Qual'é la guerra del "soldato" Blondet ?
é quella contro Israele, non quella contro il terrorismo islamico e i suoi alleati comunisti
Testata:
Data: 28/04/2006
Pagina: 4
Autore: Maurizio Blondet
Titolo: Sangue per accelerare il ritiro delle nostre truppe

Per Maurizio Blondet , che scrive su La PADANIA del 28 aprile 2006 la strage  a Nassirya é stata fatta da strateghi razionali per i quali la guerra è la "continuazione della politica con altri mezzi" e con i quali dunque é possibile un atrattativa.
La strage del Mar Rosso  é invece dovuta a "altre menti" che perseguono il "caos"
Si tratta naturalmente di Israele. Blondete non loscrive a chiare lettere, ma losuggerisce e a chiare lettere lo ha scritto sul sito effedieffe in un articolo dall'inequivocabile titolo "Come la solito, il Mossad".
Per avvalorare le sue tesi complottiste, Blondet si serve ampiamente di un artcolo di Cécille  Henion pubblicato da  Le Monde, sottoponendolo a un'attenta opera di selezione e manipolazione.
Se davveri l'Egitto non ha vera sovranità sul Sinai come ha fatto ad arrestarvi 3500 persone dopo gli attentati di Taba?. Questa informazione viene infatti censurata da Blondet.
Al pari della denuncia, da parte di Ashraf Ayub, candidato alle ultime elezioni egiziane del partito della sinistra marxista Tagammu della propaganda islamista tra i beduini e delle discriminazioni che questi subiscono da parte del Cairo.
Chiaro che che queste denunce  vadano occultate, se la tesi é che sono gli agenti di Israele a spingere i beduini a compiere attentati.
In questo quadro l'apertura dell'articolo, nella quale Blondet si scaglia contro gli estremisti rossi complici del terrorismo islamico appare per quallo che é : una captatio benevolentiae  ai lettori della PADANIA, per rendere più agevole l'istillazione delle "verità" che al giornalista stanno davvero a cuore.

Il "nemico principale" principale, per Blondet, non sono i terroristi antiitaliani che operano in Iraq, ma i "malvagi giudei" (testuale nel sito effedieffe) di Israele.

Ecco il testo:

