La proposta che D'Alema dovrebbe fare a Washington
l'analisi di Emanuele Ottolenghi
Testata:
Data: 09/06/2006
Pagina: 2
Autore: Emanuele Ottolenghi
Titolo: D'Alema porti una proposta a Washington Addio all'Iraq, più impegno in altre missioni
Dal RIFORMISTA di venerdì 9 giugno 2006:
In visita a Baghdad per negoziare modalità e tempi del ritiro italiano dall'Iraq, il vicepresidente del consiglio e ministro degli esteri Massimo D'Alema ha sottolineato che l'Italia sta «valutando tante ipotesi su forme di cooperazione che non contemplino di mantenere qui le forze armate italiane» aggiungendo che «tutto ciò che è compatibile con questo mandato, e ci sono tantissime cose che si possono fare» e l'Italia le farà. L'Italia ha cambiato maggioranza e in parte anche direzione, ma il messaggio di D'Alema è importante, e va ora rafforzato con simili parole e gesti nei confronti dell'alleato americano. Se cambiano i termini del dialogo bilaterale in seguito al ritiro italiano dall'Iraq, occorre assicurarsi che il nuovo tono sia comunque cordiale e costruttivo. D'Alema ha finora dimostrato di saper fare entrambe le cose, trasmettendo un'immagine ben più responsabile di alcune voci all'interno della sua coalizione, con le quali, indubbiamente, dovrà prima o poi confrontarsi la sua linea di politica estera. Ma proprio viste le tensioni presenti all'interno della maggioranza - si levano voci per un disimpegno italiano tout court e per un rinnovamento pacifista nella politica italiana - D'Alema dovrà mandare segnali positivi e fare proposte concrete la settimana prossima quando visiterà Washington, non solo per garantire la continuazione del rapporto amichevole esistente tra i due paesi, ma anche per rassicurare gli americani che l'Italia di Prodi non sarà la Spagna di Zapatero, anche se l'Italia si ritira dall'Iraq a seguito delle recenti elezioni.
Tra i messaggi che D'Alema porterà a Washington ce n'è uno in particolare che il ministro potrebbe voler prendere in considerazione. L'Italia da anni è coinvolta in operazioni di pace a livello globale e ha partecipato ad azioni militari sotto l'ombrello di mandati internazionali. In Kosovo, sotto la presidenza del consiglio dello stesso D'Alema, l'Italia intervenne senza nemmeno un mandato Onu, anche se nell'ambito di un'azione Nato, per motivi umanitari. La presenza italiana nei Balcani, oggi legittimata da susseguenti risoluzioni Onu, non solo è cresciuta in numero, ma si è anche guadagnata il riconoscimento e l'apprezzamento degli alleati per la sua professionalità e competenza. Stesso dicasi per il distaccamento italiano in Afghanistan, per non parlare di altre missioni in zone calde del globo, come la missione a Hebron (Tiph) comprendente un contingente di carabinieri, e la missione italiana a Gaza per il monitoraggio del passaggio di confine di Rafah. I nostri soldati e le nostre missioni sono apprezzate nel mondo, e la reazione del pubblico italiano alle tragedie recenti e passate è di compostezza, dignità e orgoglio nazionale. Non esiste un'opposizione permanente all'invio di truppe, anzi.
L'Italia si è distinta in tutte queste missioni, dimostrando valore militare, competenza e professionalità. Il mandato Onu, la natura multinazionale delle missioni, e spesso il concomitante spirito umanitario che le guidava, hanno reso queste operazioni accettabili anche a quella parte della sinistra moderata che si pone di fronte all'uso della forza in maniera critica, circospetta e fortemente garantista del limitato mandato costituzionale in tema d'uso della forza militare. Se dunque per l'attuale maggioranza non esiste possibilità di rimanere in Iraq, vista la natura politica della missione in Mesopotamia e i suoi precedenti non condivisi dalla sinistra, una maggiore partecipazione italiana in altre missioni esistenti - dai Balcani all'Afghanistan - e la disponibilità a partecipare o persino prendere la guida di altre future missioni in zone calde del globo potrebbe non solo dimostrarsi come un gesto di buona volontà ma anche un concreto meccanismo di aiuto a Washington. E' questa la proposta che modestamente ci permettiamo di fare a D'Alema, alla vigilia del suo viaggio transatlantico.
Come discusso recentemente a un convegno del Transatlantic Institute di Bruxelles, a cui hanno partecipato Maurizio Molinari della Stampa, il senatore Antonio Polito della Margherita e il Professor David Hine dell'Università di Oxford, l'Italia potrebbe aumentare il livello di truppe e mezzi in missioni a cui già partecipa, permettendo agli Stati Uniti di ridurre il proprio, rendendo disponibili risorse umane e materiali per un ridispiegamento in quelle zone e in quelle missioni - quale l'Iraq per l'appunto - dove l'Italia non vuole più partecipare. Questo meccanismo di compensazione permetterebbe al nuovo governo italiano di adempiere il suo impegno di ritiro dall'Iraq senza creare fratture con Washington. Tutt'altro: impegnandosi ad assumere un ruolo più attivo in posti come l'Afghanistan e i Balcani - e se la Nato decidesse - per alleviare la crisi del Darfur, l'Italia si dimostrerebbe un affidabile anche se critico alleato di Washington e offrirebbe anche un aiuto concreto, anche se non diretto, all'impegno americano in Iraq.
La proposta potrebbe essere discretamente sollevata da D'Alema a Washington e se gli americani sono interessati, se ne potrà discutere in maniera più ampia e dettagliata quando il premier Romano Prodi incontrerà Bush a San Pietroburgo per il Summit del G-8 a luglio prossimo. Quest'iniziativa, ancor più se partita da una proposta italiana, potrebbe evitare un deterioramento dei rapporti bilaterali e mantenere la posizione di influenza per l'Italia anche in questa sua nuova fase più critica nei confronti dell'amministrazione Bush.
Cliccare sul link sottostante per inviare una e-mail alla redazione del Riformista
cipiace@ilriformista.it