Dal CORRIERE della SERA del 12 giugno 2006, una cronaca di Davide Frattini:
GERUSALEMME — I vicini di casa hanno cominciato lo sciopero della fame. Si sono piazzati davanti alle finestre di Amir Peretz perché non si sentono protetti e perché non si dimentichi della minaccia dei Qassam. Non che ce ne sia bisogno: ieri gli estremisti hanno lanciato una ventina di razzi verso le città israeliane al confine con la Striscia di Gaza e a Sderot le sirene hanno suonato per tutto il giorno. I genitori hanno deciso di non mandare più i figli a scuola, dopo che Yonatan Engel, 60 anni, è stato ferito dall'esplosione di un missile nel cortile di un istituto.
Il ministro della Difesa e concittadino ha fermato lo Stato maggiore che avrebbe voluto iniziare un'offensiva con bombardamenti dell'aviazione. Per ora, gli israeliani continueranno a rispondere con operazioni mirate contro le cellule che si preparano a lanciare i Qassam: ieri sono stati uccisi due uomini di Hamas, i primi da quando l'ala militare dell'organizzazione ha rotto la tregua dichiarata nel febbraio 2005. Peretz ha ripetuto che anche i dirigenti del movimento fondamentalista al governo potrebbero diventare bersagli: «Nessuna organizzazione e nessuna carica politica serviranno come copertura per quelli che sono coinvolti nella pianificazione degli attacchi».
Le forze di sicurezza israeliane sono entrate in stato di massima allerta, con oltre novanta segnalazioni dell'intelligence. Nella notte un abitante di Gerusalemme Est è stato ucciso vicino a un check-point in Cisgiordania da un commando palestinese, ma la polizia non è sicura che si tratti di un attentato terroristico. Le Brigate Ezzedin al Qassam, legate ad Hamas, e altri gruppi hanno minacciato di vendicare gli otto morti (tutti civili) sulla spiaggia di Beit Lahiya, a nord della Striscia di Gaza. L'esercito israeliano sta ancora indagando sulle cause della strage.
«Abbiamo rintracciato il punto d'impatto di cinque su sei proiettili di artiglieria sparati in quelle ore. E per quello mancante non coincidono i tempi con l'esplosione sulla spiaggia», ha spiegato il generale Yoav Galant, comandante del fronte Sud. Gli ufficiali non escludono che si possa trattare di un razzo palestinese finito fuori controllo.
Houda Ghaliya, la ragazzina di dieci anni sopravvissuta all'attacco (i genitori e i fratelli sono morti), è stata trascinata nella sfida politica tra il premier palestinese Ismail Haniyeh e il presidente Abu Mazen. Tutt'e due hanno annunciato di averla adottata ed è l'unico punto di intesa che hanno raggiunto. Hamas si prepara a votare in parlamento contro il referendum annunciato dal leader della Mukata, mentre il documento dei prigionieri — che i palestinesi dovrebbero approvare o bocciare il 26 luglio — ha perso uno dei suoi più importanti firmatari. Abdel Khaleq Natche, uno dei capi di Hamas in carcere, ha tolto il suo appoggio assieme al leader della Jihad islamica. «A questo punto è solo un piano del Fatah», ha commentato un portavoce del movimento fondamentalista.
Da La STAMPA la cronaca di Aldo Baquis:
Scuole chiuse, vita paralizzata, progetti di fuga in massa, manifestazioni di protesta e scioperi: questo uno spaccato della vita nella città israeliana di Sderot, Neghev, che anche ieri come nei mesi scorsi è stata bersagliata con insistenza dai razzi palestinesi sparati da Gaza.
