La PADANIA di martedì 6 giugno 2006 pubblica a pagina 13 un'intervista di Giampiero Ricci all'ambasciatore d'Israele in Italia Ehud Gol, ripresa dal sito "La piazza d'Italia" diretto dal senatore Franz Turchi.
Ecco il testo:
Arrivato al termine del suo mandato in Italia Ehud Gol ripercorre insieme a noi il passato recente del conflitto israelo-palestinese facendo il punto sullo stato dei rapporti tra Israele e UE. Ringraziandolo per l’attenzione prestataci pubblichiamo per intero il testo dell’intervista rilasciata a La Piazza d’Italia.
D: Ambasciatore Gol, nella precedente legislatura le Istituzioni Europee attraverso l’impulso dell’On. Turchi promossero un’inchiesta sull’impiego dei fondi arrivati all’ANP da parte della UE che ha finito per scoperchiare un vaso di pandora di corruzione e collusione con frange terroristiche all’interno dell’organizzazione palestinese. In molti hanno aperto gli occhi, ma alla luce dei fatti lei trova sufficientemente mutata la politica UE nei confronti di Israele?
R: “Praticamente la situazione è cambiata drasticamente, Franz Turchi ha fatto un fantastico lavoro nel suo incarico al Parlamento Europeo, allo stesso tempo oggi c’è un altro governo della Autorità Nazionale Palestinese e con la vittoria di Hamas era necessario per l’Europa aprire gli occhi; peccato che questo non sia accaduto prima, peccato che sia stato possibile per Hamas partecipare alle elezioni e vincere anche elezioni democratiche, tra virgolette; ma la nostra situazione oggi è molto chiara: tutti i paesi europei e venticinque, la comunità internazionale del mondo democratico hanno presentato tre condizioni ad Hamas: accettare Israele e il suo diritto a vivere, smantellare tutte le strutture del terrorismo, terzo accettare tutti gli accordi internazionali che l’Autorità Nazionale Palestinese ha sottoscritto. Oslo, Washington, Quartetto, in altre parole in questo momento non c’è un aspetto del passato ovvero soldi europei senza controllo, sotto questo punto di vista abbiamo raggiunto un risultato importante.”
D: Come pensa possano evolversi a suo giudizio nel breve e nel medio termine i rapporti tra Israele e l’UE, molti alludono alla possibilità di una partnership più stretta quasi istituzionale, lei lo ritiene possibile in prospettiva?
R: “No, io non penso sia possibile. Non credo sia realistico credere che Israele possa divenire membro dell’Unione Europea, per esempio. In Italia come in altri paesi europei alcuni pensano che essendo Israele un paese democratico, molto vicino all’Europa questo sia possibile, ma non è realistico pensare che questo sia possibile per alcuni motivi ma prima di tutto perché io non credo che sia possibile accettare Israele senza accettare almeno un paese arabo; ora una precondizione per essere un membro dell’Unione Europea è naturalmente essere un sistema democratico totale; con tutto il rispetto, non esiste nel mondo arabo, in modo generale e in particolare analizzando ogni paese un sistema politico pienamente democratico e così io non credo che non essendo possibile accettare un paese arabo sia possibile per l’Europa iniziare un percorso o accettare Israele; possiamo anche vedere la situazione con la Turchia, sono già dieci anni che si parla della possibilità di allargamento dell’Europa alla Turchia. L’UE è un club chiuso, è molto difficile entrate in questo club.
Noi, Israele, dal nostro punto di vista abbiamo firmato nel ’75 già trentun anni fa un accordo di associazione con l’UE, abbiamo rinnovato questo accordo venti anni dopo, nel 1995 alla vigilia dell’accordo di Barcellona, in questo momento questo è sufficiente. Ma, posso dire che negli ultimi anni la tensione che era parte integrante del nostro rapporto con l’Europa è svanita, oggi il rapporto è molto sincero; l’Italia è un grande esempio quand’è stato possibile negli ultimi cinque anni sviluppare relazioni fantastiche con un paese europeo importante, con altri paesi europei allo stesso tempo. Israele è molto più vicina all’Europa oggi che in passato, anche le nostre Economie, oggi se non sbaglio più del 38% del nostro interscambio avviene con questo continente e questo è significativo, il nostro legame, i nostri contatti con l’Europa, sono crescenti.”
