Riportiamo da La STAMPA di venerdì 26 maggio 2006 la cronaca di Aldo Baquis circa il referendum sul "riconoscimento" di Israele proposto da Abu Mazen. Segnaliamo la presenza, nella proposta del presidente palestinese, di condizioni irrealistiche ,come il rientro di Israele nei confini del 67, o assolutamente inaccettabili per Israele come il diritto al ritorno dei profughi, ceh segnerebbe la fine della maggioranza ebraica nello Stato
Condizioni che rendono la proposta ben poco promettente per ciò che riguarda un futuro negoziato tra Anp e Israele.
Ecco il testo:
Il presidente Abu Mazen ha sospreso ieri gli Stati Uniti, Israele e anche Hamas quando, partecipando a Ramallah alla prima seduta del Dialogo nazionale palestinese, ha avvertito che entro poche settimane potrebbe sottoporre ad un referendum un piano politico fondato sulla disponibilità alla pace con Israele in cambio del ritiro dai Territori e della soluzione della questione dei profughi.
Ancora pochi minuti prima il premier dell'Anp Ismail Haniyeh aveva dichiarato che Hamas non intende fare concessioni politiche agli Stati Uniti ed Israele, malgrado i palestinesi siano molto provati dall' «assedio economico».
Parlando a braccio e con foga, mentre a Gaza proseguivano aspri scontri armati fra miliziani di al-Fatah e di Hamas (un morto, dieci feriti), Abu Mazen ha detto che si attende che che entro 10 giorni le principali forze politiche mettano a punto una piattaforma politica realistica. Ad esempio, basata su un documento concordato in una prigione israeliana da figure di spicco della intifada come Marwan Barghuti (al Fatah), Abdul Khaleq el-Natshe (Hamas), Abdel Rahim Malluh (Fronte popolare) e Bassam Saadi (Jihad islamica).
Il documento in 18 punti stabilisce che i palestinesi anelano a creare uno stato indipendente in Cisgiordania e Gaza, con Gerusalemme Est per capitale; che milioni di profughi hanno diritto a tornare nella Palestina storica e a ricevere indennizzi; che i «prigionieri» devono essere liberati; e che fintanto questi obiettivi siano raggiunti i palestinesi hanno il diritto a condurre operazioni «di resistenza armata di vario tipo» nei Territori, da affiancare alla attività diplomatica.
«Voglio parlarvi in maniera franca - ha detto Abu Mazen ai dirigenti politici convenuti a Ramallah e a Gaza - Il tempo è agli sgoccioli». La stampa palestinese di ieri esprimeva il timore che a Washington il premier israeliano Ehud Olmert sia riuscito ad ottenere un via libera, almeno in principio, a completare la Barriera di sicurezza e a condurre un vasto piano unilaterale di riassestamento in Cisgiordania. Da qui, il senso di urgenza di Abu Mazen.
Abu Mazen ha imposto una scadenza precisa: «Avete dieci giorni di tempo. Se entro questa scadenza non avrete trovato una intesa, ve lo dico francamente, sottoporrò il documento dei detenuti a un referendum».
La prima reazione di Hamas è stata di sbigottimento. In un precedente intervento il premier Haniyeh (Hamas) aveva posto l'accento su altri temi, di carattere interno, giudicandoli prioritari. Aveva lamentato che il ministero degli interni (preposto al mantenimento dell'ordine pubblico) non fosse ancora riuscito ad ottenere la cooperazione delle forze di sicurezza, in buona parte affiliate ad al-Fatah. Hamas, che pure ha vinto le elezioni, ha la sensazione di non aver ricevuto ancora da Abu Mazen gli strumenti necessari a governare. Haniyeh aveva anche ribadito che i palestinesi sono decisi a tener testa alle pressioni internazionali, pur di non cedere posizioni politiche. Poco dopo Abu Mazen ha ribattuto che «con gli slogan non riusciremo a riempire lo stomaco dei nostri figli».
Scettico sul valore del referendum proposto da Abu Mazen è Graziano Motta che su AVVENIRE scrive:
Il vistoso successo della missione in america del premier israeliano Ehud Olmert (...) pone però una serie di interrogativi sulle prospettiva di ripresa del dialogo con i palestinesi. Perché se è vero che questo viene invocato da Bush e trova Olmert più che disponibile a tesserlo, non può concretizzarsi per il fatto che restano entrambi fermi nel considerare prioritario un cambiamento di rotta del governo palestienese, che per principio si rifiuta di riconoscere lo Stato di Israele, e quindi gli accordi che in passato sono stati conclusi con esso, e non intende rinunciare alla lotta armata. Cambiamento di rotta che dovrebbe imporre il presidente Abu Mazen, del quale Stati Uniti e Israele riconoscono l'autorevolezza e la legittimità. Ma Abu Mazen sta evitando di chiedere una risposta conseguente da Hamas, dai leader del movimento e dal governo, perché sa di non poterle ottenere, e quindi cerca di aggirare l'ostacolo con l'idea di un referendum. Dal questito tuttavia ovvio e dall'esito scontatissimo, perché sulla creazione di uno Stato palestinese entro i confini - meglio la linea di armistizio che include anche la "città vecchia di Gerusalemme - del 1967 tutti i palestiensi sono d'accordo. Sono divisi invece su come raggiungere questo obiettivo, se con un negoziato con Israele come sostiene Fatah ovvero con una tregua chen non esclude la cessazione
tregua che non esclude la "cessazione", o la "ripresa" della "lotta armata" ?
come vuole Hamas. Ben diverso sarebbe il valore di un referendum se esplicitasse la prospettiva del dialogo con lo Stato ebraico
Positivo, invece, il giudizio del FOGLIO, che vede "presupposto" nei termini della proposta di Abu Mazen il riconoascimento di Israele.
Ecco il testo: