Dalla prima pagina del FOGLIO del 20 luglio 2006 un'analisi delle forze militari messe in campo da Hezbollah, sulla strategia iraniana, sui risultati dell'offensiva israeliana e sulla situazione a Gaza e in Cisgiordania.
Ecco il testo:
Se le stime effettuate dalle forze israeliane sono giuste, entro pochi giorni Hezbollah dovrebbe terminare le riserve di razzi accumulati negli ultimi anni nel Libano meridionale per poter mantenere a lungo una forte pressione sul nord d’Israele. Secondo l’Idf, il 50 per cento dei circa 12 mila razzi a disposizione di Hezbollah sono stati distrutti nei raid contro basi e depositi. Poiché in una settimana di guerra almeno duemila ordigni sono stati lanciati contro Israele, il numero di razzi a disposizione dei guerriglieri sciiti non dovrebbe essere superiore a quattromila unità, per la gran parte ordigni a più lunga gittata e con maggiore potenziale bellico come circa 500 Fajr 3 e Fajr 5, qualche centinaio di BM-27 e una sessantina di Zelzal-2 con gittata compresa tra i 45 e i 200 chilometri e testata esplosiva da 50 a 600 chili. Sono armi fornite da Iran e Siria, non molto precise, ma in grado di provocare seri danni nei centri abitati. Per questo, Tsahal ha colpito anche alcune basi dell’esercito libanese, a causa di infiltrazioni da parte di Hezbollah e dell’Iran: ci sarebbero almeno 200 pasdaran nella valle della Bekaa e tra le vittime dei raid israeliani sono stati ritrovati anche due iraniani. Hezbollah ha anche a disposizione velivoli senza pilota Mirsad, una quindicina dei quali sono gestiti in Libano dai pasdaran. Nati come ricognitori, i droni possono imbarcare una carica esplosiva da 50 chili che li rende idonei all’impiego come bomba guidata o “kamikaze senza pilota”, ma soltanto contro bersagli di un certo rilievo, poiché l’elevato costo e il numero limitato di queste macchine ne rende improbabile l’impiego su vasta scala. Calano gli entusiasmi intorno all’ipotesi di inviare una forza d’interposizione nel Libano meridionale approvata dal G8 a San Pietroburgo. Londra e Washington intendono lasciare a Israele il tempo necessario a mettere fuori gioco Hezbollah, mentre i tempi per schierare una forza del genere sarebbero lunghi e i compiti piuttosto pericolosi richiederebbero regole d’ingaggio che l’Onu difficilmente potrebbe autorizzare. In questi anni è emersa l’inefficacia dei duemila Caschi blu dell’Unifil schierati nella regione, privi di ordini per contrastare Hezbollah e sprovvisti di visori notturni per monitorare i traffici clandestini di armi diretti ai miliziani sciiti. Prosegue l’operazione “Pioggia d’estate” a Gaza. Un esponente delle Brigate Ezzedine al Qassam è stato ucciso da un missile lanciato da un velivolo senza pilota israeliano nei pressi del campo profughi di Mughazi, nel centro della Striscia di Gaza, dove sono penetrati una trentina di corazzati israeliani. Pur su scala minore rispetto al fronte libanese, le truppe israeliane stanno continuando a distruggere gli arsenali di Hamas puntando a neutralizzare soprattutto le armi controcarro e antiaeree e i centri di produzione dei razzi Qassam che bersagliano i centri del sud israeliano. Cresce la tensione anche in Cisgiordania. Lì Hamas non ha la forza militare per lanciare attacchi in grande stile come a Gaza, ma i reparti israeliani sono penetrati in forze a Nablus e Ramallah per colpire i miliziani delle Brigate Martiri di al Aqsa. In entrambi i centri gli israeliani hanno circondato il comando delle forze di sicurezza palestinesi e la sede del governatore arrestando circa 200 agenti. L’operazione sembra voler anticipare eventuali azioni offensive palestinesi tese ad alleggerire la pressioni su Gaza e il Libano. Tsahal ha richiamato tre battaglioni di truppe scelte schierate in Cisgiordania per inviarle in Libano, rimpiazzandole con altrettanti reparti di riservisti.
Tatiana Boutorline si chiede a pagina 2 dell'inserto "Come lo deve spiegare Ahmadinejad che vuole distruggere Israele ?"
