Da Sabra e Chatila alle Sheeba Farms
la disinformazione non si ferma
Testata:
Data: 21/09/2006
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Autore: Il prossimo anno a Sheeba del Comitato
Titolo: Il prossimo anno a Sheeba

"Il prossimo anno a Sheeba" è il titolo di un articolo pubblicato il 20 aprile 2006 dal sito "Aprileonline".
Vi si imputa a Israele, con l'ennesima ripetizione di un falso storico, la responsabilità della strage di Sabra e Chatila, compiuta dai falangisti cristiani.
Inoltre vi si auspica che le fattorie Sheeba, territorio conquistato da Israele alla Siria, "ritornino" al Libano.
Auspicio fondato su un altro falso, il cui vero scopo è evidentemente esprimere solidarietà politica a Hezbollah, che giustifica la prosecuzione delle sue attività terroristiche proprio con la perdurante "occupazione" delle Sheeba.
Ricordiamo anche che nella zona delle Fattorie si trovano insediamenti di ebrei etiopici  e l'antica tomba di un rabbino, chiaramente a rischio di profanazioni se gli Hezbollah dovessero entrarne in possesso.
Ecco il testo:
  
Anche quest’anno il Comitato “Per non dimenticare Sabra e Chatila” ha partecipano alle celebrazioni dell’anniversario del massacro avvenuto per mano israeliana nel 1982 nei campi profughi palestinesi alla periferia di Beirut, durante l’occupazione del paese: numerosi attivisti, fotografi e giornalisti hanno preso parte all’iniziativa lanciata sei anni fa da Stefano Chiarini, giornalista de Il Manifesto e che quest’anno ha voluto esprime cordoglio alle famiglie delle vittime dell’ 82 e a quelle dell’ultima guerra che ha causato morti e messo in ginocchio l’economia.

Il Libano è un piccolo paese al centro di tensioni enormi: i missili israeliani lanciati da Olmert e dal “laburista” Perez sono caduti su numerosi villaggi al Sud del paese, nella Valle della Bekaa e su interi quartieri della capitale seminando morte e distruzione, e la vista di quanto accaduto rende evidente che non si è trattato di “missili mirati” alla liberazione dei soldati rapidi da Hezbollah, il partito di Dio ormai a pieno titolo forza nazionale libanese protagonista della resistenza anti-israeliana: l’azione militare di Tel Aviv era tesa a mettere in ginocchio il paese, a umiliarlo, causando molte vittime civili; e colpendo le infrastrutture, dalle centrali elettriche ai ponti, fatti crollare a centinaia, si sono rese ormai difficilissime le comunicazioni.

I villaggi letteralmente rasi al suolo sono disseminati di bombe a grappolo – ne sono state sganciate più di un milione, un vero e proprio crimine contro l’umanità per il quale i vertici del governo israeliano devono essere giudicati - che aspettano un qualsiasi contatto per poter esplodere. I sindaci di Tiro, Sidone, Baalbeck, i maggiori centri colpiti dopo Beirut a cui siamo andati a portare la solidarietà del Comitato, denunciano il ritardo degli aiuti e l’isolamento. Come ci ha spiegato efficacemente il sindaco di Tiro – città che ha contato 500 morti tutti tra i civili -, i medici che dovevano effettuare gli esami autoptici sui cadaveri sono stati inviati dopo quaranta giorni dall’inizio dei bombardamenti: quei corpi erano già in uno stato avanzato di decomposizione, mentre la nave italiana carica di aiuti non ha ottenuto l’autorizzazione all’attracco dal governo di Beirut, cioè è stata rimandata indietro per “motivi burocratici”!

Il Libano ha una storia complessa e drammatica, costellata dalle occupazioni israeliane e dai morti di una guerra civile che sembrava infinita: tuttavia, questo piccolo paese che si affaccia sul Mediterraneo, era riuscito, tra mille contraddizioni, non ultima quella di un sistema istituzionale ingessato nella spartizione religiosa delle cariche, ad uscire dal periodo buio, trovando formule efficaci di riconciliazione e di ricostruzione materiale di un tessuto produttivo. Questa ripresa è stata spezzata dall’ultima aggressione, una lezione chiara ad un paese che tenta faticosamente la sua via dell’indipendenza.

La presenza delle truppe dell’Unifil è ben accettata da tutte le forze libanesi, come ci ha spiegato il Capo dello Stato Emile Lahoude ricevendoci nel suo palazzo situato sulle colline e che gli israeliani, grazie alla sua posizione strategica, usavano durante l’occupazione come luogo privilegiato di controllo. Anche una delle voci più autorevoli del paese, quella di Nabil Qaouk, responsabile politico-militare del Sud del Libano, ha dato il ben venuto all’Unifil due: il capo avvolto dal turbante bianco, un mantello grigio sulle spalle, Qaouk ha detto che le forze Onu “non hanno niente da temere” purchè non pretendano di applicare un’ interpretazione forzata della risoluzione 1701, cioè “le armi della Resistenza non si toccano finchè ci sarà un paese, Israele, che mette a repentaglio la sicurezza del Libano”. “L’Italia è un paese nostro amico” ha aggiunto “quando è stato deciso di ritirare le truppe italiane dall’Iraq i nostri cuori si sono aperti e più l’Italia dimostrerà di non essere strumento dei piani statunitensi più apriremo le porte dei nostro cuori”. E salutandoci sulla spianata dove sorgeva la ex prigione militare di Khiam, simbolo della Resistenza di Hezbollah contro l’occupazione, oggi completamente rasa al suolo dai missili di Tel Aviv, ci offre un esempio della determinazione libanese a non diventare colonia di altri: invitandoci ad ammirare la bellezza dei paesaggi e guardando le Fattorie di Sheeba che sorgono proprio di fronte a Khiam, ancora occupate dai soldati con la Stella di David, ci dice che forse il prossimo anno, quando il Comitato “Per non dimenticare Sabra e Chatila” tornerà in Libano, ci riceveranno proprio lì, in quel loro fazzoletto di terra dove oggi gli è impedito di mettere piede.

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