D: Ambasciatore, passiamo a parlare del passato recente: il Generale Sharon, era visto fino a qualche anno fa come un sanguinario ultranazionalista, ora tutti rimpiangono il suo operato e ci si interroga se la nuova leadeship, uscita dall’ultimo risultato elettorale, sarà in grado di continuare la sua linea politica. L’opposto è capitato per Arafat. Qual è stato secondo lei il motore di questo cambiamento?
R: “Era molto facile per alcuni settori in Europa demonizzare Sharon sempre e presentare Yasser Arafat come un angelo della pace. Ma gradualmente in Europa, in altre parti del mondo, incluso il mondo arabo e il campo palestinese hanno capito perfettamente che Arafat era un terrorista, negli ultimi anni con Intifada ha rifiutato l’offerta straordinaria di Ehud Barak per Yasser Arafat: 97% dei Territori per un accordo. Non solo che non ha accettato, ha iniziato una nuova ondata di terrorismo, in altre parole l’Europa ha iniziato a capire la natura del terrorismo di Yasser Arafat e la corruzione del suo regime che amici come Turchi hanno scoperto sui fondi europei; la realtà è molto triste quando la metà dei soldi dei contribuenti dei paesi europei che hanno pagato le tasse finiscono per la metà nella borsa di Arafat, per metà vanno al terrorismo e pochi milioni anche per Arafat e il suo entourage per vivere a Parigi. Ma ritoriamo a Sharon, piano piano tutti i settori cui era molto più facile per loro demonizzare hanno capito perfettamete bene la necessità enorme per Israele di difendersi e Sharon, Primo Ministro di Israele, difende gli interessi di Israele. L’anno scorso. Agosto dell’anno scorso. Sharon ha dimostrato di volere la pace, con lo sgombero di Gaza, prendendosi un rischio enorme. Con il ritiro da Gaza Sharon è stato visto sotto una nuova luce anche da altri. Per noi Sharon ha sempre rappresenato la sicurezza di Israele, per noi sicurezza di Israele vuol dire pace. Per alcuni c’è voluto più tempo per capire che alla fine Sharon ha sempre lavorato per la sicurezza e quindi per la pace, ma alla fine piano piano è stato capito.”
D: Ambasciatore, abbiamo toccato l’argomento del ritiro da Gaza, è noto come all’interno dell’opinione pubblica israeliana si siano alzate delle critiche verso il ritiro, critiche che si proponevano soprattutto di sollevare l’interrogativo se davvero il ritiro fosse la strategia giusta per ottenere maggiore sicurezza al di là degli impegni presi, della road map e delle relazioni internazionali, il Generale Sharon ha sicuramente interpretato al meglio questo bisogno di normalità della popolazione israeliana che è poi uscito anche nel voto delle recenti politiche, ma ad oggi qual è il bilancio: al ritiro ha corrisposto un miglioramento dello stato della sicurezza?
