Israele é sempre sul banco degli accusati
nell'edizione on-line del quotidiano
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Data: 10/03/2006
Pagina: 0
Autore: la redazione
Titolo: Olmert promette: entro 4 anni i confini definitivi di Israele

Hamas  "accetta la logica del processod emocratico", perché vuole sottoporre a referendum il diritto all'esistenza di Israele; mentre quat'ultimo si ostina a "ritenere" che l'organizzazione responsabile di numerose stragi di civili sia "un gruppo terroristico". 
Le risposte israeliane al terrorismo interpretate come "logica delle ritorsioni". il diritto internazionale falsificato per mettere Israele sul banco degli accusati.
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Ecco il testo del recente articolo"Olmert promette: entro 4 anni i confini definitivi di Israele":

Kadima va avanti. Un gioco di parole – visto che Kadima vuol dire “Avanti” – che viene confermato dai sondaggi realizzati a venti giorni dal voto in Israele dai tre principali quotidiani. Al partito creato da Ariel Sharon con una costola dei Laburisti e una del Likud vengono accreditati consensi fra 37 e 38 dei 120 seggi del Parlamento, molti degli altri due grossi partiti da cui ha travasato uomini e donne. Anche se la vittoria di Ehud Olmert, il braccio destro di Sharon che lo ha sostituito alla guida del governo resta comunque inferiore a quella inizialmente prevista sotto la guida del fondatore prima che l’ictus non lo riducesse a uno stato quasi vegetale il 4 gennaio scorso. E se vincerà, Olmert ha promesso che definirà unilateralmente i confini dello Stato di Israele. Una questione, questa dei confini, rimasta accantonata finora nei negoziati di pace e riproposta con forza proprio nei giorni scorsi dal presidente del parlamento palestinese Aziz Dweik da Ramallah. Olmert in una intervista del principale quotidiano israelinao , il Jerusalem Post , si è assunto in piena campagna elettorale l’impegno davanti agli elettori di portare a soluzione questo rompicapo. Dopo la riconferma di voler procedere a nuovi ritiri unilaterali di insediamenti di coloni non autorizzati anche in Cisgiordania, ora il nodo dei confini sembra decisivo per separare più nettamente le due realtà territoriali e amministrative. Olmert promette nei prossimi quattro anni di «arrivare a confini permanenti di Israele, grazie ai quali saremo completamente separati dalla maggior parte della popolazione palestinese». Le zone a cui Olmert non intendebbe rinunciare sono Gush Etzion, la zona delle colonie di Ariel, l'agglomerato di Gerusalemme, Maale Adumin e «il fiume Giordano come baluardo di sicurezza». L'intenzione è poi quella di mantenere il controllo anche su Gerusalemme Est, cioè sulla parte araba e cristiana della città. Ma su Al Quds e Gerusalemme nessuna formazione politica palestinese – non solo Hamas – non è disposta a cedere. «I confini possono essere stabiliti solo sulla base del diritto internazionale», ha ricordato il portavoce del presidente Abu Mazen, Nabil Abu Rudeina, «non accetteremo soluzioni che ci tolgano un solo centimetro dei territori occupati nel 1967». Saeb Erekat, ex capo dei negoziatori di Fatah, ha invece sollecitato Olmert «a riprendere trattative permanenti» poichè «la via verso la pace e la sicurezza nella regione non passa dall'unilateralismo». Una logica che per la verità convice poco anche Shimon Peres, all'interno dello stesso partito del premier israeliano. L’unilateralismo è invece una logica più nelle corde dei nuovi vincitori di Hamas, i quali non intendono rinunciare ai loro proclami bellicosi contro Israele. E infatti, una volta definiti i confini e finita l’occupazione dei Territori, il presidente Dweik ha ipotizzato l’organizzazione di un referendum popolare sulla legittimità dello Stato di Israele. Il che fa ritenere una piena accettazione, da parte di Hamas, della logica democratica. In Israele però il gruppo radicale che ha ottenuto la maggioranza assoluta nel voto palestinese del 25 gennaio scorso è ancora considerato un gruppo terroristico e perciò illegale. Perciò anche il suo governo non viene ritenuto legittimo. «Non cambieremo politica fino a quando Hamas non cambierà la sua essenza terroristica», ha ribadito su un giornale italiano solo ieri il ministro degli Esteri Tzipi Livni, delfina di Sharon e astro nascente di Kadima. «E ci aspettiamo - aggiunge - che i 120 milioni di euro promessi dall'Europa vengano consegnati alla popolazione palestinese tramite agenzie Onu e le Ong. Non devono finire nelle casse dell'Autorità diretta da Hamas». Il premier Olmert da parte sua ha assicurato che Israele darà ad Hamas «un tempo ragionevole» per riformare l'Autorità nazionale palestinese, disarmarsi e accettare gli accordi di pace del passato. «Aspetteremo ma non intendo aspettare per sempre», ha chiarito, «se dopo un ragionevole periodo di tempo apparirà chiaro che l'Anp non vuole accettare questi principi, dovremo cominciare ad agire». Ma la logica delle ritorsioni ha sempre meno appoggi nella comunità internazionale. E è di queste ore la richiesta dei patriarchi e deii capi delle chiese di Gerusalemme insieme al consiglio mondiale delle Chiese e all'International church action for peace in Palestine and Israel a Israele perché rientri nei suoi confini, «come è stabilito dalle risoluzioni dell'Onu». È necessario, spiegano monsignor Michael Sabbah e gli altri patriarchi cristiani, «porre fine all'occupazione illegale israeliana». Anche la questione di Gerusalemme, ad avviso dei patriarchi, deve essere risolta secondo le norme del diritto internazionale richiamate ripetutamente dalla Santa Sede: «continuiamo - affermano - a pregare per Gerusalemme e ad insistere che una città aperta e condivisa, che rispetti i diritti e la sovranità delle tre religioni e dei due popoli, sia essenziale ad una giusta pace nel medio Oriente». Secondo i capi religiosi, «pace, giustizia e sicurezza per i palestinesi porteranno pace, giustizia e sicurezza anche per gli israeliani». Anche la Chiesa italiana invoca la ripresa di un negoziato «sotto l'egida della legge internazionale». Quindi a cominciare dal rispetto delle Risoluzioni dell’Onu numero 242 e 338 che richiedono il ritiro degli Israeliani dai territori occupati nel 1967. Risoluzioni mai prese in seria considerazione ma su cui si basa il diritto internazionale nell’area e che vengono ricordate anche negli Accordi di Oslo sottoscritti da Olp e Israele e che Hamas si rifiuta di ratificare.

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