Ecco il testo:
Tra poco più di due settimane Mahmoud Ahmadinejad festeggerà il suo primo anno da presidente d’Iran e avrà di che rallegrarsi. Da oscuro carneade costretto ad ammettere che “non si può essere popolari al cento per cento”, l’ex sindaco di Teheran si è guadagnato ben più di un quarto d’ora di celebrità. Mentre da un anno la comunità internazionale si arrovella tra mediazioni e sanzioni spuntate, lui i gradi li ha conquistati sul campo e lo ha fatto mirando dritto all’obiettivo: “L’Iran è sotto tiro e dovrà difendersi da un distruttivo assalto occidentale”. Per governare la tempesta, Teheran non deve cedere. Non in tema di diritti umani, perché “l’Iran non ha fatto la rivoluzione per avere una democrazia” e men che meno riguardo “all’inalienabile diritto al nucleare”. Per vincere, Teheran deve alzare la posta e rispolverare il mito della civiltà islamica esemplare: “Il messaggio della rivoluzione è globale e si rivolge all’umanità. L’era dei regimi egemonici, della tirannia e dell’ingiustizia è finita: l’onda della Repubblica islamica raggiungerà tutto il mondo”. Nessuno lo ha preso sul serio quando alla sua prima uscita pubblica ha annunciato che “una nazione che conosce l’arte del martirio non conosce sconfitta”. Nessuno si è preoccupato quando Ahmadinejad, nel pieno del ritiro da Gaza, sentenziava che “non bisogna accontentarsi di una striscia di terra” e “chiunque firmi un trattato che riconosca l’entità sionista firma la resa del mondo islamico”. Niente di nuovo nell’intransigenza iraniana verso Israele è stato detto, come se nessuno si fosse accorto che stavolta, per sopravvivere, la Repubblica islamica ha bisogno di un nemico e ha scelto Israele. Ahmadinejad si è offerto alla grande umma islamica come simbolo di riscatto.
Il 26 ottobre 2005, nel corso di una conferenza intitolata “Il mondo senza il sionismo”, il neopresidente lancia il suo primo affondo. “Come ha detto l’imam (Khomeini, ndr) l’entità sionista deve essere cancellata dalla carta”. Ahmadinejad non perde l’occasione anche per denunciare “la creazione del regime sionista, una mossa studiata dagli oppressori contro il mondo islamico”. Lo scenario dello scontro è già delineato in quella prima uscita. “Sulla terra di Palestina si deciderà l’esito di secoli di combattenti”, avverte Ahmadinejad che non trascura di lanciare un monito ai paesi islamici. “Se qualcuno di questi paesi deciderà di riconoscere il regime sionista sotto la pressione del sistema egemonico o per semplice egoismo brucerà nelle fiamme accese dalla rabbia islamica”. L’Europa è indignata, Kofi Annan costernato, ma l’Agenzia atomica preme per il dialogo e si continua a trattare. L’8 dicembre Ahmadinejad torna a tuonare. Israele è “un tumore”. Un tumore piantato nel cuore dell’islam dai paesi europei. “Ora che ammettete che gli ebrei sono stati oppressi – dice il presidente iraniano alla Mecca a margine del meeting dell’Organizzazione della conferenza islamica – perché ne devono pagare il prezzo i musulmani palestinesi? Voi li avete oppressi, quindi date un pezzo di terra europea al regime sionista perché vi stabilisca il governo che crede e noi lo sosterremo”. Si rivolge a Germania o Austria, Ahmadinejad. Ma c’è un’altra questione che lo turba: “Qualunque storico che neghi la verità dell’Olocausto in base a prove storiche è perseguitato, imprigionato e condannato”. In soccorso di tutti i negazionisti, il 14 dicembre torna a parlare di shoah: “L’Olocausto è una leggenda”, ha detto durante un discorso in diretta tv. “Loro (gli occidentali, ndr) hanno inventato la leggenda che gli ebrei furono massacrati e l’hanno posta al di sopra di Dio delle religioni e dei profeti”. Il 14 gennaio, Ahmadinejad torna alle minacce contro i vicini: “Quanti sostengono apertamente il regime occupante di Gerusalemme devono sapere che i loro nomi sono nell’elenco dei criminali di guerra e in un prossimo futuro saranno messi sotto processo nei tribunali palestinesi”. Negli stessi giorni, l’ayatollah Khamenei invita il leader di Hamas Khaled Meshaal a rifiutare qualsiasi ipotesi di dialogo con Israele: “L’esperienza degli ultimi 50 anni dimostra che piegarsi agli occupanti sionisti e tenere negoziati con loro non porta frutti, perciò la vittoria e il successo della nazione palestinese saranno raggiunte attraverso la resistenza.” Il 15 gennaio il ministero degli Esteri iraniano dice: “Per più di mezzo secolo coloro che cercano di provare l’Olocausto hanno usato ogni podio per difendere le loro posizioni – dice il portavoce Hamid Reza Asefi – Ora dovranno ascoltare gli altri”. Il 20 gennaio Ahmadinejad rinnova all’occidente l’invito ad aprire le sue porte agli ebrei, e c’è