Da Il CORRIERE della SERA del 21 giugno 2006:
GERUSALEMME — Diciotto firme. Sotto a una lettera per denunciare gli attacchi che hanno coinvolto i civili nelle ultime operazioni israeliane a Gaza. Amos Oz, David Grossman, Meir Shalev, Sami Michael, assieme ad altri intellettuali e a docenti universitari pacifisti. Diciotto firme importanti, ma è la diciannovesima ad avere colpito i commentatori: quella mancante.
Avraham Yehoshua non ha sottoscritto l'appello al ministro della Difesa Amir Peretz e il quotidiano Maariv ha fatto notare l'«assenza eclatante». «Stavolta lo scrittore, che di solito appare con il socio Amos Oz in petizioni morali come questa, non c'è». L'editorialista di destra Ben Dror Yemini prova a spiegarne le motivazioni e ricorda alcune sue parole: «Se anche dopo il ritiro sui confini del 1967, i palestinesi continuano con gli attacchi, Israele potrà utilizzare tutte le misure necessarie per fermarli».
Yehoshua è stato uno dei sostenitori del ritiro unilaterale dalla Striscia di Gaza, lo considera un primo passo verso un altro divorzio (anche non consensuale) che restituisca la maggior parte della Cisgiordania al controllo dei palestinesi. Al telefono da Haifa, dove vive, spiega perché il suo nome non compare. «Il testo avrebbe avuto bisogno di essere perfezionato. Non condividevo alcuni passaggi. Giusto chiedere all'esercito di rispettare la vita e i diritti dei civili disarmati, ma non veniva enfatizzata la responsabilità dei palestinesi che non fermano i lanci di razzi Qassam. Alla fine non c'è stato abbastanza tempo, queste petizioni nascono in fretta e in fretta devono essere presentate. Quando sono riusciti a trovarmi per propormela era troppo tardi, non si potevano più fare modifiche».
Nel suo commento, Maariv attacca invece Amos Oz: «Ripete di controllare ogni parola di un appello e solo dopo che è d'accordo su tutte accetta di firmarlo. In questa lettera, si fa una distinzione tra "combattenti" e "civili". Quelli che vogliono uccidere bambini a Sderot sarebbero combattenti?». Yehoshua non ha dubbi: chi lancia i Qassam per colpire i civili è un terrorista. «Nessun Paese permetterebbe che le sue città vengano bombardate dai nemici senza rispondere. Nel scegliere la strategia, i militari devono evitare le vittime civili. Non sono un esperto di balistica, ma l'artiglieria non mi sembra la soluzione migliore e quando gli elicotteri entrano in azione nelle aree abitate, il rischio di coinvolgere i passanti è troppo alto». Ieri in un nuovo raid aereo a nord di Gaza, un bambino e una bambina sono rimasti uccisi, mentre gli estremisti delle Brigate Al Aqsa sono riusciti a balzare fuori dall'auto prima che venisse centrata dal missile.
«Hamas e l'Autorità palestinese devono fermare i militanti, hanno le forze per farlo — continua Yehoshua, che a fine mese sarà in Italia per il Premio internazionale Viareggio —. L'occupazione è finita, non ci sono più soldati o insediamenti israeliani. Siamo a pronti a ripetere il ritiro da gran parte della Cisgiordania. Perché non la smettono con i lanci?».
L'autore di successi come L'amante, La sposa liberata, V iaggio
alla fine del millennio chiede al governo di Ehud Olmert di aprire il dialogo con il presidente Abu Mazen. «Devono parlare, parlare e cominciare il più presto possibile. Il primo ministro discuta anche con Hamas un cessate il fuoco di lungo periodo. Come avvenne con l'Egitto dopo la guerra dello Yom Kippur nel 1973: una tregua e i negoziati hanno portato alla pace. Anche se ci sono voluti anni».
Cliccare sul link sottostante per inviare una e-mail alla redazione del Corriere della Sera