Gli Stati Uniti come Saddam, il fondamentalismo che minaccia Robert Redeker come le opinioni "islamofobe" del professore, l'Europa colpevole di non esercitare la sua critica contro gli Stati Uniti, impegnati a difendersi nella guerra al terrorismo.
Sono le opinioni del poeta "siriano parigino" Adonis che il quotidiano Il RIFOMISTA candida, in un articolo firmato da Luca Mastrantonio, al premio Nobel per la letteratura.
Visti alcuni dei precedenti (Fo, Pintor, Saramago...) potrebbe già essere un progresso.
Ecco il testo:
Da Benigni all’Accademia di Svezia il passo può sembrare cronologicamente breve, ma in realtà è profondo. Adonis, infatti, era tra i poeti citati nel film la Tigre e la neve di Roberto Benigni, un sussidiario lirico-pacifista per anime belle. Cattiva ma fedele testimonianza, in realtà, dell’incapacità della poesia,intesa in maniera scolastica, di venire compresa e di incidere realmente sul presente, cui corrisponde, d’altronde, l’incapacità dei lettori o persino degli amici personali di capire i poeti:nell’unica scena importante del film,il poeta iracheno d’adozione parigina, interpretato dal mai banale Jean Reno, prima di suicidarsi, veniva sorpreso a correre in una moschea, dopo aver professato per anni il suo ateismo. Ora Adonis è dato tra i favoriti del Nobel per la letteratura, che verrà assegnato all’inizio della seconda metà di ottobre e,come tutti i favoriti degli anni passati, potrebbe non vincere. Però ha tutte le credenziali geo-politiche per ricevere un premio “politicizzabile”. La bio-bibliografia di Adonis, un mix di lirismo arabo e anti-fanatismo musulmano, parla chiaro. Nato nel 1930 a Kassabeen, in Siria, Ali Ahamd Said adotta lo pseudonimo di Adonis all’età di 17 anni,studia filosofia alla St. Joseph University di Beirut, dove ottiene il dottorato nel 1973. Dopo che nel 1955 viene imprigionato per la sua attività politica come membro del partito socialista siriano,si trasferisce in Libano, acquisendo la cittadinanza libanese. Dal 1960 ad oggi, prima di stabilirsi definitivamente a Parigi, ha insegnato a Beirut e Damasco. Oltre alle numerose raccolte poetiche - tra cui Memoria del vento - che lo hanno di fatto collocato quale caposcuola dei nuovi poeti arabi,Adonis pubblicato molte raccolte di saggi,tra cui La preghiera e la spada .Ultimamente,Guanda ha mandato in libreria Oceano Nero, dove Adonis dà ancora volta prova della sua capacità di mettere a fuoco le questioni che riguardano l’Occidente e il mondo arabo-musulmano attraverso illuminanti paradossi: «Se leggo Rimbaud, non so se debbo definirlo occidentale o orientale. (...) Tutti i grandi creatori hanno forse superato i limiti dei cosiddetti Occidente e Oriente ».Perché se l’io è un altro,come diceva Rimbaud,l’io non può definirsi senza l’altro:«L’unità nel profondo è lacerazione e scissione.Lo stesso altro risiede in fondo all’io. Perciò non c’è separazione senza incontro». Insomma, Oriente e Occidente sono categorie geo-politiche che variano, come varia la geografia,come varia la politica. Quello che rimane è il rapporto di relazione che ogni incontro, fosse anche in alcune sue parti uno scontro, comporta. Dal livello epistemologico a quello storico. Ci si deve, d’altronde, modernizzare (originale) per ravvivare la tradizione (originario) e non aver paura del nuovo (l’estraneo). Adonis invita a considerare il ruolo geo-politico di un paese più per il progetto che ha sul futuro che non per il retaggio del suo passato.Un passatismo che spinge molti arabi ad emigrare - una vera e propria «fuga dei cervelli» - nell’Occidente edonistico e iper-tecnologico che sfrutta questo capitale umano che i regimi arabi spesso non sanno mettere a frutto. L’intento di Adonis è di squarciare il velo di ipocrisie “del” e “sul”mondo arabo-islamico. Centrale è il paragrafo «Velo e geografia del paradiso».Adonis, Corano alla mano, sostiene che «il velo non è uno dei pilastri dell’Islam», perché non ci sono riferimenti espliciti, come invece per la preghiera, il digiuno, l’elemosina, il pellegrinaggio,il jihad (la difesa dell’Islam).E’ una «questione semireligiosa », sintomatica di un sentimento di mortifera nostalgia da parte degli arabi-musulmani fondamentalisti: «L’attaccamento al velo sembra rivelare una strategia politica e sociale che mira a legare il presente a un passato illusorio da un punto di vista religioso ». Una specie di Eden musulmano, un paradiso in terra.