Al Qaeda contro Hamas
l'improbabile scenario di u.d.g.
Testata:
Data: 24/04/2006
Pagina: 8
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: Bin Laden minaccia chi punisce Hamas - Al Qaeda-Iran-Siria Abbraccio mortale sul Medio Oriente -«All’Europa diciamo: non abbiate paura di Hamas»

L'UNITA' del 24 aprile 2006 pubblica una cronaca di Umberto De Giovannangeli sul messaggio di Bin Laden, nella quale le affermazioni del leader di Al Qaeda sono riportate senza commenti, dando l'impressione che almeno le accuse all'Occidente di aggredire l'islam, mosse dal capo terrorista, possano essere prese in seria considerazione.
E' chiaro invece che i tre contesti citati da Bin Laden sono esempi lampanti di aggressione da parte di poteri o gruppi che si richiamano all'islam: l'aggressione del terrorismo palestinese contro i civili israeliani, quella del governo fondamentalista sudanese contro le popolazioni del Darfur e quella del fronte fondamentalista mondiale contro la libertà di espressione in Danimarca.
Ecco il testo: 
  

«IL RIFIUTO DI HAMAS da parte dell’Occidente, malgrado la sua vittoria alle elezioni, prova che si tratta di una guerra di crociati e di sionisti contro l’Islam». Parola dello sceicco del terrore, al secolo Osama Bin Laden. Il capo di Al Qaeda torna a farsi vivo attra-
verso un messaggio audio mandato in onda dall’emittente qatariota Al Jazira. Ancora una volta il famigerato capo di Al Qaeda sceglie di non mostrare la sua immagine e di limitarsi a far giungere al mondo solo la sua voce registrata, che secondo le prime analisi appare proprio la sua. Una tecnica adottata sin dal 10 settembre 2003, data a cui risale il suo ultimo video, che lo mostrava mentre cammina su un sentiero di montagna assieme al suo braccio destro Ayman al Zawahiri. Da allora, solo cassette audio, cinque, l’ultima delle quali è stata diffusa il 19 gennaio scorso.
La questione palestinese torna ad essere il cavallo di battaglia di colui che continua a tenere le fila del nework del terrore jihadista. Bin Laden afferma che «il mondo è rimasto muto di fronte alle flagranti violazioni e ai raid israeliani contro i palestinesi oltre che di fronte alla distruzione della prigione di Gerico fatta in combutta con la Gran Bretagna».
Lo sceicco saudita accenna poi al conflitto in atto nella regione sudanese del Darfur e alle vignette satiriche raffiguranti il profeta Maometto, la cui pubblicazione da parte di alcuni giornali europei aveva infiammato il mondo arabo-musulmano, e naturalmente l’Iraq. Per quanto riguarda il Sudan ed in particolare la regione teatro da oltre tre anni di un violento conflitto interetnico che ha provocato due milioni di sfollati, Bin Laden rivolge un appello «ai mujahiddin e ai loro sostenitori perchè preparino una lunga guerra contro i saccheggiatori crociati del Sudan occidentale» sottolineando come «il nostro obiettivo» non sia «difendere il governo di Khartoum ma l’Islam, le sue terre e la sua gente».
