"Nucleare Bush non risponde ad Ahmadinejad", titola il CORRIERE della SERA del 10 maggio 2006 (cliccare a fianco per ingrandire).
Il MESSAGGERO : "Bush: a Teharn non rispondo". Il MATTINO: "Lettera di Ahmadinejad, Bush non risponde".
Si tratta di scelte fuorvianti, perché la vera notizia sarebbe che la lettera del presidente iraniano altro non era che una filippica propagandistica contro la liberaldemocrazia, l'America e Israele, negazionista e complottista sull'11 settembre. E che non conteneva nessuna proposta sul contenzioso circa i programmi nucleari che oppone l'Iran alla comunità internazionale Non che Bush, del tutto comprensibilmente, non ha risposto.
La disinformazione é ancora più grave su EUROPA e sul MANIFESTO, giornali nei quali la lettera viene accreditata come "apertura" iraniana anche negli articoli.
Riportiamo di seguito "Una lunghissima lettera. Senza risposta", di Siavush Randjbar-Daemi, dal quotidiano delle Margherita:
È stato un inizio, non un cambio di rotta. La lettera con cui per la prima volta in ventisette anni un capo di stato iraniano ha comunicato direttamente con il suo pari grado americano ha deluso le aspettative di chi si attendeva un clamoroso dietro-front nelle posizioni di Teheran. Secondo le agenzie di stampa Associated Press e Reuters, nella lunghissima lettera – che si estende per ben 18 pagine – il presidente iraniano si è lanciato in una dettagliata analisi delle numerose pecche che ritiene di aver individuato nella politica americana, a partire dalla gestione della tragedia dell’11 settembre, su cui rimarrebbero «molti punti oscuri».
Secondo Ahmadinejad, le invasioni di Iraq – per cui gli Usa avrebbero mentito su vasta scala e causato la morte inutile di migliaia di soldati americani e civili iracheni – e Afghanistan avrebbero creato una forte opposizione alle politiche americane in seno all’opinione pubblica mondiale.
Il presidente iraniano ha poi sostenuto che il pensiero liberaldemocratico, pilastro dei sistemi politici occidentali, è in «inevitabile declino». Non poteva mancare un accenno a Israele, oggetto dei più forti attacchi del presidente iraniano. Dopo aver condannato il forte legame tra gli Stati Uniti e lo stato ebraico, Ahmadinejad si è domandato come mai «il progresso tecnologico- scientifico che sta prendendo corpo in Medio Oriente deve esser interpretato come minaccia al regime sionista ». Il riferimento implicito al programma nucleare iraniano è evidente: secondo l’ex sindaco di Teheran, non vi è alcuna intenzione, da parte della Repubblica islamica, di utilizzare la neo-acquisita autosufficienza in campo atomico per aggressioni contro qualunque paese, Israele incluso.
Sebbene piena di forti critiche nei confronti di Washington, la missiva cerca pure di individuare punti di intesa.
Come alcuni suoi predecessori, Ahmadinejad ha tentato la via religiosa per avvicinare le sue altresì distanti posizioni con quelle di Washington. Apprezzando il fatto che Bush sarebbe «un seguace degli insegnamenti di Gesù Cristo », Ahmadinejad si è compiaciuto che «le genti di tutto il mondo stanno convergendo su un punto focale: il credo in Dio onnipotente». Bush dovrebbe quindi mettere da parte le politiche guerrafondaie, distanti dagli insegnamenti dei profeti comuni di Islam e Cristianesimo.
Tra richiami alla fede e forti critiche, l’inedita lettera del presidente iraniano assume i contorni di una lezione impartita da «quell’umile insegnante» che Ahmadinejad sostiene sempre di essere.
La parte americana, che non intende inviare una risposta formale, ha reagito negativamente. Condoleezza Rice ha affermato come la lettera «non presenti nulla di nuovo» sulla patata bollente nucleare e non sia un veicolo per dirimere le tensioni attuali. L’iniziativa iraniana sembra avere però creato uno stallo in seno al massimo organo Onu. Una riunione a livello di ministri degli esteri dei cinque membri permanenti del consiglio di sicurezza più la Germania non ha raggiunto alcun accordo su una bozza di risoluzione presentata nei giorni scorsi da Gran Bretagna e Francia, in cui si intima a Teheran di cessare ogni attività correlata all’arricchimento dell’uranio pena la comminazione di misure punitive come previsto dal capitolo 7 della Carta delle Nazioni Unite.
A fomentare l’opposizione congiunta di Russia e Cina alle pressioni occidentali ci ha pensato il caponegoziatore nucleare Ali Larijani, che da Atene ha categoricamente affermato – a differenza di quanto sostenuto da oltre 150 deputati del parlamento iraniano – che il suo paese non intende abbandonare il Trattato di non proliferazione nucleare (Tnp), che vieta esplicitamente ai firmatari la produzione e la detenzioni di armamenti atomici. Larijani ha fatto però una distinzione tra il Tnp ed il suo Protocollo addizionale, che da via libera alle ispezioni dell’Aiea e alla quale l’Iran potrebbe venir meno qualora fosse promulgata una risoluzione aspra nei suoi confronti.
