori palestinesi, perché per molto tempo si è ostinato a ignorare la volontà dei leader dell’Olp di negoziare.
Al contrario, Israele ha scelto l’unilateralismo, si è ritirato da Gaza senza alcun accordo o negoziato con i palestinesi.
Così facendo ha contribuito a dare agli estremisti valide argomentazioni per convincere il popolo che non c’è alcuna ragione di dialogare con gli israeliani, e che si può agire unilateralmente. È precisamente questo il messaggio che Hamas diffonde fra i palestinesi: cinque anni di resistenza possono portare maggiori risultati che dieci anni di trattative.
Anche il ritiro israeliano da Gaza viene presentato come frutto della resistenza, non del negoziato. È arrivato il momento per Israele di riaprire i colloqui con Abu Mazen, l’unico interlocutore possibile per un accordo di pace.
Qual è la posizione dei governi arabi rispetto alla scelta di Abu Mazen?
So che i governi dei paesi arabi hanno già avuto contatti con il presidente, che sostengono perchè rispettano le scelte del popolo palestinese. Ora spetta solo al popolo decidere che strada prendere, se proseguire con i negoziati, come vuole Abu Mazen, cercando una riconciliazione con Israele, o seguire la linea di Hamas, che però condurrà inevitabilmente a nuovi e più feroci conflitti. Se i palestinesi sceglieranno di combattere, faranno del male, nella stessa misura, a sé stessi e al popolo israeliano.
Pensa che gli israeliani potrebbero rilasciare Marvan Barghouti, in segno di riconciliazione e di rilancio del dialogo?
Naturalmente noi speriamo che Barghouti sia rilasciato. Personalmente, non so se Israele abbia già preso una decisione in merito, dobbiamo aspettare per saperlo. Israele però deve capire che rilasciare i prigionieri palestinesi nell’ambito di un accordo con il presidente Abu Mazen è molto meglio che rilasciarli per uno scambio con Hamas. Il fatto che Israele rifiuti di rilasciare i prigionieri in seguito a un negoziato e vi sia costretto unicamente per avere indietro i suoi soldati, darà ai palestinesi il cattivo messaggio che l’unico modo per veder rilasciare i prigionieri è rapire soldati israeliani. Non vogliamo questo tipo di cose, preferiremmo veder prevalere fra i palestinesi la razionalità e la moderazione, per cui il dialogo con Israele porta a ottenere tutti i risultati che si vogliono, molto più che la violenza e l’azione militare.
Secondo lei le Nazioni Unite dovrebbero intervenire anche in Palestina, inviando una forza di pace?
Non penso che ci sia bisogno dell’invio di truppe internazionali in Palestina, perché sarebbe molto difficile stabilire quale ruolo affidare loro e fi- no a che punto un intervento potrebbe giovare a ristabilire la pace. La mia opinione è che la comunità internazionale deve innanzi tutto continuare a sostenere il presidente Abu Mazen e la sua linea politica moderata, tentando di riportare israeliani e palestinesi a riaprire i negoziati, per risolvere questo conflitto una volta per tutte.
Questa è l’unica cosa di cui abbiamo veramente bisogno.
Da AVVENIRE, un'intervista di Camille Eid ad Hassan Asfour, ex ministro delle Associazioni civili nell'Autorità palestinese.
Il titolo ( Non si può morire di fame per matenere salvo l'orgoglio) riprende la parte più propagandistica delle dichiarazioni dell'esponente palestinese: i palestinesi non stanno morendo di fame.
E' da quando è entrato in vigore il blocco dei finanziamenti al governo di Hamas che organizzazioni internazionali filo-palestinesi come l'Onu denunciano che i palestinesi "sono sul punto" di una grave crisi alimentari.
Ma gli aiuti diretti sono continuati ad arrivare, e il "punto" non è mai stato raggiunto.
Ecco il testo:
«Sotto Arafat abbiamo subito un duro blocco, ma stavolta è il popolo intero a subirne le conseguenze. Non è ammesso che la gente muoia di fame per mantenere salvo l'orgoglio. L'obiettivo deve perciò essere la fine del blocco, anche al costo di elezioni anticipate che possano sembrare incostituzionali». Hassan Asfour, ex ministro delle Associazioni civili, ha partecipato a vari round di negoziati con Israele.
È solida la tregua tra Hamas e Fatah?
Non abbastanza, ma penso che né l'uno né l'altro abbiano interesse a farla fallire. È per questo che si adoperano a non soffiare sul fuoco. Anche perché nessuno è in grado di conseguire una netta vittoria militare. Anzi, ne uscirebbero entrambi perdenti.
La pacificazione non è quindi dettata dalla ragione, ma dall'impossibilità di cancellare l'altro?
Diciamo che il clima regionale spinge in questa direzione. Le mediazioni e pressioni arabe sono tali da consigliare a tutti di evitare lo scontro militare. La delegazione egiziana ha giocato qui un ruolo decisivo nella pacificazione. Ciò non significa tuttavia che i leader palestinesi non siano consci delle loro responsabilità nazionali.
Alcuni attacchi di domenica sono stati addebitati a Hamas, che ha però negato. Ci sarebbe, secondo lei, una quinta colonna?
L'affiliazione degli uomini armati che si aggirano per le strade è nota a tutti. È naturale che i responsabili di questi attacchi non se ne possano vantare. È chiaro che a Israele farebbe comodo uno scontro interpalestinese, ma bisogna ammettere che questi scontri sono purtroppo interni.
Ogni tregua militare necessita di una soluzione politica per poter reggere. È stata individuata?
Il presidente Abu Mazen l'ha indicata con chiarezza nel suo discorso: un governo di unità nazionale o, in difetto, elezioni anticipate. Questa strategia è dettata dalla volontà di rinsaldare l'unità palestinese e non, come è stato detto, di creare ulteriori frizioni.
Hamas contesta la costituzionalità delle elezioni anticipate...
Non vorrei entrare nei meandri della Costituzione. Inutile che ci cimentiamo in gare giuridiche. Quella che va cercata è una via d'uscita politica, e non giuridica. Abbiamo il dovere morale di arrivare alla formazione di un governo in grado di mettere fine al blocco e la fame che stanno stritolando il popolo palestinese. E questo obiettivo lo si può raggiungere anche attraverso le elezioni anticipate.
L'appoggio espresso da Tony Blair e altri leader occidentali alle elezioni anticipate non rischia di presentare Abu Mazen come garante degli interessi stranieri?
Ogni Stato difende i propri interessi e basta. È comunque saputo che Abu Mazen ha le sue convinzioni politiche e ha sempre espresso idee chiare circa il processo di pace e i negoziati con Israele. Ha detto chiaramente, ad esempio, di essere contrario all'Intifada armata, ed è stato eletto in base a questo programma politico.
Quanto tempo sarà concesso all'opzione governo di unità nazionale?
Una o due settimane. Alcuni Stati della regione ci stanno aiutando a raggiungere questo obiettivo al più presto possibile.
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