Pessimi consigli a Condoleezza Rice
sul quotidiano, riguardo al Medio Oriente, ormai trionfa l'irrealismo
Testata:
Data: 05/10/2006
Pagina: 7
Autore: Paola Caridi
Titolo: Condi in Palestina, senza capire dove va la regione
Paola Caridi consiglierebbe a Condoleezza Rice di leggere e meditare il documento firmato da 135 premi nobel ed ex capi di stato per raggiungere la pace in Medio Oriente sulla base dello schema più volte fallito "terra in cambio di pace".
Per fortuna, crediamo, Condoleezza Rice conosce direttamente una realtà mediorentale ben diversa da quella descritta da  "pacificatori" forse benintenzionati ma velleitari e pericolosi.
Nel Medio Oriente reale ci sono stati che vogliono distruggere Israele e organizzazioni teroristiche decise a sabotare qualsiasi pace, le concessioni territoriali non sono utilizzate per costruire stati ma per lanciare nuovi attacchi,  Israele ha provato più volte a raggiungere una soluzione di compromesso, senza riuscirvi per l'intransigenza della controparte.
Nel Medio Oriente reale esistono il fondamentalismo, il totalitarismo e il terrorismo. Nel Medio Oriente  reale Israele è costretto a difendersi.
Nel Medio Oriente reale la pace verrà quando i suoi nemici avranno capito che non possono cancellarlo dalla faccia della terra.
Ecco il testo:


Gerusalemme. Chissà se, nel suo breve viaggio verso Ramallah, Condoleezza Rice avrà avuto il tempo di guardare fuori dal finestrino, e osservare quanto rapidamente stia cambiando il territorio attorno a Gerusalemme. Tra Gerusalemme e Ramallah, appunto. I lavori da parte israeliana per terminare entro l'anno la cintura attorno alla città sacra per le tre religioni, erigendo il muro di separazione, fervono. Così come continuano a ritmo sostenuto i lavori per creare strade riservate ai coloni ebrei, diverse se da quelle che rimarranno ai palestinesi, e - denunciano le associazioni israeliane come Peace Now - proseguono anche le nuove costruzioni dentro le colonie attorno a Gerusalemme.
Chissà, anche, se il segretario di Stato americano avrà avuto il tempo di leggere e digerire il documento che l'International Crisis Group di Bruxelles ha deciso di far uscire proprio in contemporanea con il viaggio mediorientale della Rice: un documento breve, conciso accompagnato da un ben più lungo elenco di 135 firmatari con pedigree. Ex capi di Stato, ex premier, ex ministri degli esteri, nobel per la pace: gente, insomma, del calibro di Jimmy Carter, Desmond Tutu, il Dalai Lama, Michael Gorbachev, Shirin Ebadi.
Le poche righe del documento tracciano il disegno di un nuovo Medio Oriente, diverso da quello che l'amministrazione Bush vorrebbe realizzare. E dicono che, nel periodo “peggiore” vissuto dalla regione, occorre raggiungere una «ricomposizione globale del conflitto arabo-israeliano». Basata - la ricomposizione - su ormai desuete parole d'ordine: l'applicazione delle vecchie risoluzioni dell'Onu, dal 1967 a oggi, e dei successivi piani di pace. Con tre obiettivi: «sicurezza e totale riconoscimento dello Stato di Israele entro confini riconosciuti dal punto di vista internazionale, la fine dell'occupazione per il popolo palestinese in uno Stato vivibile, indipendente e sovrano, e la riconsegna del territorio perduto dalla Siria».
Difficile, certo, pensare che un progetto del genere possa avere successo, nonostante le firme vip. Ma altrettanto irrealizzabile sembra il disegno di Condi Rice e dell'amministrazione Bush nel suo complesso, quello di una ricomposizione della crisi mediorientale facendo affidamento sugli otto paesi che Washington ha deciso di coinvolgere: Egitto, Giordania e il consiglio del Golfo (Arabia Saudita e Qatar compresi). Tutti paesi, se si esclude il Qatar, che stanno mostrando da anni la loro debolezza interna, e che non possono sostenere del tutto la politica americana nel mondo arabo, se non a prezzo della loro sopravvivenza a medio termine.
Tanto è vero questo, che sono stati gli stessi otto paesi riuniti al Cairo a dire alla Rice che se non si risolve - in maniera equa - il conflitto israelo-palestinese non si risolve nulla. Così, il segretario di stato americano è arrivato a Ramallah con poco da offrire: chiedendo a Hamas di collaborare con Mahmoud Abbas e promettendo ai palestinesi di raddoppiare gli aiuti per alleviare la crisi umanitaria. Una promessa che, alle orecchie dei palestinesi, è suonata ben strana, visto che Washington viene considerato il protagonista dell'isolamento economico dei Territori palestinesi. L'atttacco non arriva solo da Hamas, che ieri - con il premier Ismail Hanyeh - ha accusato la Rice di voler ridisegnare il Medio Oriente perché risponda agli interessi americani e israeliani. Le critiche, durissime, agli americani sono quotidiane nella strada palestinese, tanto da mettere in gioco la stessa immagine di Abu Mazen, considerato troppo prono ai desiderata della Casa Bianca.
In una situazione già delicata e al limite della guerra civile, insomma, la visita della Rice non è considerata neutrale. Anzi. E questo rende il lavoro dei facilitatori interni alla politica palestinese, se ancora ve ne fossero, ancora più difficile. La scadenza per formare il governo di unità nazionale è a breve termine, secondo il sostanziale ultimatum lanciato ieri da Abu Mazen: due settimane da oggi. In sostanza, in prossimità della notte di Laylat al Khader, la notte più importante del Ramadan, quando Allah rivelò il Corano a Maometto. Altrimenti, tutto è possibile: lo scioglimento dell'attuale governo, nuove elezioni. E, sulla strada, la possibilità di un caos politico e militare che - si dice ormai anche dentro gli ambienti conservatori israeliani - potrebbe non convenire più neanche a Tel Aviv. In uno scontro tra Fatah e Hamas, scriveva ieri il Jerusalem Post, non è sicuro che il vincitore sia Fatah. E allora? Il «caos a Gaza non serve gli interessi israeliani», è la conclusione.

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