Conscio di poter “contare” su un consiglio di sicurezza ben distante dall’unanimità sul suo caso, l’Iran ha quindi scelto la strategia del “divide et impera”, lanciandosi in numerose offensive contemporanee per convincere una parte consistente della comunità internazionale – in cui vi è pure la maggioranza dei paesi del Terzo Mondo – che esiste una via diplomatica d’uscita dalla crisi. Malgrado la posizione ferma dei paesi occidentali, è proprio la crescente popolarità delle vedute di Ahmadinejad tra le opinioni pubbliche dei paesi emergenti che sta momentaneamente frenando l’offensiva anglo-americana. Prima di partire per Giakarta, dove è atteso per una visita ufficiale di sei giorni nel più grande paese islamico del mondo (che ha già fatto sapere di appoggiare le «ambizioni nucleari pacifi- che» dell’Iran) Ahmadinejad ha affermato di aver «rappresentato il pensiero del popolo iraniano» e di attendere una risposta esaustiva da parte di George Bush stesso, chiamato a fronteggiare le imprevedibili acrobazie diplomatiche del suo inatteso interlocutore con quelle contromisure, sempre diplomatiche, che continua a sbandierare come “opzione numero uno” per sbrogliare la crisi.
E, dal MANIFESTO, "Bush non risponde alla lettera di Tehran" , di Stefano Chiarini:
I l presidente Bush non ha alcuna intenzione di rispondere alla lettera inviatagli dal suo collega iraniano Mahmud Ahmadinejad per sbloccare la pericolosa crisi del nucleare iraniano. Eppure la lettera iraniana costituisce il primo contatto diretto da 27 anni, da quel 1980 quando un gruppo di studenti seguaci dell'ayatollah Khomeini irruppe nell'ambasciata americana a Tehran occupandola e sequestrando per 444 giorni tutto i personale presente nell'edificio. Da allora Usa e Iran non hanno più avuto alcun rapporto ufficiale.
L'annuncio di Washington che non vi sarebbe stata alcuna risposta scritta da parte di Bush al messaggio del presidente iraniano è arrivato ieri sera, ipotecando l'avvio di un possibile dialogo. Secondo il segretario di Stato Condoleeza Rice il presidente Usa avrebbe respinto la lettera iraniana perché «non si tratta di un'apertura diplomatica», non porterebbe «nulla di nuovo» e non tratterebbe il contenzioso nucleare al centro della crisi. In realtà gli Usa, perseguendo una politica di «cambio di regime» a Tehran, non sembra siano disposti - ufficialmente - a trattare alcunché con il presidente iraniano tanto che lo stesso presidente Bush, fedele all'agenda dei suoi consiglieri «neocon», parlando in Florida, ha dichiarato ieri senza mezzi termini «Spero di poter un giorno dire agli iraniani "Siete liberi e possiamo avere relazioni normali"».
In ogni caso la lettera di Ahmadinejad, così come l'impegno a non uscire dal trattato di non proliferazione nucleare (a differenza di quanto fa da anni Israele) hanno rafforzato la posizione iraniana e quella di Russia e Cina che al Consiglio di sicurezza dell'Onu si sono opposte con forza al progetto di risoluzione presentata da Gran Bretagna e Francia per conto degli Usa. Una risoluzione nella quale la richiesta all'Iran di sospendere l'arricchimento dell'uranio si accompagna ad un ultimatum di un mese e che, soprattutto, per fa riferimento al Capitolo 7 della Carta delle Nazioni Unite aprendo la strada, in caso di inadempienza, all'adozione di sanzioni e all'uso della forza.
Nella sua missiva il presidente iraniano critica duramente la politica dell'attuale amministrazione americana, soprattutto per quanto riguarda la guerra in Iraq «che ha portato nel baratro occupanti e occupati», e il sostegno acritico ad Israele e fa appello a Bush perché segua «la fede in Dio e gli insegnamenti nei Profeti». La lettera, secondo il ministro degli esteri iraniano Asefi, non avrebbe avuto l'obiettivo di influenzare la discussione tra le grandi potenze sul dossier iraniano, tanto che sarebbe «una pura coincidenza» che essa sia stata inviata poche ore prima che a New York si riunissero i ministri degli Esteri dei cinque Paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell'Onu (Russia, Cina, Usa, Gran Bretagna e Francia), oltre che della Germania, per discutere il dossier iraniano. Ma, a dimostrazione dell'importanza che l'Iran attribuisce all'iniziativa, il quotidiano filogovernativo Teheran Times (in lingua inglese) ha pubblicato ieri in prima pagina un eloquente fotomontaggio: Ahmadinejad accanto a Bush sotto il titolo «L'Iran dà una nuova opportunità alla diplomazia». L'iniziativa del presidente iraniano di scrivere a Bush del resto sarebbe stata presa collegialmente dopo essersi consultato con la «guida suprema» Ali Khamenei, l'ex presidente Rafsanjani e Ali Larijani, consigliere per la sicurezza nazionale e responsabile dei negoziati sul nucleare. Quest'ultimo ha incontrato ieri ad Atene il ministro degli Esteri greco Dora Bakoyannis, alla quale ha ribadito che il suo Paese non ha alcuna intenzione di sviluppare armi nucleari e chiede quindi che la questione sia tenuta lontana dall'Onu e risolta invece nell'ambito dell'Agenzia atomica internazionale.
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