Dal RIFORMISTA del 7 novembre 2006:
Per tre anni, convinti atlantisti hanno guardato con orrore mentre i rapporti tra Francia e Stati Uniti peggioravano. A partire dall'11 settembre, i due paesi hanno personificato in un certo senso la crisi dell'alleanza atlantica, culminata nella Guerra in Iraq. Le relazioni politiche tra i due paesi hanno influenzato anche i rapporti commerciali e la produzione culturale, con un'ondata di antiamericanismo in Francia e una reazione antifrancese in America. Ma nonostante le tensioni e le divisioni, Francia e America sono state riportate l'una tra le braccia dell'altra da un inatteso attore: la Siria.
La Francia ha da sempre una relazione speciale con il Libano ma nel caso di Jacques Chirac, questa relazione era resa ancor più forte dai suoi legami personali con il Premier libanese Rafiq Hariri, un miliardario che ha contribuito più di ogni altro con il suo denaro e con il suo impegno politico alla ricostruzione del Libano dopo la fine della Guerra Civile. L'America, dal canto suo, faceva del Libano un perno della sua strategia di democratizzazione del Medio Oriente. Non colpisce dunque che, nonostante le differenze tra Washington e Parigi su questioni come l'Iraq, l'Iran, Palestina e Israele, sul Libano le due capitali si siano trovate in sintonia, specie dopo il 14 febbraio 2005, quando Hariri, ormai non più premier ma lanciato nella guida del movimento libanese contro l'occupazione e l'interferenza siriana nelle sorti del paese, morì dilaniato da un'autobomba. Da allora, la Siria si trova sulla lista nera sia a Parigi sia a Washington.
Affaire Hariri. L'assassinio di Hariri ha giocato un ruolo centrale nel rapprochement tra Francia e Stati Uniti portando i due paesi a cooperare efficacemente nella loro comune strategia d'isolamento della Siria e di pressione su Damasco per il ritiro siriano dal Libano. E' stata la pesante interferenza siriana in Libano a produrre un accordo diplomatico franco-americano per le risoluzioni Onu 1559 e 1680, accordo che ha permesso, l'estate scorsa, che Francia e Stati Uniti trovassero un compromesso diplomatico - formulato nella risoluzione 1701 - per porre fine alla guerra tra Israele e Hezbollah. Questo fronte transatlantico antisiriano si è ulteriormente rafforzato a causa della mutata percezione strategica francese del programma nucleare iraniano, che nel corso degli ultimi due anni si fa sempre più improntata a considerare l'Iran una minaccia strategica. L'intersecarsi di queste due agende ha creato una cooperazione franco-americana molto forte che si contrappone alla frattura emersa all'indomani della guerra in Iraq e in grado, potenzialmente, di rinsaldare l'alleanza atlantica su un comune obbiettivo, di salvare il governo libanese guidato da Fouad Siniora dal tentativo congiunto di Hezbollah, Siria e Iran di sostituirlo con un governo antioccidentale e filosiriano.
Francia e America affronteranno però due problemi nelle prossime settimane e mesi, nel loro tentativo congiunto di salvare il Libano dalla morsa dell'asse Teheran Damasco: innanzitutto, esiste l'errata percezione europea della Siria - la convinzione cioè che offrendo opportuni incentivi ai Siriani si può rompere l'asse e isolare Teheran, riportando Damasco più vicino all'Occidente, contribuendo a stabilizzare il Libano e applicando quest'influenza benefica anche al contesto israelo-palestinese. Il secondo problema, che è più che altro un problema francese, è il complesso rapporto che la Francia ha con l'Iran e che potrebbe mettere a rischio la presente coordinazione francoamericana sul Libano e la Siria.
Il nodo del Golan. Partiamo dalla prima questione. Il caldeggiamento del dialogo con la Siria parte dall'erroneo presupposto europeo che Damasco richiede, per cambiare rotta politica, di riprendere il negoziato con Israele per riacquistare la propria sovranità sulle alture del Golan. Un rinnovo del processo di pace, così ragionano gli europei, darebbe ai siriani il Golan in cambio di una cessazione del sostegno siriano a Hamas e alla Jihad islamica, e un'interruzione del flusso d'armi e rifornimenti che da Damasco vanno a Hezbollah in Libano. Tale cambio di rotta dunque avrebbe il benefico effetto di stabilizzare il teatro israelo-palestinese tagliando le gambe ai gruppi radicali palestinesi e di promuovere la pacificazione del Libano attraverso i buoni uffici di Damasco, evitando alle forze Unfil l'ingrato compito di imporre l'ordine sancito dalla risoluzione 1701 con le cattive. In più, così si ragiona in Europa oggi, Damasco dovrebbe svincolarsi dall'Iran in cambio del dialogo e della pace, isolando così Teheran e rendendo meno arduo il compito della comunità internazionale di creare un'alleanza inclusiva del mondo arabo moderato in funzione antiraniana. Il problema è che il prezzo del dialogo per Damasco non è quello proposto dagli Europei. Damasco non può rinunciare all'alleanza strategica con Teheran perché essa oggi più di ogni altra cosa garantisce la sopravvivenza del regime siriano e perché gl'investimenti economici iraniani, la cooperazione militare strategica e l'influenza culturale e politica dell'Iran sono preponderanti in Siria. Per Damasco il costo di allontanarsi da Teheran è più alto dei benefici offerti dall'Europa. E in quanto all'oggetto del desiderio siriano, non delle alture del Golan si tratta, ma del Libano. La Siria probabilmente potrebbe contemplare una posizione diplomatica meno antioccidentale, ma solo in cambio del Libano, servitole su un piatto d'argento. E comunque rimarrebbe alleata di Teheran. Per questo dialogare con la Siria è futile e la lunga fila di dignitari europei in visita a Damasco recentemente indica l'irresponsabilità o l'incomprensione europea dei veri interessi siriani.
I francesi sono gli unici che resistono alla tentazione del dialogo con Damasco, perché dopo l'assassinio Hariri sanno bene che a Damasco non esiste alcuna volontà di cambiar rotta sul Libano. Ma Parigi oggi ha un altro problema: ha una robusta relazione commerciale con l'Iran e dispiegando i propri soldati nell'ambito dell'Unifil-2 in Libano con un limitato mandato che non permette di raggiungere gli obbiettivi preposti dalla risoluzione 1701, l'Europa - con la Francia in testa - ha consegnato migliaia di ostaggi a Hezbollah, e quindi all'Iran. Questa mossa intempestiva e mal meditata comporta un potenziale prezzo altissimo per l'Europa e potrebbe limitare la capacità di manovra francese sul teatro libanese. Nell'ora del bisogno, Siniora potrebbe scoprire che i suoi alleati francesi sono meno in grado d'aiutarlo di quanto la loro retorica suggerisce.
Prospettive. Cosa si può fare per rimediare? L'Europa deve imporre chiare precondizioni alla Siria per dialogare: intanto, la Siria dovrebbe demarcare il confine libanese - da essa mai riconosciuto - aiutando tra l'altro a risolvere la questione delle Shaaba farms. Che siano i siriani, insomma, a risolvere il problema, visto che tra l'altro l'Onu ha già decretato, sei anni fa, che ha ragione Israele in merito. Eppoi la Siria dovrebbe aprire un'ambasciata in Libano e inviare un ambasciatore a Beirut, riconoscendo così la sovranità del Libano una volta per tutte. Non si tratta di precondizioni esagerate o eccessive. Riconoscere un paese arabo limitrofo e demarcarne la frontiera non solo è in sintonia con le risoluzioni Onu sul Libano che l'Europa ha votato, ma mostra la buona volontà della Siria in merito.
Inoltre, l'Europa dovrebbe rinegoziare il mandato Onu per l'Unifil, magari meditando una missione Nato parallela per il pattugliamento della frontiera. Il disarmo di Hezbollah non serve solo a stabilizzare il Libano e salvarne il governo filoccidentale, ma priva l'Iran di un'arma pericolosa contro l'Occidente e rimuove la minaccia contro le truppe Unifil incaricate di aiutare il processo politico libanese di fare il suo corso. L'accettazione siriana di un pattugliamento più aggressivo dimostrerebbe anche la buona fede siriana in tema di disarmo di Hezbollah. Gli Stati Uniti, in difficoltà in Iraq, difficilmente potranno assumere un ruolo più attivo in Libano nei prossimi mesi, ma gli interessi francesi e americani, per non dire di quelli europei, combaciano sul Libano e sulla Siria e i passi falsi fatti nell'autorizzare la missione Unifil e nell'offrire incentivi politici ed economici a Damasco senza contropartita sono ancora reversibili.
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