«Come si fa,allora, a non dire che questa visione religiosa patriarcale-maschilista cancella la donna come essere, come soggetto? Come si fa a non dire che la sua esclusione in vita non è altro che una sorta di morte in vista di una vita eterna nell’aldilà, cioè in eterno senza velo?».Ma nella vita terrena, chiede Adonis,«non sembra una prigione provvisoria, una forma di timore in attesa di incontrare la libera femminilità, l’eterna verginità? ». Non combattere contro il velo, sostiene Adonis, significa «favorire un’arbitraria interpretazione religiosa, la cultura dell’ignoranza e della repressione che impedisce alla donna di partecipare al movimento della società in teoria e in pratica.Favorire l’arretratezza e ostacolare l’amara lotta delle società arabe per separare religione e stato, per realizzare la democrazia e affermare i diritti umani di libertà, giustizia e uguaglianza senza distinzione tra uomo e donna». Per Adonis, con il velo, «nella vita terrena l’uomo trasforma la donna in proprietà privata, in un letto, una dimora o un giardino. Non è altro che un’anticipazione teatrale di come sarà la sua vita nell’aldilà». Spesso Adonis usa categorie estetiche per meglio rappresentare, altre volte esprimere, la realtà. Così l’11 settembre è l’apoteosi di una riedizione mediatica del «teatro della crudeltà di Artaud»,anzi,con Baudrillard, del «teatro del male». E alla retorica del male, prodotta da Bush, Adonis non risparmia critiche, soprattutto sulla arbitrarietà del cosiddetto «asse del male». Il titolo del paragrafo è eloquente: «Questione irachena o questione americana?» e Adonis dà prova di lasciare da parte il nominalismo (fascio- islamismo sì, fascio-islamismo no) per entrare con disincantata vis nella polemica.Adonis chiarisce che «Estirpare il regime iracheno era una questione questione urgente e una necessità e culturale (...) E’ stato, come gli altri regimi fascisti e tirannici, una peste che divorava la vita degli uomini (...)».Ed è stato, scrive Adonis nel paragrafo «Democrazia delle bombe e dei missili»,un regime «indifendibile»,come tanti,forse tutti, sostiene Adonis, i regimi arabi: «Ma non c’è forse in ogni regime arabo qualcosa di Saddam? Il regime e i suoi seguaci vengono prima del paese e del popolo, sono al di sopra di loro». Detto questo, più e più volte, Adonis, però non crede che gli Stati Uniti fossero la risposta giusta,non si sono comportati tanto meglio (oltre ad aver derogato ai propri stessi principi universali con una «guerra per scelta,non per necessità», quale è stata la guerra in Iraq, figlia di interessi geo-politici più che di un mero movente petrolifero): «Ti occupo per salvarti? Ti riduco in schiavitù per darti la sovranità?» Così Adonis avanza il dubbio, retorico, che nella guerra in Iraq «c’è una certa analogia con la teoria araba di regime: ti metto in prigione per darti la libertà». Un conclusione molto più efficace di quello che sembrava il dettato dell’inizio del paragrafo: «Con la guerra anglo- americana in Iraq sono state completate le basi su cui si reggerà il predominio israeliano del mondo arabo (...) verrà consentito a Israele di scrivere una nuova storia per il mondo arabo e questa provincia americana diventerà la capitale-centro degli Stati Uniti nella loro nuova forma imperialistica». Sul piano bellico,per Adonis,la democrazia è un pretesto che si dovrebbe auto-confutare, perché la guerra in nome di un altro popolo ma contro lo stato di quel popolo è antinomica alla stessa democrazia. Non si esporta con le bombe,ma solo con un piano sostenibile e reale di sviluppo economico e culturale. Come sa bene l’Europa. Per questo, secondo Adonis, ingiustificatamente colpevole nel non svolgere il suo ruolo di coscienza critica.
Su Adonis, riportiamo un interessante articolo pubblicato dal FOGLIO il 18 agosto 2006, significativamente intitolato "Adonis, il coccolato (e premiato) esule siriano che ci dà di terroristi":