Da La STAMPA del 21 luglio 2006, un'intervista a Shimon Peres:
L’attacco di Israele contro il Libano è stato definito «sproporzionato».
«L’accusa che la reazione israeliana sia spoporzionata è amara da mandare giù. Sparare 1,500 missili sulle case degli israeliani - missili che cadono dal cielo senza distinguere chi colpire - è proporzionato? Colpiscono scuole, ristoranti, la gente che cammina per la strada. Siamo in una situazione con quattro entità - Iran, Siria, Hamas e gli Hezbollah, due Stati e due organizzazioni terroristiche - immuni a ogni considerazione diplomatica o politica. Nessuno li può influenzare. Non vogliono ascoltare nessuno, né l’Onu, né gli Usa, né la Ue, né la Russia, nemmeno gli Stati arabi o il capo del governo libanese. E’ la prima volta che vediamo il mondo intero impotente di fronte all’Iran e alla Siria che si beffano della comunità internazionale inviando armi e denaro ad Hamas e agli Hezbollah per istigare la guerra.
Perciò Israele è veramente solo. Nessun altro li può fermare. D’altra parte, nessuno ci può difendere. Dobbiamo difenderci in un mondo dove la diplomazia internazionale ha raggiunto un punto talmente basso che gli iraniani possono beffare chiunque. E’ un mondo pericoloso dove le frontiere servono a poco contro i missili. E’ per questo che abbiamo deciso di agire in Libano. E forse possiamo dare una piccola speranza al popolo libanese perché finora l’esercito di quel Paese, 70 mila uomini, non ha potuto incidere sulla situazione degli Hezbollah. Forse riusciremo anche a restituire una qualche influenza alla comunità internazionale.
Se Israele si arrende, nessuno si opporrà più all’Iran, alla Siria, ad Hamas, agli Hezbollah e ad altri della loro specie.
Non vogliamo nulla dal Libano, che potrebbe non volere nulla da noi. Vogliamo solo vederlo unito e integro, a prosperare libero da quella struttura straniera degli Hezbollah che mette a repentaglio il destino e le vite dei libanesi.
Veniamo attaccati senza motivo. Ci siamo ritirati dal Libano, restituendo tutte le terre e le acque in base alle risoluzioni dell’Onu. Abbiamo restituito Gaza ai palestinesi. Ora ci chiedono uno scambio di prigionieri. Ma già prima del rapimento dei soldati israeliani il primo ministro Olmert aveva messo in chiaro la sua disponibilità a discuterne.
Israele non è mai stata più determinata e unita di quanto lo sia oggi, e nessuno deve fraintendere questo aspetto. Stiamo attraversando un’esperienza dolorosa. Non abbiamo la minima intenzione di arrenderci o scusarci».
Cosa c’era dietro al rapimento dei soldati israeliani? Gli Hezbollah sapevano che così avrebbero provocato Israele?
«L’Iran e la Siria hanno visto un’opprtunità d’oro a causa della paralisi nella comunità internazionale. Hanno pensato di poter aumentare la loro influenza creando tensione nella regione, senza che nessuno potesse fermarli. E’ successo proprio quando l’Iran ha respinto il compromesso con gli Usa, l’Europa, la Cina e la Russia sul suo programma nucleare».
Israele ora vuole distruggere gli Hezbollah militarmente?
«Il nostro obiettivo è fermare gli attacchi missilistici di Hezbollah e permettere ai militari libanesi di imporsi e impedire agli Hezbollah di tornare di nuovo ai confini di Israele, come stabilisce la risoluzione dell’Onu. E vogliamo il rilascio dei nostri soldati».
Da cosa dipende l’arresto delle operazioni israeliane?
«Quando gli attacchi finiranno anche Israele si fermerà».
Invaderete il Libano via terra?
«No. Il problema non è sulla terra. E’ nell’aria. Se potessimo creare una zona cuscinetto, spareranno comunque missili a raggio più ampio? Cosa impedirà a quel punto agli Hezbollah di prendere missili a gittata maggiore dall’Iran e dalla Siria?».
Annan e Blair hanno proposto una «forza di stabilizzazione» Onu da dispiegare lungo la frontiera libanese.
