Non ha dubbi, Furio Colombo. E poco importa che tra i Ds nessuno o quasi segua la sua rotta: l'ex direttore de L'Unità, oggi senatore della Quercia, tiene dritto il timone. E annuncia: «Sono d'accordo con Gianni Vernetti. La sua è una proposta seria e ragionevole: bisogna lavorare per favorire l'ingresso d'Israele nella Nato. Sarebbe un fattore di garanzia per Israele stesso e un segno di corresponsabilità per gli altri membri dell'alleanza».
Peccato, però, che il sottosegretario agli Esteri della Margherita dica questo e il ministro Massimo D'Alema lo smentisca il giorno dopo.
«Sono cose che capitano quando una nuova idea entra in circuito. Naturalmente tutte le obiezioni, a cominciare da quelle di D'Alema, hanno diritto d'asilo: l'importante è che la discussione non venga strangolata sul nascere da vecchi pregiudizi».
Pregiudizi di quale tipo?
«Penso a quanti temono che una soluzione del genere finisca per rafforzare il dominio militare statunitense nell'area. A me, francamente, non sembra un pericolo. Anzi, l'entrata in scena della Nato potrebbe limitare un rischio simile».
Davvero? E in che modo?
«Innazitutto costringerebbe l'Europa a scuotersi dal torpore che ha sempre mostrato verso le sorti di Israele. E uso la parola "torpore" per non dire di peggio. Dovrei ricordare, infatti, che il nostro continente è giunto a isolare il governo di Gerusalemme nell'assemblea delle Nazioni Unite».
Pure Israele avrà commesso qualche errore, non crede?
«Certo, ma è stato lasciato solo. E nessuno può ergersi a giudice delle azioni altrui dopo aver ostentato per decenni indifferenza o, peggio ancora, inimicizia. Né può lamentarsi se gli Stati Uniti, unici ad aver appoggiato Israele, svolgono un ruolo politico e militare determinante in quella zona».
E lei pensa che l'ingresso nella Nato modificherà quest'atteggiamento?
«Io parto da un dato di fatto: per ragioni oscure, lo Stato ebraico è l'unico Paese democratico a non essere inserito in un'alleanza strategica. E l'isolamento rischia sempre di alimentare le spinte più estremistiche: non a caso, ad avversare l'ingresso nella Nato è soprattutto la destra radicale di Netanyahu. Dunque, l'Europa farebbe bene a cambiare strategia se vuole avviare davvero un processo di pace».
Intravede qualche segnale destinato ad alimentare questa speranza?
«Siamo ai primi passi di un cammino che sarà senza dubbio lungo e travagliato. Ma con la sua intervista al Corriere, il sottosegretario Vernetti ha mosso le acque stagnanti di una situazione che, in passato, è stata sinceramente indecorosa. Siamo stati vicini a Iran e Iraq, ma non ci siamo mai schierati con decisione al fianco d'Israele».
Forse lo stesso discorso, in scala, riguarda anche i Ds.
«D'Alema ha parlato di "equivicinanza" alle ragioni palestinesi e a quelle israeliane. Può sembrare un artificio verbale, ma non è così. Vuol dire che ormai la sinistra riformista respinge le antiche tentazioni ideologiche. Certo, i dubbi rimangono e non sarà facile far crollare le ultime resistenze. Ma credo che alla fine l'ingresso d'Israele nella Nato si rivelerà la scelta giusta per aprire una nuova strada al processo di pace in Medio Oriente».
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