Dietro all’attacco ai nostri soldati a Nassiriya c’è una lucida mente strategica. Che calibra le sue azioni mortali sulla situazione internazionale, di cui è perfettamente al corrente. In questo caso, ben informata sulla situazione italiana, ha palesemente voluto fornire al governo Prodi un motivo per affrettare il ritiro del contingente dall’Iraq, come esige la sinistra no-global e bertinottiana. E chi informa così bene la “mente” assassina di Nassiriya di quel che succede a Roma? Fate un po’ voi. Ricordate che solo poche ore fa, nel corteo del 25 aprile, a bruciare le bandiere israeliane insieme ai no-global nostrani si sono visti parecchi palestinesi. Con uno sforzo di memoria, si può ricordare che nel 1998, epoca del governo D’Alema, la prima azione del ministro della Giustizia appena entrato in carica - tale Oliviero Diliberto - fu di dare asilo “politico” al terrorista Ocalan, capo del partito comunista curdo. Abdullah Ocalan arrivava direttamente in aereo da Mosca, con documenti falsi, perché ricercatissimo dalla Turchia - con cui Diliberto provocò una crisi diplomatica. Allora il capo del governo - Massimo D’Alema appunto - negò alla Turchia l’estradizione del terrorista.
Un altro sforzo di memoria. Ricordate? Fra gli assassini del povero Quattrocchi, l’ucciso delle quattro guardie del corpo italiane sequestrate in Iraq, ce n’era uno che parlava la nostra lingua. E le sinistre, qui da noi, non fecero che bollare come “mercenari” i quattro poveri connazionali, che erano in quelle mani.
Conclusione: i rapporti fra i nostri ultrà rossi con i vari movimenti guerriglieri, terroristi e fondamentalisti anti-americani, sono costanti, intensi e coordinati. La loro contiguità ideologica è evidente. E questi ultrà sono oggi al governo. Anzi, lo guidano loro - e non Prodi - a forza di colpi di mano e di fatti compiuti. La seconda strage di Nassiriya è il primo effetto collaterale di questa collaborazione. E della sinistra al potere.
In ogni caso, nella strage di Nassiriya è all’opera un vero comando strategico. I suoi scopi, freddamente perseguiti, sono chiari. Il contrasto è stridente con gli attentati che si susseguono sul Mar Rosso, assai più ambigui e indecifrabili. «Non vi si scorge alcuna logica politica», ha detto alla Bbc Aldwyn Wight, generale di brigata inglese, esperto di Medio Oriente. Ma regimi islamici pro-occidentali, come Pakistan e Arabia Saudita, devono vedercene una, perché gli attentati di Dahab li hanno indotti a rafforzare la sicurezza interna: temono di essere il bersaglio dei prossimi attentati, dice Salem Syed Shahzad, giornalista pakistano ben ammanicato coi servizi del suo Paese. Ha un’idea sugli attentatori del Mar Rosso: «Sono probabilmente takfiris, fanatici che bollano tutti i musulmani non-praticanti come infedeli». I sauditi accusano i “salafiti” che loro stessi, con il loro fondamentalismo wahabita, hanno finanziato ed alimentato per anni: ora i predicatori sauditi sono arrivati nel Sinai.
Che gli esecutori materiali siano i beduini del Sinai, il governo egiziano non ha dubbi. Questi nomadi impoveriti, feroci pecorai-predoni il cui codice d’onore prevede la vendetta, la rapina delle carovane e il saccheggio come modo di vita, chiusi nelle loro kabile, obbedienti solo ai loro capi, sono dediti ad ogni genere di traffici illegali attraverso l’incontrollabile deserto del Negev. Certe tribù coltivano il bango (la cannabis locale) che rivendono ai turisti occidentali sulla costa del Mar Rosso, altri il papavero da oppio nei torrenti asciutti (“uadi”) infossati nel deserto; tutti più o meno sono coinvolti nel traffico di immigrati clandestini e prostitute verso Israele, e di armi russe, cinesi e israeliane nei due sensi. La repressione egiziana non fa che renderli sempre più ostili verso il Cairo, e pericolosi.
Perché sono armatissimi, ha spiegato a Le Monde il generale egiziano Yehya Agami, che cerca con poco successo di esercitare un controllo su questi figli del deserto. «Nel Sinai abbiamo combattuto due guerre contro Israele, nel 1967 e nel 1973. La bonifica di armi, mine ed esplosivi è durata anni. I beduini hanno avuto tutto il tempo di fare scorta di armamenti anche pesanti».
Aggiunge: «Quando hanno dei problemi, sanno come passare in Israele. È gente che vuole solo essere lasciata tranquilla, ma non potete immaginare di cosa è capace, per un po’ di soldi».