«Si sbagliano. Il confronto non è sulla terra, ma nell’aria. Se queste forze dell’Onu possono impedire agli Hezbollah di tirare i loro missili e razzi, serve a qualcosa. Se vogliono combattere gli Hezbollah, va bene. Ma non ha senso avere gente che da terra osserva i missili volare sopra le loro teste. E’ inutile».
Preferisce l’approccio di Bush, che ha detto a Blair che Annan deve chiamare Assad e dirgli di costringere gli Hezbollah a «smetterla con questa merda»?
«Certamente. E’ meglio che mandare osservatori. Si va da Assad e gli si dice di smetterla. Tutto è nelle mani degli Hezbollah, della Siria e dell’Iran. Anche il Libano può fermare tutto questo».
Il G8 ha chiesto a Israele di rilasciare il ministro israeliani preso a Gaza all’inizio della crisi. Lo farete?
«Il G8 ha elencato le cose da fare: prima gli Hezbollah devono fermare gli attacchi, poi rilasciare i nostri soldati catturati, e poi noi dovremmo liberare il loro ministro. Non intendiamo fare diversamente».
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Da Il GIORNALE un' intervista a Ehud Gol. L'ambasciatore d 'Israele in Italia, in realtà , non dichiara nel corso dell'intervista che "la sinistra odia Israele", come vorrebbe un titolo poco accurato.
Critica le posizioni ingiuste e pregiudiziali di alcuni esponenti della sinistra italiana, come il segretario di Rifondazione Giordano, ma afferma anche che "ci sono anche molte persone della sinistra che sono al fianco di Israele".
Ecco il testo dell'intervista:
La sua missione in Italia volge al termine. Ehud Gol, ambasciatore d'Israele in Italia, l'8 agosto tornerà in patria. «Sono felice di questi cinque anni trascorsi qui. Lascio l'Italia con un sentimento meraviglioso, una soddisfazione professionale e personale molto grande» dice al cronista che vede nei suoi occhi un velo di nostalgia e tristezza. Israele è in guerra e anche se per un diplomatico come lui vale l'insegnamento di Clausewitz che la guerra è la continuazione della politica, il fuoco del Medio Oriente è un pericolo chiaro ed imminente. Gol valuta positivamente «il dibattito di qualche giorno fa in Parlamento. È stato per me fonte di orgoglio e soddisfazione per la semplice ragione che la stragrande maggioranza del Parlamento si è schierata a fianco di Israele». Ambasciatore Gol, cominciamo proprio da Montecitorio: le è piaciuto il discorso di Massimo D'Alema? «No». Perché? «Credo che nel suo discorso non avrebbe dovuto criticare Israele. Non c'è stata guerra più giusta di questa che ci è stata imposta e ora siamo costretti a combattere». D'Alema e altri esponenti politici dicono che la risposta militare di Israele è stata sproporzionata. Cosa si intende per proporzionalità? «Veramente non capisco proprio il concetto: cos'è una partita di pallacanestro? Non soltanto in Italia, ma anche all'estero, sulla Cnn, la Bbc, Sky dicono che non c'è proporzionalità. Chi ci odia dice: sono stati uccisi duecento libanesi e solo sei israeliani. Cosa vuol dire proporzionalità per loro? Che non sono morti abbastanza israeliani? Tutti i paladini dei diritti umani che ora si scandalizzano e sono scioccati dai morti civili, fanno attenzione a quanti civili sono stati uccisi in questi giorni in Irak? Questa è un'ipocrisia terribile, arabi uccidono altri arabi nella maniera più barbara possibile, ma questo non costituisce un argomento interessante. Mentre quando gli ebrei difendono se stessi e combattono contro gli arabi che vogliono distruggere Israele, allora nasce la questione umanitaria e quella della proporzionalità». Avete lanciato una vasta campagna militare e questo inquieta. «Negli ultimi mesi, dopo l'uscita da Gaza, sono stati lanciati su Israele 1100 missili. Questo è proporzionale? Entrare in territorio israeliano e rapire soldati israeliani è proporzionale? Rapire due soldati e ucciderne otto è proporzionale?». Anche il Vaticano vi ha