R: “Prima di tutto, questa è la grandezza di una democrazia, esattamente mi ricordo sei anni fa, il Governo di Israele ha deciso di ritirarsi dal Libano a causa della pressione dell’opinione pubblica, questa è la grandezza della democrazia. C’è la possibilità per un Governo anche di accettare le pressioni dell’opinione pubblica e cambiare opinione, perché questa è la volontà del popolo, adesso anche con il ritiro da Gaza, la maggioranza degli israeliani, per due anni, negli ultimi due anni, ogni sondaggio ha mostrato che la maggioranza degli israeliani sono a favore del ritiro, anche Sharon ha cambiato opinione, anche altre persone; perché hanno fatto questo, non per fare un favore ai palestinesi ma prima di tutto per preservare gli interessi di noi israeliani, non era possibile per noi rimanere con 8.500 israeliani in un area con 1.500.000 di palestinesi, non era possibile per noi perdere soldati ogni giorno dentro Gaza; il ritiro da Gaza era molto traumatico, molto molto difficile partire da Gaza perché non era facile uscire da una parte del nostro, per molte persone, storico territorio e dopo trentotto anni, tre generazioni cresciute dentro la striscia si Gaza, ma abbiamo fatto questo perché così era più facile seguire gli interessi della sicurezza di Israele dal punto di vista professionale della sicurezza ma anche da un altro aspetto, oggi quando loro fanno attacchi contro noi – continuano con attacchi contro noi – la comunità iternazionale accetta in questo momento la leggittimità totale delle nostre risposte, questa è un’autodifesa, ieri per noi non era possibile con la critica internazionale, a torto o a ragione, oggi noi entriamo anche a Gaza quando rispondiamo ad attacchi terroristici e non c’è una parola della comunità internazionale perché loro attaccano adesso un Paese non da dentro Territori occupati ma attaccano la nostra terra, così per noi oggi è molto più facile difendere Israele e anche risparmiare la vita di molte persone.”
D: Per quel che riguarda il ritiro in Cisgiordania il nuovo Premier ha dato dei tempi all’ANP per trattare…
R: “La nostra posizione al riguardo è molto complessa, ma in poche parole: noi non possiamo tornare ai confini del ’67, perché è già un fatto che passando per la debolezza di quelle frontiere tentarono allora, per quella strada, di distruggere Israele. Noi non possiamo permettere a paesi arabi o a terroristi arabi di distruggere lo Stato di Israele, allo stesso momento abbiamo detto, anche Sharon ha dichiarato in modo molto aperto al podio delle Nazioni Unite, che noi accettiamo l’idea di due paesi per due popoli, anche uno Stato Palestinese indipendente, ma non al posto di Israele, vicino di Israele, ma quando poniamo richieste sulla distribuzione demografica dei due Stati lo facciamo perché noi non vogliamo affidare la nostra sicurezza alla buona volontà di altri, solo noi possiamo difendere il nostro paese e il nostro popolo e così è nata l’idea della convergenza di alcuni insediamenti, per essere in tre grandi blocchi di insediamenti di israeliani: uno attorno a Gerusalemme e tutti i quartieri vicino Gerusalemme, altro a Gush Ezion, il terzo a nord in Samaria; se sarà possibile per noi instaurare nel futuro un dialogo con un Governo palestinese che accetterà il diritto di Israele a vivere, che smantellerà il terrorismo e accetterà tutti gli accordi internazionali, possiamo arrivare ad un accordo e con questo Governo se non sarà possibile dialogare o arrivare ad un accordo, sarà possibile per noi entrare in questo processo in modo unilaterale.”
D: Ambasciatore, l’Iran quasi giornalmente minaccia Israele, la sensazione è che l’obiettivo di tali esternazioni vada ricercato più in dialettiche interne alla Repubblica Islamica: quanto c’è di realmente pericoloso nelle dichiarazioni del Presidente iraniano oltre il seminare l’odio antisemita e anti-israeliano?
