La Turchia va in Libano... con l'appoggio di Hezbollah
dichiarato dall'ayatollah Mohammad Hussein Fadlallah
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Data: 07/09/2006
Pagina: 7
Autore: LUCIA STELLA
Titolo: Ankara va in missione grazie a un ayatollah
Dal RIFORMISTA del 7 settembre 2006:
Ankara. Il governo di Recep Tayyip Erdogan ha appena superato una prova molto importante, ottenendo l’approvazione della missione in Libano. Eppure, secondo i più, le difficoltà maggiori sono ancora tutte a venire. Riunito in seduta straordinaria, il parlamento turco ha dato martedì sera il placet definitivo alla partecipazione delle truppe alla missione di pace Unifil. La votazione si è svolta in una atmosfera infuocata, mentre nelle strade della capitale migliaia di manifestanti protestavano contro l’impegno delle truppe in Medio Oriente. Il documento autorizza l’invio di una unità navale per il pattugliamento delle coste libanesi e per l’addestramento dell’esercito libanese, ma lascia la porta aperta anche ad un eventuale dispiegamento di truppe di terra per missioni umanitarie. La grandezza del contingente non è stata specificata ma il ministro degli Esteri Abdullah Gül ha parlato di non più di mille uomini. Il voto parlamentare ha chiuso per il momento il dibattito sull’opportunità della missione che ha coinvolto non solo il mondo politico turco ma anche opinione pubblica e media nelle scorse settimane. Mai decisione fu più controversa nella storia recente della Turchia. Dall’estero l’apprezzamento e il sostegno per la partecipazione di Ankara alla forza di interposizione è pressoché unanime. Il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, che proprio ieri era in visita in Turchia a conclusione del suo giro in medio oriente, ha elogiato apertamente la scelta del governo e ha dato assicurazioni circa le caratteristiche della missione sul punto considerato nevralgico per la Turchia, ribadendo che il disarmo degli Hezbollah non incombe alle forze dell’Onu. Durante la conferenza stampa congiunta il premier turco Erdogan ha sottolineato come in Libano non si può ottenere un risultato soltanto stando a guardare o discutendo e che la Turchia vuole adempiere fino in fondo al suo impegno storico e umanitario nel processo di pace: «Per questo abbiamo deciso di contribuire alla forza Unifil».
Le ragioni del governo e dei fautori dell’impegno in medio oriente sono ben chiare e legate essenzialmente a una visione di politica estera e del ruolo della Turchia nella regione. Come ha affermato il ministro degli esteri durante il dibattito parlamentare: «La stabilità in questa area fa parte dell’interesse nazionale della Turchia. La sicurezza nel mediterraneo orientale è per noi di cruciale importanza, non possiamo rimanere indifferenti mentre i paesi europei, dalla Francia al Portogallo decidono di inviare le loro truppe». A ciò si aggiunge il surplus di credibilità e di influenza che la partecipazione turca alla missione di pace fa guadagnare ad Ankara nei confronti dell’Europa, proprio nel momento in cui il cammino della Turchia verso l’unione europea sembra essere entrato in una fase di stallo. Eppure, anche se Erdogan e Gül sono evidentemente riusciti con un sapiente lavorio di persuasione a convincere i deputati dell’Akp - il partito di Erdogan che in altre ha dato prova di una notevole autonomia rispetto alla linea di governo - a votare uniti in favore della mozione, all’interno del paese la decisione ha incontrato una feroce opposizione, legata a considerazioni di politica interna e al groviglio di interessi e di umori che caratterizza la Turchia di oggi. I partiti di opposizione (Chp e Anavatan), che hanno tutti votato contro l’impegno in Libano, considerano che la missione non risponda agli interessi della Turchia e che sia troppo rischiosa per i soldati. E’ l’appello ad un isolazionismo teso a rafforzare l’unità e la sicurezza interna del paese.
Non è esclusa, però, anche una opposizione di principio alla politica del governo in carica, a qualche mese dalle elezioni. Il sentimento generale nella popolazione, condiviso probabilmente anche da una parte del mondo politico, è che la missione corrisponda essenzialmente agli interessi degli Stati Uniti e di Israele e che la Turchia finirà per essere coinvolta in una operazione fondamentalmente anti-Islam, con il rischio che le truppe possano trovarsi nella situazione di dover aprire il fuoco contro i correligionari musulmani.
Non a caso tra gli argomenti che, secondo la stampa, hanno convinto i deputati Akp a dare il loro appoggio alla missione vi è anche la dichiarazione favorevole dell’Ayatollah Mohammad Hussein Fadlallah, leader spirituale di Hezbollah. Secondo i sondaggi il 75% della popolazione si oppone all’invio di truppe in Libano e considera che l’esercito dovrebbe occuparsi soprattutto di combattere i separatisti curdi. E’ l’opposizione viscerale che sale dalle piazze, il sentimento di insicurezza provocato dalla lunga serie di attentati nelle piccole e grandi città turche, dallo stillicidio delle morti di soldati nelle regioni orientali. Inviare truppe all’estero è visto come sinonimo di ulteriori lutti e provoca la decisa opposizione popolare. Il giorno dopo la decisione del parlamento anche la stampa è divisa nel commentare il risultato del voto. E tra gli opinionisti che ancora esprimono dubbi l’argomento principe è proprio quello dei rischi legati alla missione: «Spero che non riceveremo dolorose notizie dal Libano..» scrive Yalcin Dogan su Hurriyet, mentre per Ece Temelkuran , su Millyet resta «incerto fino a che punto la forza di peacekeeping sia sinonimo di pace»
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