Anna Momigliano su Il RIFORMISTA pubblica un articolo che riportiamo:
Ah, se i leader europei dimostrassero «anche un decimo del coraggio» della stampa stampa israeliana, sospirava ieri Jonathan Steele dalle colonne del Guardian. Oggetto dell’indignazione da parte del giornalista liberal
Il Guardian è un giornale paragonabile al Manifesto, la moderazione che il termine "liberal" suggerisce non lo descrive affatto
il «silenzio» dei governi europei (a cominciare da quello di Downing Street) davanti alla «punizione collettiva» inflitta dai raid israeliani alla popolazione palestinese. Il plauso, invece, era indirizzato a un editoriale apparso pochi giorni prima su Haaretz, altro quotidiano liberal che può essere definito, mutatis mutandis, come versione gerosolomitana del Guardian.
Piuttosto, lo si potrebbe definire la versione gerosolomitana di Repubblica, con alcuni colloboratori degni del Manifesto o di Liberazione: Gideon Levy, Amira Hass, David Landau
Fin qui niente di strano. Del resto sono giorni che in Israele la parte più agguerrita della stampa gauchista sta criticando con asprissimi toni la scelta da parte di Ehud Olmert e del ministro della Difesa Amir Peretz di invadere militarmente la Striscia di Gaza, a soli dieci mesi dallo storico ritiro, e in paticolare i raid che hanno causato vittime e disagi tra la popolazione civile. Per ovvi motivi più liberi di esprimere giudizi tranchant sulla legittimità delle azioni dello Stato ebraico rispetto alle controparti europee o americane, i commentatori politici più illustri del paese non hanno esitato a ricorrere ai toni pesanti. «iIlegittimità», «Follia pura», «Un cocktail di pericolosa arroganza». Queste le espressioni con cui gli editorialisti di Haaretz hanno descritto la risposta dell’esecutivo al lancio di Qassam sulle cittadine israeliane e al rapimento del soldato Gilad Shalit. E poco importa che Avi Dichter, già capo dello Shin Bet (i servizi segreti interni) e ora ministro della Sicurezza, abbia lasciato intendere ieri il rilascio di alcuni prigionieri palestinesi in cambio della vita del giovane Shalit potrebbe essere accettata («Sarebbe un bel gesto di buona volontà»). Prigionieri o non prigionieri, rapimenti o non rapimenti, l’invasione militare di Gaza, la distruzione delle centrali elettriche, e il sequestro di alcuni membri dell’esecutivo di Hamas è considerata cosa inaccettabile tout court da una buona fetta della stampa progressista.
Partiamo dall’analisi più controversa, che ha già attirato l’attenzione all’estero, quella di Gideon Levy: «Sull’operazione Pioggia d’estate sventola una bandiera nera», scrive il columnisti, «Non è legittimo deprivare 75 mila persone dell’elettricità. Non è legittimo costringere 20 mila persone ad abbandonare le loro case, facendo delle loro città in città fantasma. Non è legittimo invader lo spazio aereo siriano. Non è legittimi rapire metà del governo e metà del parlamento». E poi: «Mentre le sue scelte diventano stupide e mostruose, il governo Israeliano dà l’impressione di avere perso il controllo». Il verdetto, dunque? «Uno stato che compie passi analoghi non può più distinguersi da un’organizzazione terrorista».
Il ragionamento di Levy varrebbe per la svizzera, non per un'Autorità palestinese controllata d aun'organizzazione terroristica e per stati canaglia come la Siria, che i terroristi li proteggono.
Certo non tutti i commentatori gauchisti arrivano a tefinire il comportamento d’Israele «terrorista», termine che costituisce comprensibilmente un tabù in un paese che è dalla nascita uno dei bersagli del terrorismo. Ma Levy non è l’unico ad alzare i toni. Ieri Doron Rosenblum scriveva: «La fantasia che ci ha perseguitato per anni, quella di diventare uno Stato pazzo, è divenuta realtà». Una fantasia/realtà che, nella visione di Rosenblum, prevede il desiderio di «assassinare leader arabi come face Al Capone nel massacro di san Valentino». Infine c’è Yoel Marcus, vera penna di punta di Haaretz, che fa della situazione un’analisi lucida ma tranchant. Marcus riconosce che il lancio di Qassam sul territorio israeliano costituisce in effetti «un casus belli che nessuna nazione avrebbe tollerato». Eppure si chiede: «Non so cosa sta ci sta rovinando di più, Hamas o il nostro governo». E poi: «Per un momento mi sono chiesto se sia stata Hamas a dichiarare guerra a Israele, o Israele ad avere dichiarato guerra ad Hamas».
Fin qui nulla di strano, penserà qualcuno, in fondo la stampa progressista critica sempre le operazioni militari. Ma in realtà il rapimento di Gilad Shalit, il lancio di Qassam su Israele e l’operazione Pioggia d’estate hanno cambiato molto il dibattito interno sull’eticità della strategia militare israeliana. Tanto per cominciare, è la prima volta che un giornale di alto profilo si permette di paragonare il comportamento di Israele a quello di Hamas, men che meno di definire quello di Tsahal un comportamen paragonabile «a un’organizzazione terrorista», con tutte le implicazioni che un paragone tanto azzardato comporta. Contemporaneamente, mentre la crisi prosegue, una fetta sempre più ampia del grande pubblico in Israele sembra condividere alcune politiche dell’esecutivo -come per esempio l’ipotesi di omicidi mirati sui membri del governo Anp, cui secondo un sondaggio di Maariv sarebbe favorevole l’85 per cento dei cittadini. Secondo alcuni, l’irrigidimento di alcuni segmenti dell’opinione pubblica solitamente schierati contro i comportamenti più aggressivi di Tsahal (basti pensare alle aspre critiche al massacro della spiaggia di Gaza del 9 giugno)
Decisamente fuori luogo questo riferimento, data l'inchiesta militare che ha escluso che laresponsabilità della tragedia sia di Israele
può essere spiegato dall’effetto generato dal rapimento di Gilad Shalit: già in passato, infatti, Israele ha dimostrato di essere in grado di “tollerare” attentati e lanci di Qassam. Ma il rapimento di un giovane soldato, come accadde con Nachshon Wachsman nel ’94, è un avvenimento in grado di generare una coesione quasi irrazionale dietro Tsahal. Forse è anche per questo che gli intellettuali di sinistra - compreso l’onnipresente fronte di Shalom Akhshav - a differenza die colleghi giornalisti, hanno deciso di rimanere silenziosi. Ieri A. B. Yehoshua ha definito i raid di Tsahal «legittimi» in un’intervista all’Unità Né Amos Oz né David Grossman, che pure si esposero in prima persona al tempo non lontano della strage sulla spiaggia, sono intervenuti a dire la loro. Rispetto a un mese fa, quando Grossman scriveva interventi infuocati sul Maariv, il cui direttore rispondeva invitando alla calma, tra intellettuali e stampa di sinistra le parti sembrano essersi inverite.
Bene queste ultime citazioni, che danno un idea più completa del dibattito israeliano più completa di quanto di solito non accada, dato che i giornali italiani citano spesso solo chi critica le azioni del governo.
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