Il "nuovo Saladino" e l'"inquieto sciita"
romantici ritratti di Hassan Nasrallah e Moqtada Sadr
Testata:
Data: 23/08/2006
Pagina: 2
Autore: Umberto De giovannangeli - Giancesare Flesca
Titolo: Lo sceicco Nasrallah nuovo Saladino delle masse arabe - L’iracheno al Sadr inquieto sciita affascinato da Teheran
Umberto De Giovannangeli traccia il ritratto di un capo guerrigliero, che gli Isrealiani "considerano", un terrorista: Hassan Nasrallah, capo di Hezbollah
Sull'UNITA del 23 agosto 2006:

Giovane, ambizioso, capace di tenere insieme l'anima guerrigliera e quella sociale del Partito di Dio. Fedele ai dettami dell'Islam radicale ma anche attento a imprimere una svolta modernizzate alle poliedriche attività del movimento sciita. Esalta l'eroismo degli «shahid», i martiri della «resistenza all'occupante sionista» e tratta con le altre componenti libanesi i posti di potere all'interno del primo governo post protettorato siriano.
È tra i prediletti della guida spirituale dell'Iran teocratico, l'ayatollah Ali Khamenei, ma è anche ricevuto con gli onori di un capo di Stato dal «laico» presidente siriano Bashar el-Assad. Le istanze religiose s'intrecciano nel suo agire politico-militare con l'irredentismo nazionalista. Israele lo annovera tra i suoi nemici mortali, gli Stati Uniti lo considerano il capo di una delle più potenti organizzazioni terroristiche mediorientali, ma nel 2000 il moderato Financial Times gli ha dedicato una biografia intitolata: «Un guerrigliero con fascino». È sheikh Sayyed Hassan Nasrallah, 46 anni, leader di Hezbollah, uno degli uomini da cui dipende il futuro di pace o di guerra in Medio Oriente. La famiglia di Sayyed Hassan Nasrallah è originaria del villaggio di al-Bazouriyah, nel Sud Liban. Sayyed vede la luce e cresce nel quartiere «al-Karanteena», uno dei più poveri e degradati della periferia orientale di Beirut. Quando scoppia la guerra civile in Libano, nell'aprile 1975, la sua famiglia ritorna ad al-Bazouriyah.
Nonostante la sua giovane età, viene nominato ufficiale del movimento sciita Amal. È l'inizio di una inarrestabile carriera politica. Nel 1979 viene nominato rappresentante politico per la regione di al-Biqaa e membro del politburo di Amal. Tre anni dopo, nel 1982, insieme ad un gruppo di ufficiali e di quadri, Nasrallah si separa da Amal per «insanabili divergenze» con i dirigenti politici del movimento riguardo al modo di rispondere agli sviluppi politici e militari conseguenti all'invasione israeliana del Libano. Per Sayyed Hassan Nasrallah inizia la scalata ai vertici del Partito di Dio.
Dopo la morte del leader di Hezbollah, Abbas al-Musawi, ucciso insieme alla moglie e alla figlia da un missile Helfire israeliano, nel febbraio del 1992, Nasrallah diviene segretario generale di Hezbollah. La sua leadership coincide con l'espansione della presenza del movimento nel Sud Libano, e con l'accentuazione della resistenza armata alle forze di occupazione israeliane. Con Nasrallah, Hezbollah diviene sempre più uno Stato nello Stato libanese, capace di coniugare lotta armata e assistenza sociale, guerriglia e partecipazione alla vita politica libanese, Corano e patriottismo. Hezbollah cresce nel numero dei militanti e nei consensi elettorali. Il «martirio» entra nella sua sfera affettiva nel settembre 1997, quando il suo primogenito, Muhammad Hadi, viene ucciso durante un conflitto a fuoco con le forze israeliane a Jabal al-Rafei, nel Sud Libano. Il resto, è storia recente.
Quando nel maggio del 2000 il primo ministro israeliano Ehud Barak decide il ritiro di Tzahal dal Sud Libano, Nasrallah si proclama vincitore del potente esercito israeliano e i suoi miliziani vengono acclamati come «eroi della resistenza». Guerriglia e politica. Hezbollah non smobilita le sue milizie armate ma al tempo stesso partecipa a tutte le elezioni, politiche e amministrative, che rimodellano gli equilibri di potere in Libano. Nei giorni della «Primavera di Beirut», marzo 2005, porta in piazza un milione di sciiti. Sei anni dopo, sheikh Nasrallah è tornato a sfidare Israele e a imporre la sua leadership all'interno dell'Islam radicale. I suoi miliziani hanno tenuto testa a Tzahal, il mondo deve fare i conti con lui. Israele lo considera il primo nella lista dei capi terroristi da eliminare, intanto per le masse arabe e musulmane è divenuto il «nuovo Saladino». Sulle macerie del Libano, Sayyed Hassan Nasrallah ha costruito le sue fortune.