Quanto alle vignette su Maometto, il leader di Al Qaeda ha esortato i musulmani «a continuare il boicottaggio agli Stati Uniti e ai Paesi europei che hanno solidarizzato con la Danimarca», sui cui giornali per la prima volta apparvero le caricature nel settembre dello scorso anno. «Coloro i quali hanno recato danno al Profeta siano consegnati ad Al Qaeda», aggiunge lo sceicco del terrore, precisando che questa richiesta ricalca quella fatta dagli Usa ai Talebani nel 2001 perchè «consegnassero Bin Laden dopo gli attacchi dell’11 settembre del 2001». E infine l’Iraq. «La guerra è una responsabilità condivisa tra il popolo e i governi - sostiene -. La guerra continua e la gente rinnova la sua devozione ai governanti e ai padroni. Mandano i loro figli nell’esercito per combatterci e proseguono nel loro sostegno morale e finanziario, mentre i nostri Paesi vengono bruciati, le nostre case bombardate e la nostra gente uccisa». I leader occidentali, si afferma ancora nel messaggio, «non vogliono una tregua, a meno che non sia solo da parte nostra...essi insistono nel continuare la loro campagna crociata contro la nostra nazione e nel saccheggiare le nostre ricchezze».
Lo sceicco del terrore rilancia la sua Jihad globalizzata contro l’Occidente, accomunando governi e popoli: «I vostri aerei e carri armati - sibila rivolgendosi ai potenti della Terra e ai popoli che li supportano - distruggono le case sulla testa della nostra gente e bambini in Palestina, Iraq, Afghanistan, Cecenia e Pakistan e poi ci sorridete dicendo che non siete nemici dell’Islam ma nemici del terrorismo e auspicate il dialogo invece del conflitto tra culture. La realtà dimostra che si tratta solo di menzogne».
Il sostegno del capo di Al Qaeda imbarazza Hamas. Da Gaza, il portavoce del movimento integralista palestinese, Sami Abu Zuhri, pone l’accento sulle differenze ideologiche che esistono fra il suo gruppo e Osama Bin Laden. «L’ideologia di Hamas - dice - è completamente diversa rispetto a quella dello sceicco Bin Laden». Abu Zuhri tuttavia concorda che «l’assedio internazionale cui è sottoposto il popolo palestinese» creerà tensioni nel mondo arabo. «Se l’assedio dell’Occidente continua contro Hamas - avverte Abu Zuhri - questo creerà tensioni nelle strade della Palestina e del mondo arabo».