criticato. «Mercoledì c'è stata una terribile tragedia a Nazareth, due bambini arabi-israeliani sono stati uccisi da un razzo Katyuscia. Un razzo lanciato sulla città e qualsiasi cristiano sa cosa simboleggia Nazareth. Spero che il Vaticano si pronunci con la stessa forza contro questa barbarie. .. ma ho molti dubbi». Vi siete ritirati da Gaza, il ritiro dalla Cisgiordania con la guerra è archiviato? «In questo momento ovviamente non è più all'ordine del giorno il ritiro dalla Cisgiordania. Undici mesi fa abbiamo operato coraggiosamente il ritiro da Gaza, l'abbiamo fatto per Israele e abbiamo dato ai palestinesi un'enorme speranza. Solo se avessero colto questa opportunità, avrebbero potuto trasformare quella zona non in Hong Kong, ma in un mezzo paradiso. Anziché sviluppare l'economia, hanno eletto Hamas al governo e ripreso le attività terroristiche contro Israele». Nell'estrema sinistra c'è chi non nasconde la sua simpatia per Nasrallah, il leader degli hezbollah. «Ma ci sono anche molte persone della sinistra che sono al fianco di Israele. Hezbollah è un'organizzazione estremista nata nel 1982 con lo scopo di allontanare Israele dal Libano. Anche allora, la vita nel Nord di Israele era un inferno: attacchi terroristici, bombardamenti. Avevamo la necessità di respingere queste formazioni al di là del confine settentrionale. Hezbollah combatte da allora Israele. Oggi è guidato da Nasrallah, che è uno strumento del terrorismo nelle mani di Siria e Iran, i suoi finanziatori. Quando siamo usciti dal Libano gli hezbollah hanno continuato la loro attività e sei anni dopo la risoluzione dell'Onu sono ancora là». Il problema è irrisolto, ma Rifondazione sostiene che la risposta militare lo aggrava. «Dov'erano allora quelli che oggi criticano Israele? Il segretario di Rifondazione, Giordano, attacca quello che lui chiama “il governo di Tel Aviv”. È anche ignorante perché dovrebbe sapere che il governo è a Gerusalemme». Cosa ne pensa della proposta di un intervento dell'Onu? «La risposta è molto semplice: sei anni dopo le risoluzioni dell'Onu, la 425 prima e poi la 1559, cosa hanno fatto le Nazioni Unite? Ci possiamo fidare dell'Onu? Cosa faranno domani rispetto al nulla dei sei anni precedenti? Sei anni fa, sotto il loro naso sono stati rapiti dei soldati israeliani, Hanno chiuso gli occhi. Bombarderanno loro gli hezbollah? Mi fa sorridere tutto questo entusiasmo della sinistra estrema che è a favore della presenza italiana a Gaza e in Libano, mentre sono contrari alla missione in Afghanistan». Vogliono la pace. O no? «Queste persone non vogliono le forze militari per la pace. Parlano di pace ma sono contro la pace. Vogliono delle forze internazionali che impediscano a Israele di difendersi. La mia risposta è questa: no, grazie». Lei punta il dito su Teheran, ma c'è chi ha proposto proprio la mediazione dell'Iran. «La Rosa nel Pugno ha proposto la mediazione dell'Iran: è come se avessimo chiesto a Hitler di mediare». Anche Prodi si è messo a fare il «facilitatore» con l'Iran. «Non so se Prodi l'abbia fatto. Io so che chiedere all'Iran di mediare è come chiedere al gatto di custodire il topo. Ho sentito delle persone in Italia dire che non sono convinte sul ruolo di Iran e Siria nelle azioni degli hezbollah. Forse non credono a noi... allora chiamino il direttore dei servizi segreti italiani, Nicolò Pollari, e chiedano a lui». Dubito che credano a Pollari. «Se non si fidano di Pollari, chiedano agli americani». Dubito anche che credano agli americani. «E se non si fidano degli americani, chiedano al capo dei servizi segreti francesi. Lui spiegherà loro qual è il problema, come sono coinvolti nel terrorismo Iran e Siria». Quanto sarà lunga questa guerra? «Ieri sera ho parlato con un medico arabo-cristiano della città di Nazareth. Mi ha detto: “Ambasciatore, noi israeliani questa volta dobbiamo fare il massimo per finire questo lavoro, non