«Vogliamo che Sderot diventi una città fantasma», ha affermato ieri Hamas. Chi spara sistematicamente i razzi contro le case, le scuole e i negozi di quella città (la cui unica colpa è di trovarsi a due chilometri dalla estremità della striscia di Gaza) vuole indubbiamente veder il sangue scorrere nelle strade. Una determinazione che la strage della famiglia palestinese Ghalia, venerdì sulla spiaggia di Sudanya (Gaza), ha solo rafforzato. «Ci sentiamo in ostaggio», ha detto ieri Yael Tayari, una docente del liceo di Sderot. La vita in città è diventata una roulette russa. Mandare i figli all’asilo, andare a fare la spesa, scendere in strada sono decisioni che richiedono coraggio. Restare a Sderot significa giocare col proprio destino. Fuggire non è possibile, perché le case sono ormai invendibili.
Di fronte all’abitazione del ministro della difesa Amir Peretz, residente in città, c’è stata una manifestazione di protesta. «Vogliamo sicurezza», hanno esclamato gli abitanti.«Cosa fa l'esercito? Perché non reagisce?».
Nella giornata di ieri Israele ha condotto almeno tre raid aerei contro cellule di miliziani impegnati nel lancio di razzi, uccidendone tre; due di Hamas, e uno della Jihad islamica. Ma da venerdì Peretz ha bloccato gli attacchi della artiglieria al nord di Gaza e attende l’esito dell’inchiesta sulle circostanze della strage sulla spiaggia di Sudanya, dove sono stati uccisi sette membri della famiglia Ghalia. Davvero è stato Israele a provocare la loro morte? Peretz spera ancora che si dimostri che non è stato così. Forse, malgrado tutto, gli sfortunati bagnanti sono stati colpiti non dalla artiglieria israeliana ma da un Qassam difettoso, o forse hanno trovato nella sabbia un ordigno inesploso da giorni.
Per Hamas, comunque, non c’è altro da verificare. «L’esercito israeliano venerdì si è comportato come la Gestapo», si legge su un sito internet di Hamas. Per cui le Brigate Ezzedin al-Qassam, il braccio armato di Hamas, sono tornate all’offensiva, dopo molti mesi di addestramenti, di organizzazione, di potenziamento. Israele, di conseguenza, ha proclamato lo stato di allerta. Migliaia di agenti e di soldati hanno presidiato le arterie di accesso alle principali città e le zone limitrofe ai Territori.
Attimi di vera suspence si sono vissuti nel pomeriggio quando un’automobile con quattro palestinesi a bordo ha forzato un posto di blocco all’ingresso dell’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, proprio nei minuti in cui il premier Ehud Olmert si accingeva a decollare per la Gran Bretagna. Ma non era un attentato: i quattro erano semplicemente manovali, privi di permessi, capitati per sbaglio nella zona dell’aeroporto.
Di certo i servizi di sicurezza israeliani hanno i nervi tesi. Gli attentati palestinesi in fase di progettazione, secondo la radio militare, sono circa un centinaio. E poi nella notte di sabato si è temuto il rapimento di un israeliano da parte di miliziani di al Fatah, a Nablus. Ma in breve tempo l’ostaggio è stato rilasciato: si è saputo infatti che non era israeliano, ma cittadino statunitense. A Gaza prosegue intanto la sorda lotta fra Hamas e al-Fatah. Ieri una potente bomba è stata fatto esplodere presso la abitazione di Mohammed Abu Shbak, fratello del capo della sicurezza preventiva Rashid Abu Shbak: un uomo di fiducia di Abu Mazen. In questo clima agitato anche ieri Abu Mazen è tornato a incontrarsi con il premier Ismail Haniyeh che cerca ancora di convincerlo a rinunciare il progetto del referendum nei Territori che secondo Hamas lacererebbe inutilmente la società palestinese. Ma Abu Mazen ritiene che proprio il referendum, basato su un documento che rappresenta un minimo comune denominatore per le principali forze politiche palestinesi, potrebbe convincere i Paesi donatori a tornare ad assistere finanziariamente l’Anp. «Non c’è più tempo da perdere» ha avvertito Abu Mazen. «Ogni giorno che passa la situazione peggiora». Come sanno, meglio di chiunque altro, gli abitanti di Gaza.
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