FIRENZE — «Sto bene, ora. Mi fanno male solo gambe e schiena: perché in carcere si dorme per terra. Le mie idee? Nessun pentimento. Nessuna richiesta di perdono. Roba da Paesi fascisti, totalitari. Anzi, in questi anni ho assunto posizioni più radicali». Akbar Ganji, 47 anni, moglie e due figli, giornalista e saggista iraniano, ha sulle spalle sei anni e tre mesi di carcere politico. Le colpe? Aver scritto nel 2000 La segreta dei fantasmi, accusa aperta al regime per la catena di delitti di intellettuali avvenuta alla fine degli Anni '90 e poi Arcipelago delle carceri, saggio sequestrato dopo l'uscita, descrizione dell'Iran come un immenso penitenziario. E aver teorizzato, dopo aver studiato Hannah Arendt e Karl Popper, che il regime iraniano è sostenuto da un «fascismo religioso» simile ai totalitarismi europei, lontano dalla radice dell'Islam. È uscito di carcere solo a marzo: è magrissimo ma combattivo. Da due giorni è in Italia. Oggi, alle 18, riceverà a Palazzo Vecchio dal sindaco Leonardo Domenici la cittadinanza onoraria e il Gonfalone d'argento. In Italia Ganji è sostenuto dall'International Safety and Freedom, che nel 2005 lo premiò col Comune di Siena quando era in carcere e dalla «Iniziativa per la libertà di espressione in Iran» che lo ospita. Ci parli di questo Arcipelago delle carceri iraniano, signor Akbar Ganji. «Presi spunto da Michel Foucault che studiò il potere analizzando polizia, università, ospedali. L'Iran è un arcipelago di carceri. Si controllano le telefonate. Il sistema chiude giornali e censura libri, cinema, tv, cambia professori all'università, organizza contromanifestazioni a favore del regime. In carcere dicevo: io sono in prigione, ma lo siete tutti voi iraniani. Solo che la mia è più piccola...». Il sistema di potere iraniano è dunque «fascista» Ganji? «Il fascismo in Italia e in Germania, e lo stalinismo in Russia, riuscirono a intaccare la società civile. In Iran c'è chi spera di costruire uomini "nuovi" tutti uguali, imporre il pensiero unico. Gramsci diceva che così si arriva all'adorazione del capo. Ma la società civile iraniana si oppone. Grazie soprattutto alle nuove tecnologie: Internet, tv via satellite, telefoni cellulari. Impossibile arginarli e immaginare "l'adorazione del capo", anche se il sistema lo vorrebbe. Poi c'è l'economia di mercato, e la globalizzazione, i necessari scambi internazionali per i parametri imposti dal Wto, l'organizzazione mondiale del commercio. L'Iran ha chiesto di aderire: le regole, vedrete, favoriranno la democrazia...». Definirebbe fascisti i vertici iraniani? «In Iran il movimento "fascista religioso" è appoggiato da anni da settori dello Stato. Per esempio. gli intellettuali vengono uccisi. Ma tutto viene insabbiato, come avvenne con la fotografa Zahra Kazemi». Il presidente Ahmadinejad può contare su una base popolare? «Non abbiamo un vero presidente così come non c'è una vera repubblica democratica. Il potere autentico è nelle mani della Guida suprema, Alí Khamenei, che ha nel presidente un vice operativo. Ciò che si dice sugli Usa, sull'Olocausto appartiene a Khamenei. Il sostegno popolare al regime? Nei Paesi democratici esistono sondaggi ed elezioni libere. Strumenti che l'Iran non ha. Khamenei non viene eletto dal popolo e la sua carica è a vita e nessuno può dimissionarlo». E qual è l'opinione diffusa tra i giovani? «In simili condizioni ciascuno può sostenere ciò che vuole. Ma tutti i loro comportamenti, i loro gusti sembrano in aperto contrasto con quelli che il regime chiama "valori islamici". Basta girare per le università e nei luoghi pubblici per capire quale sia il clima» . Come risolvere il nodo iraniano? Per esempio, con una nuova rivoluzione? «Io sono ostile alle rivoluzioni generiche, proprio come Hannah Arendt: sono destinate a trasformarsi in altri regimi totalitari dopo sangue, violenze, processi sommari e fucilazioni. L'unica rivoluzione possibile, a mio avviso, è quella americana, ben diversa da quella francese: portò libertà, uguaglianza di diritti, consenso. Occorre insomma sostituire una dittatura con la libertà. Soprattutto in Iran dovremo perdonare, ma senza dimenticare. Non si può costruire una autentica democrazia sull'odio e sulla vendetta». Quale ruolo possono avere gli Stati Uniti? Spesso dagli Usa arrivano voci di possibili interventi in Iran. Che ne pensa? «Soltanto gli iraniani dovranno essere protagonisti di questi cambiamenti. Abbiamo bisogno di aiuto: ma solo morale e da tutto il mondo, non solo dagli Usa. Per esempio, l'Europa dovrebbe ritrovare un suo ruolo abbandonando gli interessi economici immediati. Purtroppo per ora, nella vicenda Usa-Iran, si sentono solo le voci dei due estremismi. Si parla di un possibile scontro. Io sono, è vero, un oppositore del regime. Ma lotto per un Iran prospero e libero. Non mi auguro certo che qualcuno intenda distruggere una parte del mio Paese o uccidere la mia gente». Come finirà lo scontro sulla vicenda nucleare, Ganji? «Il regime ha lanciato una sfida donchisciottesca al resto del mondo. In realtà l'Iran dovrebbe battersi per il disarmo e la denuclearizzazione. Avrebbe l'appoggio del mondo». Capirà da solo che questa è utopia. La realtà? « C h i ha messo l'Iran su questa via non otterrà nulla di buono. So che rischierò ancora la prigione, ma non si può tacere di fronte a certe cose. Chiedo: l'Unione Sovietica aveva la bomba atomica, si sentiva una grande potenza, no? Eppure è crollata dal suo interno. Perché, se c'è la bomba atomica ma non c'è la democrazia, quel crollo prima o poi arriva. E poi bluffare in questo campo può essere dannoso. Prendiamo Saddam: non era quello che diceva: "Se mi attaccano, vedrete cosa succede?". S'è visto, cosa è successo...E dov'è ora Saddam? In prigione. In una sfida c'è chi arriva a scoprire le carte. E in quel caso a pagare sarebbe il popolo iraniano. Con una guerra. Cioè con la morte di tanta gente comune. E un intellettuale come me non può tacere di fronte a questa possibile atrocità». |