possiamo lasciare questa missione incompiuta, dobbiamo distruggere l'infrastruttura degli hezbollah”. Secondo un sondaggio l'80 per cento degli israeliani è a favore dell'intervento militare». Ma in Italia e in Europa non vi risparmiano le critiche. «Chi critica Israele dovrebbe vivere in Israele non un anno, ma un solo giorno sotto la minaccia del terrorismo. La vita dei bambini in pericolo, la minaccia in agguato nei caffè, negli autobus. Così capirebbe cosa provano gli israeliani». La formula critica è: azione legittima, ma sproporzionata. «Il messaggio finale del G8, per la prima volta da anni, esprime comprensione per le necessità di sicurezza di Israele. Quasi tutti in Europa comprendono oggi che c'è un limite anche alla moderazione da parte dello Stato di Israele e ora mi attendo che l'Italia e l'Europa agiscano per inserire gli hezbollah nella lista delle organizzazioni terroristiche». Giulio Andreotti ha detto: «Credo che ognuno di noi, se fosse andato in un campo di concentramento e non avesse da cinquant'anni nessuna prospettiva da dare ai figli, sarebbe un terrorista». «Le parole di Andreotti mi hanno irritato più di qualsiasi altre. Non so cosa abbia fatto lui durante la Seconda guerra mondiale, ma certamente non è mai stato in un campo di concentramento. Non c'è nulla che faccia indignare noi israeliani più che il disprezzo delle vittime della Shoa, se fosse stato qualche volta nei campi di concentramento, saprebbe che cosa hanno passato gli ebrei. Quello che fa male è che già da cinque anni qui in Italia si celebra il giorno della memoria, il 27 gennaio, e un senatore rispettato come Andreotti ancora non riesce a comprendere che cosa è stata la Shoa. Nulla può essere paragonato alla Shoa. Dire che noi israeliani mettiamo i palestinesi in campo di concentramento è ignoranza e anche malignità».
Di seguito, dall'ESPRESSO, l'intervista a Tzipi Livni:
La voce di Tzipora Livni, detta 'Tzipi', s'incrina, leggermente, solo quando deve citare Ariel Sharon, il suo mentore. E non è un omaggio formale a un uomo che giace in coma da gennaio e si trova in un ospedale di Tel Aviv, ma la rivendicazione di una continuità politica utile a leggere quanto accade in questi giorni di guerra col Libano. La domanda era: lei è stata una delle persone più vicine all'ex premier, quanto le manca? Quanto avrebbe potuto essere utile in questa fase difficile? Sharon manca e non solo a Israele, ammette la Livni, prima di svelare: "Potrà suonare simbolico, ma nell'ultima riunione di lavoro che abbiamo avuto, proprio il giorno prima che fosse ricoverato, abbiamo discusso del nostro confine nord. A me e agli altri collaboratori ha detto: dovete chiedere con forza alla comunità internazionale di espellere gli Hezbollah dal sud del Libano, non possiamo sopportare questa situazione più a lungo. Ricordo con precisione quell'incontro proprio perché è stato l'ultimo. Abbiamo parlato della possibilità che rapissero civili o militari lungo la frontiera. Io ero ministro della Giustizia, allora". Ora Tzipi Livni, 48 anni, è il ministro degli Esteri, seconda donna d'Israele a ricoprire la carica dopo Golda Meir. Pur essendo approdata alla politica da appena una decina d'anni, mostra il cipiglio di chi è in grado di prendere decisioni difficili. Per questo nel Paese è molto popolare e la sua rapida ascesa è stata agevolata da caratteristiche personali come carisma e fascino. Il tempo per questa intervista con 'L'espresso' è stato rubato ai gabinetti d'emergenza, alle frenetiche, convulse, continue consultazioni con i colleghi dell'Occidente e del mondo arabo moderato. I lunghi capelli biondo-rossi ben curati, tailleur nero su camicetta bianca (quasi una divisa per lei), Tzipi Livni porta orecchini minuscoli, una leggera catena e un vistoso orologio d'oro. Scandisce le parole con nettezza quasi voglia che il tono coincida con la chiarezza dei concetti.