R: “Molto pericoloso. Molto pericoloso. In questo momento ci sono tre fonti di minacce contro di noi. Una a nord di Israele, Hezbollah, che continua, con l’aiuto di Damasco e di Teheran, a creare provocazioni alla nostra frontiera settentrionale, secondo aspetto è Hamas e tutti gli altri gruppi terroristici che sono attivi, Brigate Al-Aqsa, Jihad Islamica, ma con Hamas un fuoco centrale, ma questi due non sono una minaccia esistenziale per il futuro del nostro Paese, possiamo combattere contro di loro, ma Iran con questo regime fanatico e con la possibilità di sviluppare potenziale nucleare è molto, molto pericoloso. Non dobbiamo dimenticare mai che sessantacinque, settanta anni fa Hitler dichiarava la sua volontà di distruggere il popolo ebraico e ha fatto un terzo del lavoro, sei milioni di ebrei, un terzo dell’intero popolo. Adesso questo Presidente iraniano che dichiara ogni mattina la sua volontà di cancellare Israele dalla mappa geografica. Allo stesso tempo, come non emerge abbastanza, l’Iran è un Paese estremamente ricco, con riserve di petrolio per anni e anni, quando il prezzo di ogni barile oggi è $75 e domani può anche arrivare al prezzo di $100 per barile: è un Paese ricco!…il Paese è meno ricco, ma il regime è ricco! Ma è un regime totalitario, ogni iraniano può essere molto ricco, condividendo questa ricchezza tra tutti gli iraniani, non è necessario per loro sviluppare altre fonti energetiche, non è necessaria l’energia nucleare, perciò la loro ferma volontà di sviluppare potenziale atomico è qualcosa di molto pericoloso, anche solo permettere a Theran di essere in grando di produrre una bomba sporca può ben immaginarsi cosa significhi se si considerano le relazioni che l’Iran intrattiene con i gruppi terroristici anti-israeliani, ma non solo, basti pensare ad Al-Qaeda e alla galassia di amici di Bin-Laden: la minaccia non è solo per Israele, ma anche per Italia, Stati Uniti e anche paesi europei che sono molto morbidi con una politica di appeasment: un grande, grande pericolo.”
D: Ambasciatore, abbiamo parlato dell’Italia e dell’ottimo rapporto instauratosi negli ultimi cinque anni trai Governi italiano e israeliano, alla luce del cambio di Governo in Italia, come pensa possa mutare la politica nei rapporti intergovernativi e nell’atteggiamento del Governo italiano nei confronti di Hamas?
R: “L’Italia, anche in una conversazione, in un incontro con D’Alema, con Prodi e altri, loro hanno già dichiarato forte e chiaro che l’Italia occupa la stessa linea di tutti i Paesi Europei in questo momento, linea incentrata sulle tre precondizioni di cui abbiamo parlato prima. Io credo che questa intimità di rapporti tra Italia e Israele non interessi solamente ad Israele, credo che sia un interesse direttamente italiano, in questi cinque anni la posizione italiana è stata importante anche per il mondo arabo soprattutto grazie ad Israele, l’Italia ha un rispetto più alto rispetto alle relazioni di altri paesi europei, l’Italia può giocare un ruolo molto molto importante nel Medio Oriente, praticamente a causa delle buone relazioni con il mondo arabo moderato e anche con Israele: c’è un Generale italiano alla Forza Internazionale nel deserto del Sinai, c’è un Generale italiano nel valico di Rafah, tutto questo perché per noi era comdo confermare un Generale italiano, anche per i palestinesi che accettano l’Italia come un giocatore equilibrato.”
D: Infine, una domanda che ci riguarda da vicino, essendo il nostro giornale radicato soprattutto nella città di Roma. A Roma c’è una delle comunità ebraiche più antiche al mondo, Roma che vuol dire anche Vaticano e quindi un fortissimo radicamento Cristiano, questo in passato ha spesso generato diffidenza e incomprensioni: può spiegare – perché ce ne è sempre bisogno – in che modo vive un ebreo della diaspora il rapporto con lo Stato di Israele?
R: “La comunità ebraica a Roma è la più antica al mondo: più di duemila anni fa. Ma vorrei dire che ebrei italiani sono italiani, ebrei francesi sono francesi, ebrei inglesi sono inglesi, ebrei americani sono americani, con lealtà totale ognuno al suo Paese, lealtà totale. Allo stesso tempo esiste per tutti gli ebrei nel mondo una seconda lealtà, per lo Stato di Isrele per essere ebrei, perché noi siamo un po’ distinti dagli altri, perché è allo stesso tempo una religione, un popolo, una popolazione, un Paese; queste componenti tutte insieme non coesistono in nessun altra religione, nazionalità o altro ed è per questo che questa vicinanza tra ebrei italiani, ebrei di altri paesi allo Stato di Israele, sono un fenomeno nuovo: solo da 58 anni, prima non era possibile per gli ebrei della diaspora identificarsi con una causa nazionale, adesso è possibile. Credo che in ogni paese democratico gli ebrei siano un prezioso ponte tra noi e il paese dove abitano e questo è molto molto positivo.”
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