Diamo i soldi ad Hamas: continua una campagna cinica e menzognera
spacciata per "umanitaria"
Testata:
Data: 18/05/2006
Pagina: 13
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: Beni:
La campagna dell'UNITA' per la ripresa dei finanziamenti all'Anp di Hamas continua con un'intervista a Paolo Beni, presidente nazionale dell'Arci.
E' importante sottolineare che la campagna si fonda sulla disinformazione: deliberatamente si tace dell'alternativa rappresentata dall'ipotesi di fornire i fondi ad Abu Mazen, si tace del fondo d'investinmmenti palestinese, dal quale Abu Mazen potrebbe attingere per rimediare alla crisi finanziaria dell'Anp, si tace della natura terrorista del governo di Hamas, che ha addirittura dato al terrorista Jamal Abu Samhadana la responsabilità di un nuovo corpo di polizia. Si tace della corruzione e delle ruberie che hanno sistematicamente distrutto le finanze palestinesi.
In luogo dei fatti, sulle pagine dell'UNITA' si trova una grande quantità di inviti a scommettere sull'"evoluzione" di Hamas.
Scommesse sulla pelle di Israele e degli isrealiani.
Di seguito, l'articolo:
L’appello di Sari Nusseibeh non deve cadere nel vuoto, non solo per le gravi ragioni umanitarie che lo ispirano ma anche per le sue implicazioni politiche». A sostenerlo è Paolo Beni, presidente nazionale dell’Arci, una delle associazioni di massa più impegnate a favorire la cooperazione e nel dialogo in Medio Oriente.
Sull’Unità, il rettore dell’Università Al Quds di Gerusalemme Est, Sari Nusseibeh, ha lanciato un drammatico appello all’Europa, a cui ha fatto seguito quello del presidente dell’Anp Abu Mazen, perchè sia scongiurato il rischio di un disastro umanitario nei Territori.
«L’appello di Sari Nusseibeh, colomba palestinese, non deve cadere nel vuoto. Le ragioni umanitarie si commentano da sole, perchè la situazione del popolo palestinese è veramente disperata. Ma questo appello va ripreso e sostenuto anche per ragioni politiche...».
Quali sono le motivazioni politiche?
Non va dimenticato che c’è un impegno della Comunità internazionale a sostenere l’Autorità palestinese che non viene da ieri; questo impegno è stato sancito da tutte le intese internazionali, a cominciare dagli accordi di Oslo-Washington del 1993. Un impegno confermato in tutte le istanze diplomatiche. Non si tratta, è bene sottolinearlo, di un impegno solo di assistenza umanitaria, ma è un impegno che trova la sua fondamentale ragion d’essere nel nodo della questione palestinese: l’Anp pur essendo un governo effettivo riconosciuto dalla Comunità internazionale, non ha però la possibilità di svolgere le funzioni istituzionali che gli competono, a causa della situazione anomala e illegale dell’occupazione israeliana dei Territori. L’Autorità palestinese non è in condizioni di garantire i bisogni fondamentali della popolazione, così come non è in grado di assicurare il funzionamento dell’apparato amministrativo, e questo non perchè non siano capaci a farlo, ma perchè sono oggettivamente impediti dalla situazione dell’occupazione; una situazione illegittima, riconosciuta come tale dalla Comunità internazionale, rispetto alla quale c’è una responsabilità politica».
Usa e Ue hanno deciso di usare lo strumento del blocco degli aiuti economici all’Autorità palestinese come «arma» di pressione politica sul governo targato Hamas perché modifichi i propri orientamenti. È questa la strada giusta, produttiva, per rilanciare il dialogo?
«Io credo che questa sia la strada per ottenere l’effetto opposto: il blocco degli aiuti finirà per aggravare le condizioni materiali, già disperate, del popolo palestinese, per incoraggiare l’escalation della violenza e della tensione. Se vogliamo davvero lavorare ad una iniziativa diplomatica di pace che abbia una possibilità di riuscita positiva, allora è necessario porre lo Stato palestinese in formazione nelle condizioni di non distruggere o veder distrutto quel poco che è riuscito a costruire di spazio pubblico, di riconoscibilità delle istituzioni e di organizzazione dell’infrastrutturazione pubblica . Il problema è tutto politico , ed è il problema di Hamas. Qui bisogna dire con una certa nettezza ciò che hanno sostenuto gli osservatori internazionali che hanno seguito le elezioni nei Territori. La Comunità internazionale ha chiesto ai palestinesi di svolgere elezioni democratiche, queste elezioni sono avvenute con la presenza di osservatori internazionali, si sono svolte democraticamente e i palestinesi hanno democraticamente scelto. Hanno scelto una soluzione che non era quella auspicata dalla Comunità internazionale, ma quella scelta è pienamente legittima e impone a tutti di confrontarsi e dialogare con questa situazione che si è creata. E varrebbe la pena riflettere sul fatto che proprio le vessazioni subite in tutti questi anni dal popolo palestinese hanno avuto un peso notevole nell’affermazione di Hamas. Il rifiuto del dialogo da parte di Israele non può non influire sulle determinazioni dei palestinesi. Proseguire su questa strada, quella dell’unilateralismo, sarebbe esiziale. Per tutti. Occorre invece confrontarsi con quelli che i palestinesi hanno scelto, liberamente, come propri rappresentanti».
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