Anche Hamas ha un doppio linguaggio
e u.d.g. lo prende sul serio
Testata:
Data: 01/04/2006
Pagina: 1
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: Il vice di Hamas a “l’Unità”:«Abu Mazen tratti con Israele»
L'UNITA' di lunedì 1 aprile 2006 pubblica a pagina 12, con un richiamo in prima, un'intervista di Umberto De Giovannangeli al vicepremier palestinese Sasser al- Shaer, un esponente di Hamas.
Questa organizzazione, giunta al governo, ha evidentemente imparato, almeno in parte, la lezione del doppio linguaggio data da Yasser Arafat .
Così, proprio mentre si viene a sapere che l'attentatore suicida che giovedì ha ucciso quattro israeliani era stato liberato dal ministro degli Interni palestinese, presenta Hamas come favorevole al dialogo tra Israele e Anp, conferendole l'apparenza della moderazione.
Falsa anche gli obiettivi del gruppo, identificandoli con la creazione di uno Stato palestinese entro i "confini del 67" e u.d.g. non gli ricorda uno statuto che a chiare lettere dichiara la volontà di distruggere Israele. Al Shaer é stato solo ambiguo: l'obiettivo intermedio della creazione di uno Stato su una parte soltanto dei territori rivendicati é compatibile con l'obiettivo finale di uno Stato islamico esteso a tutta la "Palestina". E' u.d.g. che ha trascurato di ricordare questi fatti al suo interlocutore. Come pure di contrastarlo quando ha rigettato su Israele la responsabilità del fallimento di negoziati che in realtà sono stati vanificati dal terrorismo o quando ha negato che il riconoscimento di Israele sia una precondizione per un qualsiasi negoziato.
Complessivamente, un'intervista molto utile alla propaganda di Hamas, condotta in modo del tutto acritico da u.d.g.
Ecco il testo:
«Il problema non è se da parte palestinese c'è il via libera ai negoziati. Il problema è che Israele ha sempre considerato i negoziati come una ratifica dei rapporti di forza sul campo. Se il presidente Abu Mazen, vuole portare avanti i negoziati, noi non abbiamo nulla in contrario». A parlare è Nasser al-Shaer, vicepremier palestinese e ministro dell’Educazione.
«Se poi Abu Mazen - aggiunge - riuscirà a dimostrare al popolo che il risultato dei negoziati rafforza la causa palestinese, allora potremmo ridefinire la nostra posizione». Ma sulla possibilità che un negoziato possa portare a dei risultati positivi, il vice premier, uno dei leader di Hamas, è lapidario: «Israele - afferma al-Shaer - sembra conoscere solo il linguaggio della forza. Ciò che siamo riusciti a strappare, come il ritiro da Gaza, è il frutto della resistenza eroica del popolo palestinese e non certo una gentile concessione degli occupanti. Nei riguardi del popolo palestinese, dei suoi diritti, Israele non conosce la parola giustizia».
Il terrorismo palestinese è tornato a insanguinare Israele. Le autorità israeliane accusano l'Anp di non far nulla per frenare la violenza. Hamas si sente sotto tiro?
«Sotto tiro è l'intero popolo palestinese e tutti coloro che resistono all'occupazione israeliana. L'occupazione è la causa di queste operazioni di martirio...».
Il governo di Hamas condanna o no questi attacchi suicidi?
«Il problema non è condannare o sostenere. Noi non cerchiamo il conflitto, il sangue, noi non vogliamo aggredire le persone, noi vogliamo vivere in pace e in armonia. Ma per farlo dobbiamo combattere. Non abbiamo alternative. L'occupazione ci obbliga a difenderci».
Il presidente Abu Mazen ha condannato l'attentato di Kedumim e ribadito la volontà di ricercare il dialogo con il nuovo governo israeliano. Qual è in proposito la posizione di Hamas?
«Nessun impedimento. Il Presidente è stato eletto dal popolo e se ritiene che questa sia la strada giusta per ottenere risultati favorevoli per il popolo, non sarà Hamas a sbarrargli la strada...».
Né aderire né sabotare, è dunque questa la linea di condotta del governo di cui Lei è il vice premier?
«Noi non siamo contrari in linea di principio al negoziato. Siamo contrari alla capitolazione spacciata per pace, come nel caso degli accordi di Washington (1993 ndr.). Quegli accordi non hanno impedito a Israele di continuare a opprimere il popolo palestinese, di confiscare le nostre terre, di trasformare le nostre città in tante prigioni a cielo aperto, di portare avanti azioni di terrorismo di stato come l'attacco al carcere di Gerico e il sequestro di Ahmed Saadat (il capo del Fronte popolare di liberazione della Palestina, incarcerato a Gerico, ndr.). Negoziare significa riconoscere le ragioni dell'altro, e Israele non lo ha mai fatto...».
E Hamas? Le ragioni dell'altro, significa riconoscere da parte vostra il diritto all'esistenza e alla sicurezza di Israele. Perché non lo fate?
«Non si può chiedere all'oppresso di riconoscere il proprio oppressore. Israele compia aperture concrete verso i palestinesi, non verso Hamas, e potremmo aprire questo capitolo, partendo da una "hudna"(tregua, ndr.) di lunga durata...».
Quali dovrebbero essere queste aperture?
«La liberazione di tutti i prigionieri palestinesi, il ritiro dai territori occupati, lo smantellamento delle colonie, ma dubito che gli israeliani lo faranno. A loro conviene agitare lo spauracchio-Hamas per coprire i crimini commessi contro il popolo palestinese».
Perché un israeliano dovrebbe fidarsi di voi?
«Non si tratta di fidarsi ma di capire che la sua sicurezza non può nascere dall'oppressione esercitato contro un intero popolo. La sicurezza di Israele non è la precondizione di un negoziato ma è parte di esso. Al pari del nostro diritto a vivere in una Palestina libera e indipendente».
A quale Palestina si riferisce? A quella storica, senza lo Stato d'Israele?
«Il nostro obiettivo, la nostra lotta di resistenza è per realizzare uno Stato di Palestina sui territori occupati da Israele nel 1967, uno Stato con Al-Quds (Gerusalemme, ndr.) come sua capitale».
Dopo gli Usa, anche il Quartetto ha avvertito che l'entrata in opera del nuovo governo palestinese avrà inevitabilmente delle ripercussioni nei finanziamenti internazionali destinati ai Territori. Qual è la sua risposta?
«Hamas è al governo non per un colpo di mano militare ma per la volontà espressa liberamente dalla maggioranza dei palestinesi. Questa libertà non è in vendita. Vogliamo il dialogo con gli Usa, siamo amici dell'Europa, siamo pronti a negoziare con il Quartetto, ma non intendiamo cedere ai ricatti né subire ingiustizie. Quei finanziamenti non servono ad Hamas, non saranno utilizzati per accrescere le ricchezze personali di chi governa, come è avvenuto in passato; quei finanziamenti servono ad alleviare le sofferenze imposte al popolo palestinese dall'occupazione israeliana. Tagliarli è una punizione collettiva riprovevole».
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