Ma la superiorità morale di Tsahal non è un mito
e le domande che Israele si pone non possono diventare una sentenza di condanna
Testata:
Data: 02/10/2006
Pagina: 7
Autore: Anna Momigliano
Titolo: Israele fa i conti con errori e debolezze
In occasione dell Yomk Kippur Israele si interroga sui suoi peccati e mette in discussione il "mito" della superiorità morale di Tsahal, scrive Anna Momigliano sul RIFORMISTA del 2 ottobre.
Ma la superiorità morale dell'esercito israeliano suoi suoi nemici non è un mito, ma una realtà.
E' chiaro infatti che forze di difesa impegnate nella difesa dei civili del proprio stato sono moralmente superiori a gruppi terroristici che intenzionalmente colpiscono i civili "nemici" facendosi scudo dei propri.
D'altro canto, interrogarsi sulla moralità della propria condotta bellica, in circostanze tragiche che sono state determinate da altri, non significa, per un paese,  smentire la propria superiorità morale, ma semmai confermarla con l'esercizio della critica e il richiamo ai propri  standard etici. Qualciuno s'immagina la stampa di Hezbollah porsi interrogativi sui civili israeliani colpiti?
Ecco il testo:


L' “ebreo di Yom Kippur” è una categoria molto diffusa ovunque nel mondo, che racchiude al suo interno i molti volti del mondo ebraico che, vuoi per l'assimilazione, vuoi per dei valori laici, vuoi per mera dimenticanza, riallaccia un contatto con la spiritualità solamente nel giorno più solenne dell'anno. Lo stesso vale per la consistente fetta dei cittadini israeliani che si riconoscono come “laici”, e che nello Yom Kippur trova l'unica occasione di raccoglimento: non si tratta unicamente di una solennità religiosa rispettata da tutto il paese, che ogni anno si paralizza in 25 ore di preghiera e digiuno; da sempre, in Israele, il Giorno dell'Espiazione (questo significa Yom Kippur) è anche motivo di riflessione sugli errori e sulle mancanze del paese intero e di bilancio dell'ultimo anno, che secondo il calendario locale si è appena concluso. Il Kippur diventa così un'esame di coscienza collettivo, che traghetta il paese nel nuovo anno politico e segna tutto ciò che del vecchio va lasciato alle spalle.
A poco più di un mese dal cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah – il ritiro di Tsahal dal Libano meridionale avviene proprio in coincidenza con il Kippur – sono in molte le voci che, a Gerusalemme, avvertono il dovere di rendere conto a se stessi e al mondo esterno. Nei giorni immediatamente precedenti al Kippur, l'attenzione della stampa israeliana, dimenticando per un momento la crisi politica, è stata tutta rivolta alle riflessioni sulla vicenda libanese, sulle colpe che Israele deve “espiare” nei confronti dei nemici e dei suoi stessi cittadini.
Un dato molto importante è che il mito della “superiorità morale di Tsahal” è venuto meno. A puntare il dito sulla tragedia dei civili libanesi non sono più solamente i pacifisti. Pochi giorni fa il quotidiano conservatore Jerusalem Post ha dedicato ampio spazio a un'inchiesta dal titolo evocativo, “Purezza d'armi”, sui «dilemmi morali» posti da un un conflitto dove la distinzione geografica tra obiettivi civili e militari è molto labile. «Mentre Yom Kippur si avvicina, la guerra del Nord ci ha lasciato peccati da espiare?». Dopo avere riportato le opinioni discordi di diversi settori dell'esercito e delle istituzioni, il giornalista Matthew Wagner lascia la risposta aperta, ma certo è che la “superiorità morale” non è più un mito intoccabile neppure sulla stampa conservatrice.
Come spesso accade in occasione del Kippur, per qualche ora si invertono le parti tra destra e sinistra. Così il fronte progressista, che alle perdite dei civili libanesi e all'uso controverso delle bombe a grappolo aveva dedicato molta attenzione già nei giorni del conflitto, dedica la ricorrenza a una riflessione interna sulle debolezze militari e strategiche. «Dobbiamo espiare tutte i giuramenti falsi», sostiene Israel Harel sulle colonne di Haaretz, facendo un elenco di tutte le promesse non mantenute di Israele, nei confronti di se stesso: «Ventitré anni fa avevamo giurato: non ci saremmo mai ritrovati mai nella situazione in cui ci siamo trovati alla vigilia della guerra di Yom Kippur», scrive Harel. «Eppure, confrontandoci con i palestinesi e Hezbollah, siamo venuti meno a questa promessa. Ogni volta siamo stati colti di sorpresa. In sostanza, ci siamo stupiti di noi stessi. Lo scorso anno, nonostante tutti i campanelli d'allarme, non abbiamo reagito alle provocazioni di Hassan Nasrallah [il leader di Hezbollah] e, nonostante tutti i segnali di pericolo, abbiamo consegnato a Hamas il ritiro da Gaza – in altre parole, una vittoria nell'opinione pubblica, che si è trasformata in una vittoria elettorale e successivamente nel bombardamento delle città nel Negev e nel rapimento del soldato Gilad Shalit».
Infine,un altro tema ricorrente del Kippur è la vulnerabilità di Israele , e a maggior ragione dopo la guerra del 1973 che dalla festività prende nome, quando lo Stato ebraico immerso nel digiuno e nella preghiera fu colta di sorpresa dagli eserciti di quattro nazioni arabe. Molti commentatori hanno già discusso le affinità tra la guerra del '73 e le vicende libanesi, sottolineando come il ridimensionamento della superiorità militare di Tsahal potrebbe essere ancora una volta la base di accordo di pace, come lo fu negli anni Settanta. Eppure il parallelo con la guerra del 1973 che riempie in questi giorni la stampa israeliana non riguarda le prospettive di un nuovo Camp David, ma il senso di vulnerabilità a cui lo Stato ebraico si sente esposto. In vista dello Yom Kippur, quando l'intero paese si paralizza per 25 ore diventando un bersaglio relativamente facile, le frontiere con la Striscia di Gaza e la Cisgiordania vengono sigillate per cinque giorni. Israele ha paura di nuovi attentati sul proprio territorio, ma sa anche che il vero pericolo si trova più lontano, a Teheran, e che quello che si è appena concluso è solamente il primo round.


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