L'editoriale dello stesso u.d.g. rappresenta la quadratura del cerchio. Se al Qaeda non ha tutti i torti nel lamentare l'isolamento di Hamas, non per questo il gruppo palestinese può essere assimiliato al pericolo pubblico nunero uno del mondo.
Anzi, l'abbraccio di Osama Bin Laden lo "danneggia".
Naturalmente é vero che Hamas ha tutto l'interesse a distinguersi da Al Qaeda, per poter trarre vantaggio dal "dialogo" con la comunità internazionale, che sarebbe costretta a interrompere ogni rapporto se si costituisse un'organica e aperta alleanza del gruppo palestiense con Bin Laden .
Ma da qui a sostenere che la penetrazione di Al Qaeda nei territori minacci in primo luogo Hamas ce ne corre.
Hamas e Al Qaeda sono organizzazioni rivali, non nemiche:condividono l'ideologia islamista, i metodi terroristici e l'obiettivo della distruzione di Israele.
Ecco il testo:


La solidarietà in audio dello sceicco del terrore. Il sostegno sbandierato del regime iraniano impegnato nella «sfida nucleare» all’Occidente. Quello non meno ingombrante di Damasco: il fronte del rifiuto, e il network del terrore jihadista, cercano di allungare i loro «tentacoli» sulla Palestina e arruolare nelle proprie fila Hamas. Un abbraccio che rischia di rivelarsi mortale per i leader islamici. Ed esiziale per i destini del popolo palestinese e della pace in Medio Oriente. I capi di Hamas sanno bene che dietro i proclami «solidali» di Osama Bin Laden si annida la proclamata, e praticata, volontà dei capi di Al Qaeda di fare, dopo l’Iraq, anche dei Territori la nuova frontiera della Jihad (guerra santa) globalizzata contro l’Occidente. Per questo il portavoce di Hamas si è subito affrettato a prendere le distanze dallo sceicco saudita. «L’ideologia di Hamas è completamente diversa - spiega Sami Abu Zuhri - rispetto a quella dello sceicco Bin Laden». Al tempo stesso, però, il portavoce di Hamas sviluppa un ragionamento che contiene in sé un implicito messaggio a Stati Uniti ed Europa. «L’assedio internazionale cui è sottoposto il popolo palestinese creerà tensioni nel mondo arabo e in Palestina», avverte Abu Zuhri.
Il messaggio a Usa ed Europa è chiaro: congelare gli aiuti salderà il rapporto tra il movimento islamico palestinese vincitore delle elezioni del 25 gennaio scorso con il variegato, e agguerrito, «fronte del rifiuto» arabo-musulmano. Sullo sfondo, a rendere ancora più inquietante lo scenario, c’è la crescente tensione nei Territori tra Hamas e Al Fatah. Dopo una riunione urgente l’altra notte a Gaza City fra esponenti dei due campi, Hamas e Fatah ieri mattina avevano lanciato appelli alla calma, auspicando una soluzione politica delle divergenze fra il governo del premier Ismail Haniyeh e il presidente Abu Mazen. Ma gli appelli alla calma cadono nel vuoto. Anche ieri si sono susseguiti incidenti e scontri. Il più grave al ministero della sanità a Gaza City, che alcuni miliziani del Fatah hanno cercato di occupare. Contro di loro hanno però aperto il fuoco i miliziani delle brigate Al Qassam, il braccio armato di Hamas, chiamati dalle nuove autorità palestinesi a presidiare i ministeri di Gaza City. Due miliziani di Al Fatah, un poliziotto e un civile sono stati feriti. «I tempi in cui si potevano attaccare impunemente le nostre istituzioni o la nostra polizia sono finiti: chiunque rivolga un’arma contro una delle nostre istituzioni rischia la morte», sentenzia il nuovo portavoce del ministero degli Interni, Khaled Abu Hillel, fino a poche settimane fa portavoce a Gaza di una cellula vicina a Hamas delle brigate Al Aqsa. Il braccio di ferro tra il governo Hamas e la Presidenza Abu Mazen rischia di degenerare in guerra civile. Una guerra su cui punta Al Qaeda per radicarsi nei Territori e portare la sua sfida mortale al «piccolo» Satana: Israele

Segnaliamo che nell'edizione on-line dell'UNITA' la tesi della non pericolosità (salvo ripensamenti) di Hamas per l'Occidente e in particolare l'Europa é già stata espressa, in un'intervista dell' 8 aprile, che riportiamo, da Abdel Aziz Al Dweik, presidente del Parlamento palestinese. L'acritico intervistatore era anche allora u.d.g.:

