Le "oscure motivazioni" di Israele
in un'analisi che prescinde dalla realtà
Testata:
Data: 05/07/2006
Pagina: 0
Autore: la redazione
Titolo: Cortocircuito tra israeliani e palestinesi
L'ECO di BERGAMO del 4 luglio 2006 pubblica un articolo sulla crisi di Gaza, secondo il quale" l'esercito di Israele e il governo che lo dirige fanno di tutto per eccitare i rancori dei palestinesi, per far rinascere presso di loro la già declinante popolarità di Hamas, per infoltire le già folte schiere degli aspiranti kamikaze, pronti domani a farsi saltare in qualche centro commerciale affollato di israeliani innocenti?" Il giornalista non si è accorto che le azioni dell'esercito isrealiano sono reazioni a un'aggressione terroristica in atto.
Ecco il testo:


  Cortocircuito fra israeliani e palestinesi Fino a qualche giorno fa, la situazione era questa: l'ala più estremista di un movimento estremista come Hamas, giunto al governo dell'Autonomia palestinese ma incapace di fare alcunché di positivo, attacca un reparto israeliano e rapisce un giovanissimo soldato, mentre altri terroristi rapiscono e uccidono un anziano e indifeso colono. Il tutto mentre Hamas non sa come cavarsi d'impiccio, inchiodato dal mancato riconoscimento internazionale, dal taglio di fondi da parte di Usa e Ue, dal contrasto con il presidente Abu Mazen e, appunto, dalle azioni di guerra dei folli che ancora sognano la distruzione di Israele. Aggiungiamo al quadro la costruzione del Muro, l'indiscussa superiorità militare di Israele, il corale apprezzamento per la sua flessibilità politica degli ultimi anni: pur tenendo nel giusto conto l'orrore e la rabbia per le azioni del nemico, possiamo dire che Israele combatteva una battaglia già vinta. Per quale ragione, allora, la dirigenza israeliana, fatta di uomini accorti e abituati a gestire con sagacia politica allarmi ed emergenze e che legittimamente avevano subito rifiutato qualunque ipotesi di trattativa con i rapitori, si comporta ora in questo modo? Perché fin dal primo momento ha fatto bombardare le centrali elettriche di Gaza, lasciando 700 mila persone (tutti terroristi?) senz'acqua e senza luce? Perché ha deciso di arrestare un congruo numero di ministri di Hamas e di parlamentari palestinesi? Tutti terroristi anche loro? Perché ci sono almeno 20 mila civili palestinesi (tutti complici dei terroristi, dovremmo dedurre) che per ordine dei generali israeliani hanno dovuto abbandonare le proprie case e vivere accampati alla meglio chissà fino a quando? Perché, in altre parole, l'esercito di Israele e il governo che lo dirige fanno di tutto per eccitare i rancori dei palestinesi, per far rinascere presso di loro la già declinante popolarità di Hamas, per infoltire le già folte schiere degli aspiranti kamikaze, pronti domani a farsi saltare in qualche centro commerciale affollato di israeliani innocenti? E infine, perché il Paese degli «omicidi mirati» si lascia ora andare a una rappresaglia dove la caccia ai veri colpevoli passa in secondo o terzo piano rispetto alle sofferenze coscientemente inflitte alla popolazione incolpevole? Le ipotesi sono molte e su alcune di esse la discussione è aperta. C'è chi vede nella mano libera concessa all'esercito un segno della debolezza del premier Olmert e del ministro della Difesa Peretz, i primi nella storia di Israele a ottenere simili incarichi senza vantare un passato militare. Può darsi che ci sia del vero, ma i sottintesi sono preoccupanti. Vorrebbe dire che Tsahal è percorso da inquietudini assai poco consone a una democrazia, corroso dalla sfiducia nei suoi meccanismi e negli uomini che la rappresentano, tanto da spingere questi a operare stoltamente per recuperare il favore degli uomini in divisa. Ma sarebbe assai poco tipico dei politici e dei soldati israeliani. Vorrebbe anche dire che i generali di Israele (proprio quelli dalle cui file sono usciti tanti uomini di governo) sono soldati buoni solo a sparare, privi di senno e di senso politico. E anche questo è da scartare. Si dice anche che il pugno di ferro consenta a Olmert e al suo governo di riaccreditarsi presso l'opinione pubblica israeliana, che aveva accettato l'idea di ulteriori ritiri dai Territori in cambio di maggiore sicurezza e benessere e ora sarebbe delusa dall'immobilismo succeduto al frenetico dinamismo politico di Ariel Sharon. Ma le voci che arrivano da Israele descrivono un Paese preoccupato piuttosto da quanto sta succedendo ora, dalla mancanza di prospettiva di un'azione come quella in corso. Scartate dunque l'ipotesi di uno sbaglio clamoroso o di un'altrettanto clamorosa speculazione politica a breve termine, non resta che immaginare altro. Pare insomma che in fondo all'animo politico d'Israele resista la convinzione che alla pace vera non si arriverà mai e che, dunque, una certa quota di guerra controllata sia non solo inevitabile ma, paradossalmente, anche utile: per tenere a bada il terrorismo stragista, per combattere le tendenze centrifughe (economiche ed etniche) interne, per tenere legati alla causa di un Israele minacciato i preziosi appoggi politici ed economici degli Usa. Tre guerre vinte senza ottenere la pace potrebbero aver fatto molto per ribattere questa convinzione. Hamas e il suo delirio politico forse hanno fatto il resto.

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