La diplomazia cerca di scongiurare una crisi in Libano, la Cina accresce il suo ruolo in Medio Oriente
due analisi dall'inserto "Diplomatique"
Testata:
Data: 05/12/2006
Pagina: 6
Autore: la redazione - Gianni Ventola Danese
Titolo: Inviato italiano a Beirut - Se la Cina é invitata in Medio Oriente
Dal RIFORMISTA del 5 dicembre 2006, un articolo sui tentativi delle diplomazie internazionali di scongiurare una crisi in Libano:
Diplomazia in movimento per scongiurare l'aggravarsi della crisi libanese. Il ministro degli Esteri tedesco Frank Walter Steinmeier (Spd) ha discusso della situazione di Beirut (e di quella di Baghdad) con le autorità siriane, nel tentativo di esplorare le strade per un progresso diplomatico in Medioriente. Il ministro tedesco ha invitato i funzionari siriani a usare la loro influenza sul gruppo sciita musulmano Hezbollah per mettere fine alle proteste di piazza che mirano a far cadere il governo libanese di Siniora e per incoraggiare il dialogo politico nell'indebolito Paese dei Cedri.
Intanto, anche il governo italiano ha deciso di inviare un rappresentante della Farnesina in Libano, «per tenere un rapporto costante con le autorità libanesi», nella disponibilità «a dare una mano alla ricerca di una soluzione» per una «situazione molto delicata», come annunciato dal ministro degli esteri Massimo D'Alema, spiegando che «l'obiettivo è evitare la destabilizzazione del Paese, favorendo un accordo tra le principali forze libanesi, difendendo il fondamentale ruolo del premier Siniora», in attesa di verificare se «matureranno le condizioni per una missione politica».
A Beirut la tensione è alta, dopo l'uccisione di un giovane militante sciita in un quartiere sunnita. Saad Hariri, leader del movimento per il futuro antisiriano, che ha la maggioranza in Parlamento, si è rivolto ai suoi sostenitori perché mantengano «la calma e non accettino provocazioni». Mentre 4500 militanti dell'opposizione restano in piazza, nel centro di Beirut, chiedendo le dimissioni del governo di Fouad Siniora, prosegue il tentativo di mediazione del segretario della Lega Araba Amre Moussa. La situazione «è seria», ha affermato Moussa, che ha avuto incontri con esponenti delle principali fazioni politiche. «Siamo tutti preoccupati», ha proseguito, annunciando di aver elaborato «alcune soluzioni».
Di seguito, un articolo di Gianni Ventola Danese sul ruolo della Cina in Medio Oriente:
C'è un invitato d'eccezione in Medioriente: la Cina. La presenza di un piccolo contingente cinese di 190 soldati sminatori è un piccolo ma importantissimo segnale del futuro ruolo cinese nell'area. Secondo l'Agenzia Internazionale per l'Energia il mercato cinese sarà alimentato per il 70% da petrolio mediorientale, e questo almeno fino al 2015. Le delegazioni cinesi stanno operando una politica di accordi economici molto disinvolta, sia con alleati storici degli Stati Uniti come l'Arabia Saudita, sia con altri stati (Iran, Siria e Sudan) considerati da Washington sponsor del terrorismo. E la crescita del peso politico ed economico della Cina nell'area non è affatto mal sopportata. Sami Baroudi, politologo libanese, lo dice chiaramente: «Il pericolo egemonico, il cosiddetto imperialismo, qui sono concetti associati agli Stati Uniti e all'Europa. La Cina non è vista in questo modo, gli arabi apprezzano la sua crescita economica e non la considerano come una possibile minaccia politica». Le “élite” del mondo arabo apprezzano soprattutto il modo di fare business alla cinese, senza fare troppe domande, ne' porre impellenti questioni sul rispetto dei diritti umani.
In Egitto un recente sondaggio d'opinione ha messo in luce che la Cina è considerata dal 70% del campione come la migliore nazione non araba, mentre solamente un 4% la percepisce come ostile. Le sirene di Pechino sembrano aver fatto breccia anche in un alleato storico degli Usa come l'Arabia Saudita. Non solo per le immense prospettive commerciali che la Cina porta in dote, ma anche per ragioni più prettamente politiche. Il regno saudita guarda a Pechino per controbilanciare il ruolo statunitense, la cui storica alleanza soffre di un logorio che ha antiche origini ma che si è acutizzato dopo l'11 settembre. E non è un caso che il re Abdullah, di ritorno da un recente viaggio in Cina, l'abbia descritta come «una nazione veramente amichevole». Significative parole. Ma è soprattutto in Iran che la Cina insegue un ambizioso piano di strategie e relazioni economiche, cercando a fatica di non farsi travolgere dalla crisi internazionale sulla questione nucleare che oppone Teheran al resto del mondo, anche se la repubblica islamica non potrà di certo aspettarsi che la Cina, per garantire la sua diplomazia di pace, faccia valere il diritto di veto contro eventuali sanzioni dell'Onu sacrificando così le preziose relazioni economiche con l'Occidente.
Il potere politico della Cina in Medioriente si va quindi affermando con tutte le sue contraddizioni. Non è da escludere, infatti, che la sua politica totalmente pragmatica potrebbe farne in un futuro prossimo un alleato scomodo nella stessa misura degli Stati Uniti. Ma la parola d'ordine oggi è una sola: pacificare. In questa prospettiva si può anche leggere il drastico freno alle esportazioni di armi e di tecnologie militari cinesi nella regione. Pechino, al pari di Washington, considera reale la minaccia di Al Qaeda, in particolare di quei gruppi che sostengono militanti fondamentalisti nel nordovest della Cina, nella provincia di Xinjiang Uighur. Per questo la missione di peacekeeping affidata al contingente cinese in Libano ha un significato che va al di là della cronaca. L'affetto e la fiducia della popolazione libanese la Cina se li sta conquistando anche sul campo: dalla fine del conflitto con Israele sono già migliaia le cluster bomb bonificate dagli sminatori venuti da oltre la Muraglia.
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