Impossibile per Israele accettare uno Stato terrorista al suo fianco
intervista a Raanan Gissin, portavoce dell'ufficio del primo ministro
Testata:
Data: 21/03/2006
Pagina: 13
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: «I palestinesi al bivio: Hamas o negoziati»
Da L'UNITA' di martedì 21 marzo 2006 un'intervista di Umberto De Giovannangeli a Ranaan Gissin, portavoce dell'ufficio del primo ministro israeliano Ehud Olmert.
Ecco il testo:
«Non si può chiedere a Israele di negoziare con un governo terrorista, del quale fanno parte, con ruoli di primaria importanza, personaggi che hanno reclutato, addestrato, esaltato i terroristi che hanno seminato morte e distruzione in Israele. In discussione non è la disponibilità di Israele a prendere in considerazione la creazione di uno Stato palestinese. Ma nessun governo israeliano, neanche il più disponibile e aperto al dialogo potrà mai accettare che al suo fianco si costituisca uno Stato terrorista». A parlare, il giorno dopo la presentazione del nuovo governo palestinese «targato» Hamas, è Ranaan Gissin, portavoce dell’ufficio del primo ministro ad interim Ehud Olmert. «I palestinesi - sottolinea Gissin - sono a un bivio strategico: devono scegliere tra Hamas e il negoziato con noi». Una scelta che investe anche il presidente dell’Anp Abu Mazen: «Abu Mazen - rimarca Gissin - è stato eletto con il 65% dei voti e dispone di prerogative costituzionali. Spetta a lui agire e far rispettare gli accordi finora sottoscritti dall’Anp. Se agirà in questa direzione potrà contare sul nostro sostegno».
Il premier incaricato Ismail Haniyeh ha presentato la lista dei ministri del nuovo governo palestinese. Qual è il giudizio di Israele?
«Di questo governo fanno parte, e con ruoli di primo piano, personaggi che hanno orchestrato la campagna terroristica contro Israele che ha provocato la morte di centinaia di civili inermi. Questo governo è egemonizzato da un movimento che ha nella sua carta costitutiva la distruzione dello Stato d’Israele. Israele non negozierà mai con un governo terrorista».
Ciò significa chiudere ogni rapporto anche con il presidente dell’Anp, il moderato Abu Mazen?
«Abu Mazen ha più volte ribadito che non avrebbe mai avallato un governo che si rifiutava di far propri gli accordi di pace fin qui sottoscritti dall’Autorità nazionale palestinese. Ebbene, il governo Hamas considera quegli accordi carta straccia. Ad Abu Mazen chiediamo di essere coerente con le proprie affermazioni. D’altro canto, lui è stato eletto con il 65% dei voti e dispone di prerogative costituzionali. Le eserciti. Se lo farà Israele non gli farà mancare il proprio appoggio».
Nel frattempo il premier ad interim israeliano Ehud Olmert ribadisce in questi ultimi giorni di campagna elettorale che se vincerà le elezioni del 28 marzo, il primo obiettivo del governo da lui guidato sarà quello di definire i confini definitivi di Israele.
«Israele deve tener conto dei mutamenti intervenuti in campo palestinese, e agire di conseguenza. Il che non vuol dire tornare indietro rispetto alla disponibilità manifestata a più riprese da Ariel Sharon alla creazione di uno Stato palestinese. Uno Stato democratico, smilitarizzato, e non uno Stato terrorista. Israele ha il diritto-dovere di rafforzare la propria sicurezza e quella dei suoi cittadini. Per questo verrà accelerata la realizzazione dell’ultima parte della barriera di sicurezza. Mi lasci aggiungere che anche in questo frangente, stiamo cercando di assumere misure che non penalizzino le condizioni di vita della popolazione palestinese ma siano mirate a non rafforzare istituzioni oggi in mano di Hamas. Il nostro senso di responsabilità non è venuto meno».
Il premier palestinese Haniyeh ha recentemente sostenuto di non aver mai ordinato attacchi suicidi contro Israele.
«Il signor Haniyeh non può scindere le proprie responsabilità personali da quelle del movimento di cui è parte. Un movimento che, è bene ricordarlo, è nella lista delle organizzazioni terroristiche stilata non da Israele ma dagli Stati Uniti, dall’Unione Europea, dal Canada e dal Giappone».
Olmert ha ventilato la possibilità che vengano smantellate altre colonie in Cisgiordania come è avvenuto a Gaza.
«È nell’ordine delle possibilità molto concrete: alla base di questa scelta vi sono le stesse ragioni, di sicurezza, che hanno portato al ritiro unilaterale da Gaza, un sacrificio condiviso dalla maggioranza degli israeliani».
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