sempre Israele al centro dei suoi pensieri quando vola a Damasco per rinsaldare un’alleanza strategica con la “repubblica sorella del rais siriano Bashar el Assad. Al centro dei colloqui che sfociano in un patto di difesa c’è il coordinamento delle attività di Hamas, Hezbollah, Jihad islamico e Fronte per la liberazione della Palestina. Il 15 giugno in un incontro a Teheran tra il ministro della Difesa iraniano e il suo omologo siriano nessuno dei due nasconde le ragioni dell’intesa: “I nostri paesi – dice il siriano Hassan Turkmani – devono essere pronti ad affrontare il nemico comune”. Il 14 aprile Ahmadinejad descrive l’esistenza di Israele “una minaccia per tutto il mondo islamico”, definisce Israele “un albero rinsecchito e marcio che deve essere annientato da una tempesta. Piaccia o no, il regime sionista va verso il proprio annientamento”. Lo stesso giorno Ramadan Shaalah, segreatario del Jihad islamico, dichiara che qualsiasi attacco contro l’Iran sarà considerato anche come una minaccia contro tutti i palestinesi. L’indomani il leader di Hamas, Khaled Meshaal, a Teheran dice: “Non crediamo che Israele abbia diritto all’esistenza. E’ un corpo esterno portato nella terra dei musulmani e palestinesi. Non riconosceremo mai Israele”. Il 24 aprile Ahmadinejad ripete: “Questo regime impostore non può sopravvivere”. Subhi al Tufeili, ex segretario generale di Hezbollah, ad al Arabiya il 4 maggio 2006 dice: “Loro (Hezbollah, ndr) sono totalmente fedeli alla politica iraniana”. L’11 maggio, in un discorso a Giacarta, Ahmadinejad annuncia: “L’entità sionista, il regime di satana, un giorno scomparirà”. Il 7 luglio partecipa a una manifestazione di protesta contro le operazioni israeliane a Gaza e avverte: “L’aggressione dello stato ebraico contro i palestinesi della striscia di Gaza provocherà un’esplosione nella regione medioorientale”, dalla quale “tutti quelli che lo appoggiano nel mondo potrebbero risultare danneggiati”. L’8 luglio insiste: “Il più grande problema e la più grande minaccia per il medio oriente è Israele”. Per rimuovere il problema, “tutti i paesi della regione devono cercare di isolare il regime sionista”. L’energia e la determinazione arrivano il 12 luglio con gli attacchi di Hezbollah. Il quotidiano iraniano Jomhuri Eslami pubblica un discorso pronunciato a maggio da Hassan Nasrallah. Il leader di Hezbollah si felicita che Israele possa essere colpito dai suoi missili. “Il nostro arsenale è significativo sia in termini di qualità sia di quantità”. Valutazioni che riecheggiano il 18 luglio sulla bocca del presidente del Parlamento iraniano, Gholam Reza Haddad Adel, che loda Nasrallah: “Le città che avete costruito nella Palestina settentrionale sono nel mirino dei coraggiosi figli del Libano. Nessuna parte dell’entità sionista sarà sicura”. Più della lealtà degli Hezbollah iraniani che a Teheran aspettano “il semaforo verde della Guida suprema per entrare in azione”, Nasrallah apprezza le attività di coordinamento tra Teheran e Damasco che hanno permesso il rafforzamento del suo arsenale. Secondo i media iraniani negli ultimi mesi l’Iran ha ampliato la sua delegazione presso Hezbollah in Libano come “precauzione contro l’aggressione dell’entità sionista”. La triangolazione tra Damasco, Teheran e Hezbollah è confermata dai protagonisti. Il 13 luglio Ahmadinejad non lascia dubbi sulla portata dell’alleanza con Bashar: “Se il regime sionista fa un’altra mossa stupida come attaccare la Siria questo sarà considerato un attacco all’intero mondo islamico che risponderebbe in modo feroce”. Il 14 luglio rincara: “A dispetto della natura barbara e criminale degli occupanti di Gerusalemme, il regime e i suoi sostenitori occidentali non hanno la forza di trattare l’Iran nello stesso modo”. Il 15 luglio inveisce: “I loro metodi somigliano a quelli di Hitler. Quando il leader nazista voleva lanciare un attacco si inventava un attacco. I sionisti affermano di essere stati delle vittime di Hitler ma in realtà sono fatti della stessa pasta”. Il 16 luglio Khamenei riprende il testimone: Israele è un “tumore”, il pallido ex presidente Mohammed Khatami loda Hezbollah, “un sole che illumina e riscalda i musulmani”. Il 17 luglio il ministro degli Esteri, Manuchehr Mottaki, ventila l’ipotesi di un cessate il fuoco, l’Italia chiede all’Iran un ruolo costruttivo. L’Iran può fare e disfare. Per Ahmadinejad l’esistenza di Israele non è che un capitolo di una guerra antica tra l’islam e l’occidente. Lo ripete a ogni occasione da un anno, ma inspiegabilmente c’è chi è ancora disposto a offrirgli il beneficio del dubbio.
Michael Walzer spiega perché "quella di Tsahal è una guerra giusta".
Ecco il testo: