Da RAGIONPOLITICA, un articolo di Paolo della Sala pubblicato il 2 settembre 2006:Il lettore si prepari: le notizie non sono delle migliori. Si parla di Venezuela, dove regna Chavez, uno dei peggiori dittatori di questi anni, leader del binomio con Ahmadinejad. Il fatto è che i legami tra Iran (che a sua volta vorrebbe guidare il «nuovo Islam» jihadista) e Venezuela sono ormai così stretti che l'America Latina appare destinata a diventare il Libano del secolo. Non si tratta di una boutade, purtroppo. Nel continente sudamericano vi sono otto milioni di musulmani, in buona parte sciiti. Si pensi che nell'intero Libano la popolazione è di appena 4,5 milioni. Si obietterà: non si può fare la solita equazione emigrazione=criminalità=terrore. Giustissimo: è un fatto che ogni gruppo politico, religioso, etnico, può ospitare ideologie criminali. E' avvenuto nell'Italia delle Brigate Rosse. E' avvenuto nel Libano di Hezbollah. Sta avvenendo nell'America Latina. Eppure nessuno tra i brillanti giornalisti dell'Unione vi dirà che nel Venezuela (in questi giorni Chavez effettua una visita non casuale in Siria), si è incarnato un nuovo «partito di Dio» con matrici iraniane, e con lo scopo dichiarato di combattere il sionismo e l'imperialismo yankee. L'organizzazione ha ramificazioni in tutto il subcontinente americano. Il partito filoiraniano nel Sudamerica è piccolo, ma ricordiamo che anche Hezbollah in Libano, agli inizi, era una formazione sparuta. La crescita è avvenuta grazie ai finanziamenti iraniani, che non mancano mai, in Medioriente, come in Africa e oggi in America. Le organizzazioni latinoamericane sono collegate a una matrice unica, divisa tra Venezuela e Argentina (era argentino Norberto Ceresole, consigliere di Videla e Chavez, uno dei primi socialfascisti a innamorarsi della rivoluzione iraniana in nome di un radicale antisemitismo). Si tratta di Autonomia Islamica, alias Musulman Wayuu, alias Hezbo-Allah America latina. La definizione completa è «Partito politico militare islamico della America Latina hezbo-Allah». Sono organizzazioni piccole, ma ben foraggiate dal Medioriente e certo incoraggiate dal caudillo venezuelano. Cosa ne penserebbe il nostro ministro degli Esteri, se lo sapesse? Su una pagina web si preannuncia un attentato jihadista in Argentina, da effettuarsi contro una azienda «americano-giudaica» e definito come «incruento». Nei siti di Hezbo-Allah abbondano le foto di gruppo con divise militari, armi. Uno dei motti del gruppo presente in una provincia venezuelana è «una religione che non combatte contro l'oppressione è una religione incompleta». Infatti c'è la chiamata a combattere la «santa jihad contro gli infedeli». Gli ebrei venezuelani e sudamericani sono molto preoccupati, hanno manifestato davanti alla agenzia Onu col solo risultato di ritrovarsi fotografati e schedati. Una protesta del Centro Simon Wiesenthal non ha sortito effetto alcuno, tanto che Hezbo-Allah dichiara di non avere nulla a che fare con Ahmadinejad né con la «Repubblica bolivariana» venezuelana. Tuttavia il sito argentino MalasNoticias (in «lotta contro la giudeofobia nei media») riporta una fotografia di Hezbollah Libano, per mostrare quello che appare come un saluto romano, effettuato dai militanti di una organizzazione che per i pantocrati di Bruxelles non sarebbe terrorista né violenta. Army of Allah Venezuela sostiene la necessità delle armi: «E' finito il tempo della neutralità, della passività e dell'indifferenza che oggi vive l'Islam con i musulmani di tutto il mondo. I musulmani latini sottoscrivono la carta della Jihad latinoamericana, a lato dei nostri fratelli arabi». Folclore? Uno dei motti presenti nei siti della organizzazione Hezbo-Allah Venezuela è particolarmente esemplare. In esso si prescrive: «Le attività politiche sono un obbligo religioso». In altre pagine si scoprirà l'identità tra «militante», «proletario» e «mujahidin». Tutto lascia pensare che Ahmadinejad e Hugo Chavez stiano pensando a una nuova religione mondiale, al di là del comunismo e del cattocomunismo, ma anche al di là dello stesso Islam. Si tratta di una filosofia integrale e totalitaria, sintesi estrema dell'altermondialismo e del paradiso in terra, frutto della Jihad rosso-verde. Una eresia globale di grande rilievo storico, antropologico, religioso e politico.
Sempre da RAGIONPOLITICA, riprendiamo un'analisi di Sefano Magni sull'esito della guerra libanese e sulla minaccia iraniana, pubblicata il 31 agosto:Chi ha vinto la guerra nel Libano? Considerando che Israele non ha raggiunto nessuno dei suoi obiettivi (disarmare Hezbollah, uccidere Nasrallah, liberare i suoi ostaggi), si può facilmente concludere che Israele abbia perso la guerra. Il mito dell'imbattibilità delle sue forze armate è stato drammaticamente infranto. Questo per quanto riguarda il breve periodo. Ma nel lungo periodo? Solo in futuro si potrà valutare chi è stato il vero vincitore, in base a cosa accadrà nel Medioriente: se siamo in vista di una nuova guerra, magari una guerra regionale, allora si potrà dire che questo piccolo conflitto locale è stato una sconfitta per Israele e una grande vittoria per il movimento jihadista; se ci attende un futuro di pace e di stabilità, allora vorrà dire che Israele ha vinto. Non ci si deve nemmeno far ingannare da eventi temporanei apparentemente importanti: non dimentichiamoci che solo 7 anni dopo gli accordi di Oslo (1993), che parevano aver posto termine alla guerra israelo-palestinese, nel 2000 è scoppiata la II Intifadah e da quel momento in poi il Medioriente, la jihad globale e il terrorismo sono diventati una preoccupazione quotidiana per tutti noi. In Israele, Binyamin Netanyahu avverte che siamo alla vigilia di una guerra più estesa. La guerra in Libano è da intendersi solo come una prima prova generale, deliberatamente scatenata dall'Iran, per testare la reattività di Israele e della comunità internazionale. E' fuor di dubbio che l'Iran abbia partecipato attivamente alla guerra, inviando armi e consiglieri a Hezbollah. Il piccolo esercito irregolare ha fatto ampio uso di tecnologia militare moderna: visori notturni, aerei senza pilota, missili antinave sono entrati in azione in modo molto visibile. Tutta la tecnologia militare impiegata è un prodotto iraniano. E non è un caso che, all'indomani della fine della guerra, l'Iran abbia condotto le manovre militari «Fendente di Zolfaqar», pubblicizzate ampiamente dalla stampa internazionale, così da mostrare a tutto il mondo la sua preparazione militare e il suo livello di avanzamento tecnologico. L'editorialista del New York Sun Kenneth Timmerman ha opportunamente paragonato la guerra nel Libano alla Guerra di Spagna: un primo banco di prova per la macchina da guerra di Hitler e un test in grande stile delle reazioni internazionali di fronte a un'aggressione. L'Iran ha sempre dichiarato il suo obiettivo di breve termine: portare a termine il suo programma nucleare. L'ostentazione della forza militare serve, nell'immediato, a dissuadere una reazione militare occidentale contro il suo programma illegale. Se nemmeno l'esercito israeliano è riuscito a battere una piccola succursale delle forze armate iraniane, per il regime dei mullah, adesso come adesso, non è nemmeno concepibile che, in futuro, gli Stati Uniti possano intervenire con successo contro in Iran. Se nemmeno gli Stati Uniti, nel corso della guerra in Libano, si sono mossi senza chiedere il consenso e la partecipazione di tutta la comunità internazionale, è praticamente inconcepibile un intervento unilaterale americano contro il regime di Teheran per impedirgli di portare a termine il suo programma nucleare. Ahmadinejad è sicuro di aver raggiunto il suo obiettivo di breve termine: garantirsi l'impunità. Lo stesso Ahmadinejad e tutti i suoi predecessori, hanno sempre dichiarato il loro obiettivo di lungo termine: l'annientamento dello Stato di Israele. Si può ben immaginare che la tecnologia nucleare sviluppata in Iran possa servire, in futuro, a combattere una guerra nucleare contro Israele. Questo scenario, adesso, appare molto più vicino. L'unica soluzione rimarrebbe un intervento militare contro l'Iran (sopportandone tutti gli inevitabili costi e gli orrori) o il suo rovesciamento dall'interno, in modo da prevenire un conflitto più esteso. Dall'altra parte della barricata, ci sono gli ottimisti: a partire dal premier israeliano Olmert, sono tutti coloro che ritengono l'intervento dell'Onu nel Medio Oriente come un successo. I governi che premevano per l'intervento dell'Onu temevano, fin dai primi giorni di conflitto in Libano, che la guerra contro gli Hezbollah potesse innescare un'escalation, con il rischio di coinvolgere la Siria e poi anche lo stesso Iran. La fine della guerra in Libano e l'arrivo delle truppe Onu scongiurerebbe o allontanerebbe questo pericolo. Anche il più incallito ottimista non può negare che l'Iran abbia fatto scoppiare deliberatamente questo conflitto locale: semplicemente tende a ridimensionarne le intenzioni e gli obiettivi. Questa tesi, sostenuta dalla maggioranza dei governi europei e da quasi tutti gli esperti di Relazioni Internazionali, tra cui anche un vero e proprio «guru» quale Henry Kissinger, porta ad un'unica conclusione: se l'Iran alza la posta in gioco e alimenta conflitti, è solo perché vuole contare di più. Sedando subito i conflitti locali con degli accordi multilaterali e coinvolgendo maggiormente l'Iran nelle trattative sul Medioriente, dando ascolto alle sue richieste, il comportamento del regime di Teheran potrebbe essere maggiormente «normalizzato». In quest'ottica si dovrebbe arrivare ad un equilibrio bipolare nel Medioriente: Israele e Iran, entrambe potenze nucleari, in grado di spartirsi l'influenza nella regione. Se Ahmadinejad spara a zero contro Israele, con continue dichiarazioni, non lo fa perché ha intenzione di distruggerlo realmente, ma solo per fare propaganda, per contare di più sulla scena internazionale (in particolar modo nel mondo arabo-islamico) e per distogliere l'attenzione della propria opinione pubblica dalla crisi economica in cui versa il suo Paese. Anche questa visione del mondo si basa sicuramente su un fondo di verità, ma presenta parecchi problemi teorici e pratici. In primo luogo ignora il ruolo dell'ideologia iraniana, liquidandola come mera propaganda. Il regime khomeinista ha sempre mirato alla distruzione dello Stato di Israele (il «Piccolo Satana») e alla guerra contro gli Stati Uniti (il «Grande Satana»). Già una generazione di Iraniani è cresciuta su questo indottrinamento. Se finora questi obiettivi non sono stati raggiunti lo dobbiamo al fatto che il regime iraniano non ha mai avuto i mezzi per mettere in pratica le sue idee. Con l'atomica li avrebbe. Possiamo rischiare così tanto?
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