"Non tutti i kamikaze sono terroristi" avrebbe sostenuto Tzipi Livni, ministro degli Esteri israeliano secondo il titolo dell'UNITA' di mercoledì 12 aprile 2006.
E' evidente un'ommissione cruciale. Quella del criterio di distinzione, identificabile, secondo la Livni, nell'obiettivo dell'attentato suicida. Gli attacchi contro i civili sono inequivocabilmente terrorismo e nessuno può giustificarli, quelli contro i soldati possono essere considerate azioni di guerra, alle quali Israele ha comunque il dovere e il diritto di rispondere.
Il centro di questa argomentazione, al di là delle polemiche suscitate in Israele, consiste nel rigetto di ogni giustificazione delle stragi di civili israeliani come "lotta di liberazione". Nessuna motivazione politica, comunque la si valuti, può cambiare il fatto che chi si fa saltare in aria tra la gente é un terrorista.
La distinzione dalle azioni contro i soldati serve a circoscrivere un ambito nel quale negare la qualifica di "terroristiche" alle azioni contro gli israeliani si rivela palesemente come un'apologia di massacri indiscriminati. Smascherando così la propaganda delle stesse organizzazioni terroristiche, della Lega araba che blocca l'adozione all'Onu di una definizione condivisa di terrorismo e di quanti in Europa e negli Stati Uniti fanno eco a queste manipolazioni dei concetti e delle parole.
Tutto questo però scompare anche dall'apertura dell'articolo di u.d.g., che propagandisticamente pone la massima enfasi sulla parte relativa agli attacchi ai soldati, presentandola come una giustificazioni proveniente da una politica israeliana "da molti considerata la nuova Golda Meir"
Consigliamo a u.d.g di legggere l'articolo di Davide Frattini dedicato alla stessa vicenda, che é un esempio di come si fa un'informazione obiettiva e non propagandistica su un argomento così delicato come quello toccato dalle dichiarazioni della Livni.
Ecco il testo dell'articolo di u.d.g:
I PALESTINESI che attaccano soldati israeliani non possono essere considerati terroristi. Parola di Tzipi Livni, ministra degli Esteri israeliana, da molti considerata la «nuova Golda Meir» dello Stato ebraico. «Chiunque si batte contro i soldati israeliani è un nemico che deve essere combattuto, ma non penso che rientri nella definizione di terrorista se il suo obiettivo è un soldato», afferma la signora Livni nel programma «Nightline» del network statunitense Abc. Le sue dichiarazioni, subito riprese dalla radio pubblica, hanno scatenato dibattito e polemiche in Israele. Nell’intervista all’emittente americana, Tzipi Livni, che è anche ministra della Giustizia, ha al tempo stesso sottolineato che niente però può giustificare il terrorismo. «Bisogna fare di tutto - rimarca - per impedire che ai terroristi che sia riconosciuta una legittimità. Nessuno al mondo può guardarmi negli occhi e dirmi che un terrorista che si fa esplodere in un ristorante, in una discoteca o in un centro commerciale ha agito per ragioni legittime». Le parole della ministra hanno scatenato l’ira dell’estrema destra. «Livni legittima così gli attacchi contro i nostri soldati», tuona Uri Ariel, deputato oltranzista. «Il premier Ehud Olmert - aggiunge Ariel in una intervista alla radio dei coloni, Canale 7 - dovrebbe licenziarla in tronco, non è degna di fungere da ministro degli Esteri». Nata nel 1958, sposata e madre di tre figli, Tzipi Livni ha alle sue spalle una carriera che l’ha già vista in ruoli diversi. È stata infatti ufficiale nelle forze armate e poi ha servito per alcuni anni nel Mossad (il servizio segreto esterno israeliano). Laureata in legge, ha esercitato con successo la professione di avvocato per una decina di anni prima di svolgere attività pubblica (nel 1996 è direttore generale dell’Autorità per le imprese statali). Tzipi Livni entra in Parlamento nel 1999, con il Likud di Ariel Sharon. Nel 2001, nel primo governo Sharon, è stata ministra per la cooperazione regionale e in seguito ministra dell’Agricoltura. Nel febbraio 2003 diviene ministra per l’Integrazione degli immigrati nel secondo governo Sharon e in seguito guida il dicastero dell’Edilizia. Dal 2004 è ministra della Giustizia e dallo scorso gennaio ha assunto l’interim degli Esteri dopo il ritiro del Likud dal governo uscente. Con Sharon condivide la scelta di rompere con il Likud e dar vita a Kadima, il partito centrista vincitore delle elezioni del 28 marzo scorso. La sua irresistibile ascesa avviene sempre nel segno di «Arik».
Un «segno» che da ieri appartiene ufficialmente al passato di Israele. Ariel Sharon è infatti formalmente uscito ieri di scena nel corso di una melanconica seduta del governo di Gerusalemme. Ironia della storia: l’uomo noto in Israele per la sua insofferenza ad ogni regolamento, l’uomo sulla cui insubordinazione sono stati scritti ponderosi testi di storia, è stato messo in disparte da un paragrafo della legge israeliana poco conosciuto e mai utilizzato prima in passato. Aveva la voce rotta di commozione il segretario del governo Israel Maimon quando ieri ha ricordato ai ministri che, essendo trascorsi cento giorni dal grave ictus cerebrale patito da Sharon, ed essendo da allora rimasto in coma profondo, è necessario mettere agli atti che il premier di Israele è definitivamente «incapace» di svolgere le proprie mansioni. Da venerdì a mezzanotte il vicepremier Ehud Olmert diventerà primo ministro a tutti gli effetti.
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