Sempre sull 'UNITA', afianco a quello di Nasrallah, troviamo il ritratto altrettanto ambiguo, a tratti elogiativo, comunque mai dettagliato nel raccontarne i crimini, di Moqtada Sadr. Di Giancesare Flesca:

Per capire, o meglio per tentare di capire, cosa passa per la mente dello sceicco trentaquattrenne Moqtada al Sadr, bisogna tuffarsi nel cuore della religione sciita, che lui brandisce come una clava. In effetti questa fede, e lo abbiamo visto nelle ultime settimane, ha caratteristiche da arma impropria. Esaltando l'esempio di Alì, cugino e genero di Maometto, la religione sciita nutre una particolare vocazione al martirio, che trasforma ogni fedele in una potenziale bomba umana.
La sh'ia di Moqtada Al Sadr è una religione di per sé estremista, in quanto basata sul rifiuto del potere in tutte le sue forme (una specie di Rivoluzione culturale perpetua) e su un'estrema inquietudine destinata a durare finchè non si riveli il dodicesimo Imam. Pur accettando tregue temporanee nei combattimenti, Moqtada è stato educato da suo padre Muhammed Sadiq, un importante ayatollah ucciso da Saddam nel 1999, a ignorare i compromessi della politica. Quando Komeini prese il potere a Teheran nel '79, Moqtada era ancora un bambino. Ma i racconti del padre e i frequenti incontri con sciiti iraniani che clandestinamente andavano a pregare nella città santa di Najaf scolpirono nella sua mente e nella sua memoria il film indelebile della Rivoluzione iraniana.
Negli anni successivi quegli avvenimenti scaldarono il cuore e le speranze del giovane leader religioso, che immaginava - e immagina ancora - una possibile riedizione del «miracolo di Teheran» in Iraq, dove gli sciiti sono il sessanta per cento della popolazione. Moqtada non voleva vedere gli abissi in cui la teocrazia sciita trascinava il paese anno dopo anno. La sua unica preoccupazione era di rinsaldare intorno a sé, e non al moderato ayatollah Sistani, il consenso dei fedeli.
L'invasione americana e la caduta dello «scomunicato» Saddam Hussein non trovarono Moqtada impreparato. In primo luogo, come facevano e fanno gli Hezbollah libanesi o i seguaci di Hamas, a Gaza era stata creata una rete di mutuo soccorso che andava dagli ospedali alle scuole alle case popolar, insomma una esplicita politica di sostegno ai più miseri.
A Sadr city, l'enorme periferia sciita di Baghdad, gli uomini dell'astro sorgente della sh'ia erano dispensatori di aiuti, gestori della sanità, colonne di un sistema che Saddam non era riuscito a dissolvere e che lasciava del tutto impreparati i soldati di Gorge Bush. Il tentativo americano di mettere in galera il probabile trouble-maker (il rompiscatole) si rivelò presto fallimentare. Come tutta risposta all'incriminazione per l'uccisione di un mollah nemico, Moqtada fondò nel giugno del 2003 l'esercito del Mahdi, un gruppo di cinque o seimila fedelissimi che in comune con Gandhi avevano solo il nome, perché la loro vocazione si mostrò ben presto incline alla violenza senza rispettare nessuno, neanche il capo supremo di Najaf, l'ayatollah Sistani.
Sebbene assai inferiore a lui nella gerarchia dei galloni liturgici (il suo status lo porta soltanto al terzo gradino degli studi islamici) ben presto Moqtada si trovò al vertice della comunità sciita. Si scoprì in lui un retore nato, maestro nell'arte di appiccare fuoco alle polveri. Ma col passare del tempo mostrò anche notevoli capacità politiche, non sabotando né appoggiando la creazione di un governo assai improbabile, ed evitando soprattutto di spingere il paese verso la guerra civile fra sunniti e sciiti che molti prevedevano imminente e che invece, almeno finora, non c'è stata. In compenso il suo potere nei confronti degli americani e degli inglesi è cresciuto, i suoi inviti a tornarsene a casa si sono fatti sempre più pressanti. E sulle carte geografiche si è delineato un asse sciita Beirut-Bagdad-Teheran,con tanti ringraziamenti per Gorge W. Bush e per i suoi strateghi.

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