I comandi egiziani tendono ad accusare Israele per l’incontrollabile situazione del Sinai. «È ben nota la capacità del Mossad di infiltrare i beduini del Sinai», ha detto subito dopo la strage di Dahab il generale Salah al-Din Salim, che dirige l’Istituto di Studi Strategici del Cairo. E ha fatto notare che il capo dell’antiterrorismo israeliano, Danny Arditi, aveva emesso un avviso ai turisti del suo Paese, di stare alla larga dagli albergi del Mar Rosso, poco prima di Dahab.
C’è ovviamente una paranoia complottista in queste asserzioni. Ma si basa su un fatto obbiettivo. Israele, che ha occupato il Sinai per vent’anni ed ha dovuto restituirlo controvoglia nell’82 in base agli accordi di pace con l’Egitto, ha però posto delle condizioni che limitano la sovranità egiziana. Israele ha voluto una vasta area (detta “Zona C” nei documenti diplomatici) fosse smilitarizzata. Gli egiziani non possono tenerci che qualche poliziotto. Il controllo è affidato a “Forze Multinazionali d’Osservazione” con 1900 uomini di 11 nazionalità, ma per oltre la metà americani. Tali “forze”- attualmente sotto comando italiano, per rotazione - possono solo “osservare”, ma mai intervenire. Spettatori impotenti di traffici d’ogni genere.
E la frontiera, lì, è permeabile al massimo. Per volontà d’Israele la “zona C” è il solo luogo in cui cittadini israeliani possono passare in Egitto senza visto né controllo passaporti, ed arrivare fino a Sharm el-Sheikh. Insomma il luogo è solo nominalmente sotto sovranità egiziana. In realtà è un porto franco con sale da gioco e hotel a cinque stelle a disposizione di Israele, frequentato da “agenti operativi” di ogni servizio immaginabile, e luogo di incontri per affari illegali che si vogliono tenere segreti: in questa funzione di “terra di nessuno”, Taba ha sostituito la Beirut di trent’anni fa. L’Hotel Hilton di Taba, costruito dagli Israeliani durante l’occupazione e a pochi metri dal confine Egitto-Israele, è il luogo privilegiato di un certo tipo di incontri, negoziati e trattative occulte. Il 7 ottobre 2004, quando terroristi ignoti fecero saltare l’albergo non già per mezzo di un kamikaze, ma con un sofisticato telecomando (34 morti, fra cui 11 israeliani), si disse che da meno di mezz’ora vi fosse in corso una riunione fra ex azionisti della Yukos (per lo più ebrei russi, miliardari, oligarchi) che stavano studiando come riprendersi la Yukos stessa, che Putin aveva appena sequestrato al suo proprietario, l’oligarca Khodorkovsky. «È stata Al Qaeda, disse Israele. Ma secondo alcuni, era stato un “avvertimento” tecnicamente perfetto del vecchio Kgb. Nemmeno un mese prima, il 10 settembre, il generale Yuri Baluievsky, capo di S.M., aveva annunciato che Mosca aveva adottato la “dottrina Bush“: la facoltà di assestare “colpi preventivi e mirati” contro “basi terroristiche” anche “al di fuori dei confini della Russia”.
Fatto sta che appena scoppiata la bomba, squadre israeliane armate sono penetrate in massa in quel lembo di territorio presunto egiziano, per soccorrere i feriti, ma anche - si dice - per far sparire i resti di 16 russi, alcuni dei quali rimasti senza nome, che erano rimasti uccisi insieme agli 11 israeliani: non tutti vacanzieri, a quanto pare.
Insomma, ciò che accade nel Sinai ha una indecifrabile ambiguità. Ed è comprensibile che gli egiziani facciano notare la stranezza di una “Al Qaeda” che colpisce ostinatamente il turismo egiziano, sola vera fonte di valuta estera per il Cairo. «Lo scopo ultimo di Israele è di mettere l’Egitto in ginocchio e di eliminare il suo ruolo nella regione», ha detto Abdullah Al-Ashal, alto funzionario del ministero degli Esteri egiziano. Se abbia qualche ragione, non sapremmo dire. Ma nella “lotta al terrorismo islamico”, sarà bene tenere a mente le strategie multiple di un nemico plurimo e inafferrabile. Una cosa è l’attentato contro i nostri soldati a Nassiriya, frutto di una mente strategica fin troppo ben informata sulle cose politiche italiane; un’altra le stragi indiscriminate, sul Mar Rosso come in Iraq. La prima mente segue con precisione il dettato di Von Clausewitz: «La guerra è la continuazione della politica con altri mezzi». Le altre menti, perseguono una “strategia della tensione”, una “gestione del caos”; che spaventa anche i musulmani. Non solo Mubarak, ma anche Hamas. E il Pakistan. E l’Arabia Saudita.

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