All’Europa diciamo: Hamas vi è amico, il popolo palestinese vi è amico. Non cedete alle pressioni di Stati Uniti e Israele. Non crediate che la logica del ricatto possa pagare e piegare un popolo orgoglioso come è quello palestinese. Bloccare gli aiuti significa infliggere non a Hamas ma all’intero popolo palestinese una iniqua punizione collettiva. Punire il popolo palestinese per aver scelto liberamente da chi farsi governare. Ritorsione: è questa la vostra democrazia?». A parlare è Abdel Aziz Al Dweik, 58 anni, presidente del Parlamento palestinese, una delle figure di primissimo piano di Hamas. «Hamas - sottolinea Al Dweik, professore di Geografia e Urbanistica all’Università Al-Najah di Nablus - ha ribadito più volte di essere disponibile a una “hudna” (tregua) di lunga durata. La risposta di Israele sono atti di terrorismo di Stato come quello compito l’altra notte nella Striscia di Gaza». In attesa della riunione dei ministri degli Esteri, domani a Lussemburgo, la Commissione Europea ha deciso di sospendere gli aiuti all’Anp. Qual è la risposta di Hamas?
«È un appello all’Europa a non farsi strumento di quella politica iniqua portata avanti da Israele e Stati Uniti. Il blocco degli aiuti non è solo un atto di profonda ingiustizia. È anche un atto controproducente per chi se ne fa interprete. Perché non solo nei Territori ma nell’intero mondo arabo, questo ricatto verrebbe inteso come l’ennesima riprova di quella odiosa politica dei due pesi e due misure che ha caratterizzato l’azione dell’Occidente nel conflitto arabo-israeliano. L’Europa può svolgere un ruolo fondamentale di mediatore in Medio Oriente. Ma deve dimostrarsi super partes, e non cedere all’unilateralismo di Israele e Stati Uniti».Un unilateralismo che sembra essere la cifra del futuro governo israeliano guidato da Ehud Olmert.
«Ogni atto unilaterale è un atto di guerra e non di pace. Perché calpesta i diritti della controparte, negandone l’esistenza stessa».L’Europa vi chiede di riconoscere Israele e porre fine alla violenza. Cosa c’è di inaccettabile in ciò?
«Le richieste, i diktat, i ricatti sono sempre e solo a senso unico. Israele ha irriso la legalità internazionale, ha disatteso tre risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, continua a confiscare terre palestinesi, a realizzare il muro dell’apartheid, a uccidere impunemente civili palestinesi, eppure nessuno ha mai usato lo strumento delle sanzioni economiche per imporre agli israeliani il rispetto se non dei diritti nazionali almeno dei diritti umani in Palestina. Oggi chiedono a noi di deporre le armi, ma quelle armi servono a difendere la nostra gente dall’esercito di occupazione e dai coloni che sono parte di questa occupazione. Non siamo gente assetata di sangue: le armi saranno deposte quando nascerà lo Stato indipendente di Palestina».La parola negoziato è bandita dal vocabolario politico di Hamas?
«Niente affatto. Siamo disposti a negoziare con il Quartetto (Usa, Ue, Onu, Russia, ndr.) una tregua fondata sul principio di “calma in cambio di calma”. Ma Israele sembra intendere solo il linguaggio della forza».Israele plaude alla decisione assunta dalla Commissione Europea e sottolinea il crescente isolamento internazionale di Hamas.
«Questa è solo propaganda, cattiva propaganda. Le ripeto: Hamas vuole un rapporto positivo con l’Europa per una ragione politica e non di soldi. Noi non siamo Al Qaeda, noi non abbiamo dichiarato la “jihad” contro l’Occidente».C’è chi paventa un allineamento del governo di Hamas con l’Iran di Ahmadinejad.
«Abbiamo rapporti con l’Iran come con tutti i Paesi musulmani. Cosa c’è di male in questo? Ma se Lei intende insinuare che gli aiuti economici dell’Iran possano fare di Hamas una forza eterodiretta, beh, si sbaglia di grosso. L’unica fonte di legittimazione di Hamas è il popolo palestinese».È ancora in piedi l’ipotesi, da Lei evocata in un nostro precedente colloquio, di sottoporre a un referendum popolare un accordo di pace fondato su due Stati?
«L’ipotesi non è tramontata, ma prima dovremmo sapere quali sono i confini di Israele, visto che ogni giorno questi confini vengono unilateralmente estesi con la forza».Domani (oggi, ndr.) il governo israeliano definirà la sua strategia nei confronti di Hamas. Cosa vi attendete?
«La conferma di una politica di aggressione. Condotta con assassinii politici e con lo strangolamento economico. Una politica cieca, destinata al fallimento, perchè neanche la più aggressiva potenza militare può annientare un popolo che lotta per i propri diritti. Il tempo non gioca a favore di Israele».Olmert si dice pronto a negoziare con una leadership palestinese moderata.
«A cosa serve inventarsi un interlocutore a proprio uso e consumo? Solo a guadagnar tempo, nient’altro. Un negoziato si fa con il nemico che conta, che può mettere in pratica le intese raggiunte, perchè ha il consenso necessario per poterlo fare. Hamas è questo: una componente ineliminabile della causa palestinese».Una componente che ha come obiettivo la distruzione dello Stato d’Israele.
«Il nostro obiettivo è costruite uno Stato indipendente sui territori occupati da Israele nel 1967. Uno Stato con Al Quds (Gerusalemme, ndr.) come sua capitale».

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