L'Iran non negozia in buona fede e si avvicina il momento favorevole per una soluzione militare
l'analisi di Emanuele Ottolenghi
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Data: 14/03/2006
Pagina: 2
Autore: Emanuele Ottolenghi
Titolo: E' possibile bloccare l'Iran con air strikes nella finestra tra il 3 novembre e Natale
Dal Riformista di martedì 14 marzo 2006:

L'Iran non negozia in buona fede. Da anni ormai il regime di Teheran gioca sulla buona fede e le divisioni tra i suoi interlocutori occidentali per prendere tempo e avanzare il suo programma nucleare fino al punto di non ritorno. Ma nelle ultime settimane il ritmo di questo gioco di “guardia e ladri” è accelerato rapidamente. La prima importante svolta è avvenuta nel pensiero strategico della Troika europea formata da Francia, Germania e Inghilterra. Il cambio di pensiero non deriva soltanto dal cambio di governo in Germania, ma anche da un ripensamento francese, che ora sembra ritenere un Iran nucleare come una minaccia strategica da contenere e contrastare. I mezzi necessari per raggiungere quest’obiettivo sembrano per adesso sfuggire alla diplomazia europea, ancora ottimista sulla possibilità di una soluzione diplomatica alla crisi, ma di certo l’Europa ritiene di avere fallito il metodo della carota, e sostenendo il ricorso al Consiglio di Sicurezza, il mese scorso e ancora pochi giorni fa all’interno dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Iaea), l’Unione dimostra la sua intenzione di brandire un primo timido bastoncino e di procedere lungo tutto il corso diplomatico che porta prima al Consiglio di sicurezza dell’Onu e a una serie di sue risoluzioni, poi a possibili sanzioni, e soltanto dopo un certo periodo a una possibile operazione militare.
Il secondo fattore di cambiamento nell’atteggiamento della comunità internazionale deriva dalla posizione russa. I russi, insieme ai cinesi, rappresentano il punto debole della comunità internazionale sull’Iran, perché più disponibili a rompere le file del consenso. Tuttavia, anche in questo caso, il dialogo da loro iniziato per raggiungere un compromesso lucrativo per i russi ma accettabile per la comunità internazionale sembra sostanzialmente fallito.
Il terzo fattore deriva da un crescente consenso internazionale sugli intenti del programma nucleare iraniano, la determinazione del regime nel perseguirli, e gli scopi che il regime si prefigge di raggiungere mediante l’acquisizione di armi nucleari. La prospettiva di un’egemonia iraniana sulla regione del Golfo, di una corsa agli armamenti nucleari nel Medio Oriente, e possibile destabilizzazione di Iraq e di tutti i paesi del Golfo che hanno forti componenti sciite dominate da minoranze sunnite - per non parlare dell’effetto sul costo del greggio e la possibilità che l’Iran usi l’atomica contro Israele - accentuano il senso di urgenza nella diplomazia occidentale, aggravato ulteriormente dalla bellicosa retorica iraniana i cui toni sono aumentati di svariati decibel negli ultimi giorni.
Sulla crisi intanto grava l’ombra dell’esperienza irachena: nessuno vuole ripetere il fiasco diplomatico che portò alla peggiore crisi nelle relazioni transatlantiche da quella degli euromissili negli anni Ottanta. Imparando da quella esperienza, è evidente come l’amministrazione americana ha preferito contare sul fatto che prima o poi, nel gioco diplomatico di Teheran, gli europei si sarebbero sentiti presi per il naso e una volta spazientiti sarebbe stato più facile creare un consenso internazionale a favore di un intervento più deciso.
Nonostante le valutazioni di esperti e servizi segreti sono soggetti allo stesso margine d’errore - e quindi a un notevole tasso di scetticismo - di quelle sulle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, questa volta ci sono importanti differenze: non soltanto esiste un consenso sulle vere intenzioni di Teheran in tema di nucleare, ma esiste anche un consenso sull’obiettivo politico di impedire a Teheran di riuscire nel proprio intento. Né, nel caso di fallimento del corso diplomatico, esiste la possibilità di un’invasione militare con tutte le incognite che una simile colossale operazione richiederebbe. Per neutralizzare il progetto nucleare iraniano basta un intervento aereo armato limitato - nella forma di attacchi aerei e missili che la Nato o gli Stati Uniti da soli possono attuare.
Se Teheran verrà dunque presto a più miti consigli è ancora da vedere - il ministro degli Esteri tedesco, Frank Walter-Steinheimer, ne sembra ancora convinto a giudicare dall’articolo che ha scritto la settimana scorsa nel giornale tedesco Bild Am Sonntag, in cui sostiene che questa è «l’ora della diplomazia». L’ora delle armi è lontana, e viste le previsioni sui tempi della bomba iraniana esiste ancora una manciata di mesi.
Chi sostiene l’intervento militare sa di poter aspettare, contando sul fatto che il continuo gioco al rilancio di Teheran non riesce più a guadagnare il tempo necessario all’Iran per completare il ciclo nucleare. Se la diplomazia fallirà, nelle prossime settimane, non riuscendo a trovare il bandolo della matassa, ci si può aspettare un attacco, probabilmente americano, contro parte delle installazioni nucleari iraniane, in qualche momento tra le elezioni americane di medio termine, il 3 novembre, e la fine dell’anno. A quel punto, la diplomazia avrà fallito, gli iraniani saranno vicini al punto di non ritorno, gli europei avranno gettato la spugna sulla speranza di impedire con le buone agli iraniani di avere la bomba, e alla Casa Bianca siederà un presidente senza più ambizioni di rielezione, ma con in mente il giudizio che la storia avrà della sua presidenza.

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