In Israele si commenta un'intervista ad Abu Mazen, sull'Iran gli Stati Uniti incassano un successo, Emma Bonino boccia le richieste dell'Ucoii
analisi sul Medio Oriente e sull'islam italiano
Testata:
Data: 09/03/2006
Pagina: 7
Autore: Paola Caridi - Fernando Amaral - Anna Momigliano
Titolo: Abu Mazen scarica il laburista Peretz fa arrabbiare Fatah e scontenta il Likud - Il tour asiatico di bush ha funzionato All'Aiea prevale la linea dura su Teheran - Bonino boccia il Concordato musulmano
Il RIFORMISTA di mercoledì 9 marzo 2006 pubblica sulle reazioni della politica israeliana all'intervista rilasciata mercoledì 8 marzo da Abu Mazen al CORRIERE della SERA. Ecco il testo: 

Gerusalemme. Amir Peretz ci aveva creduto. Quando aveva intrapreso il suo periplo delle capitali arabe, nelle scorse settimane, pensava di aver aperto un varco che i suoi concorrenti alle elezioni politiche israeliane del 2006 non avevano chance di aprire. Peretz voleva partire con un piede diverso dagli altri, approfittando del fatto di essere il primo e unico leader di uno dei principali partiti a provenire dagli ambienti mizrahi della società israeliana: gli ebrei venuti dai paesi arabi. Così, il capo del partito laburista - saldamente secondo nei sondaggi dopo Kadima - ha avuto le sue soddisfazioni. Prima l'incontro con il re Mohammed VI a Rabat, dove ha respirato l'aria conosciuta del suo paese di nascita, il Marocco. Poi l'importante tappa egiziana, con il successo dell'incontro con Hosni Mubarak. E infine, il colpo di teatro. L'incontro al ponte di Allenby, tra Israele e Giordania, con Mahmoud Abbas.
Con la sua conversazione con il presidente Abu Mazen, Peretz voleva dare corso a quanto aveva detto più volte dopo le elezioni palestinesi del 25 gennaio: bisogna rafforzare Abbas, invece di sminuirlo, per non radicalizzare ulteriormente la scena politica palestinese. Un'apertura di credito importante, quella dell'ex sindacalista israeliano nonché vecchio esponente di Peace Now. E uno dei pochi gesti forti in una campagna elettorale decisamente sottotono. Iniziata così per il coma in cui ancora è confinato Ariel Sharon, e proseguita così dopo le elezioni palestinesi e l'apnea in cui la diplomazia vive per la vittoria di Hamas. Abbas, però, non sembra essere stato grato a Peretz, unico tra i leader politici ad averlo voluto incontrare. Nell'intervista rilasciata ieri a uno dei decani dei giornalisti italiani che si occupano di Medio Oriente, Antonio Ferrari del Corriere della Sera, Abu Mazen ha riposto una speranza nella vittoria non del laburista Amir Peretz, bensì dell'ex likudnik Ehud Olmert. Che si guarda bene, sinora, dall'impegnarsi a incontrare Abbas.
I laburisti hanno reagito decisamente male. Anche se un consigliere anonimo di Abbas ha detto, ieri pomeriggio, che le affermazioni del presidente dell'Anp sono state citate male, e che Abu Mazen non vuole interferire nella campagna elettorale israeliana, smentita poi ribadita in serata da uno dei vertici di Fatah, Nabil Shaath. Neanche Kadima, però, sembra felice di avere tra i suoi supporter proprio Abbas. Che con le sue dichiarazioni ha scoperto il fronte destro del partito fondato da Sharon dopo la sua scissione dal Likud. Il primo affondo, non a caso, è arrivato dalla vecchia balena bianca israeliana: persino Abbas si è accorto che Kadima è più a sinistra del Meretz di Yossi Beilin, hanno scritto ieri i likudnik. Guardinga, dunque, la reazione di Olmert e dei suoi. Abbas deve prima dimostrare di essere un partner credibile, hanno detto i responsabili del partito in un documento. «Deve agire immediatamente contro Hamas, unificare i meccanismi della sicurezza e assicurarsi che il prossimo governo riconosca gli accordi firmati con Israele». Nessuno sconto, insomma, ad Abu Mazen, che di Olmert invece aveva detto di credere che «con lui si possa lavorare proficuamente».
Suo malgrado, Abu Mazen è riuscito a vivacizzare (per un giorno almeno) una campagna elettorale che aveva trovato sinora spunti solo nella trasmissione, martedì sera, dei primi spot televisivi. Aspri contro l'avversario diretto, piuttosto che propositivi. Persino lo spot laburista, tutto incentrato sulla crisi sociale e la povertà crescente in Israele, aveva come bersagli diretti i due ultimi ministri delle Finanze. Bibi Netanyahu, ora leader del Likud, la cui faccia corrucciata è presente già da molte settimane sulle fiancate degli autobus nella pubblicità elettorale. E il suo successore alle Finanze (seppur per pochi mesi) Ehud Olmert. Che, invece, nello spot di Kadima appare - come ci si attendeva - nelle vesti di unico erede politico di Sharon. Un erede politico che non ha avuto e probabilmente non avrà i grandi guizzi del generale Arik. E che su questo basso profilo sembra intenzionato a mantenere il forte vantaggio che Kadima ha sugli altri partiti.

Un altro alrticolo riguarda il successo diplomatico degli Stati Uniti nella vicenda iraniana:
La partita sul nucleare iraniano entra nel vivo, e il “gioco” comincia a farsi duro. Pur fra dubbi, incertezze, trattative e sottigliezze diplomatiche, il Consiglio dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea), riunito nei giorni scorsi a Vienna, ha emesso il verdetto: il dossier sul programma nucleare iraniano sarà trasmesso al Consiglio di Sicurezza dell'Onu. Il deferimento, che nei mesi scorsi Unione europea e Russia avevano tentato più volte di evitare in extremis, costituisce un'ulteriore passo verso la condanna internazionale di Teheran. Le vie diplomatiche si stringono sempre più verso l'imbuto di una risoluzione di censura del Consiglio di Sicurezza Onu e dunque, in caso di inadempienza, aprono le porte a possibili sanzioni e ritorsioni. In ogni caso, la strada verso un'azione militare degli Usa contro l'Iran, che molti analisti (o Cassandre) già dicono pronta per il 2007, si accorcia sensibilmente.
D'altronde la schermaglia verbale già ieri è stata di altissimo livello. Il deferimento all'Onu è stato annunciato dall'ambasciatore Usa all'ufficio Onu di Vienna, Gregor Schulte. Poco prima il delegato americano aveva intimato: «Il governo americano non è disposto a credere all'Iran quando dice che il suo programma nucleare è solo per uso civile: Teheran dispone di uranio sufficiente per costruire dieci ordigni». Le dieci (possibili) bombe atomiche preoccupano tutti, compresi i vicini che le armi nucleari ce le hanno veramente: Israele, Pakistan, India e Cina. Secondo indiscrezioni, la visita di Bush in Asia pochi giorni prima del Consiglio Aiea è servita anche a costruire una rete di accordi (quello con l'India è stato annunciato pubblicamente) per garantirsi la maggioranza all'interno del Consiglio dell'Aiea. Sui 35 paesi che ne fanno parte, almeno 24 (i due terzi) devono aver sostenuto la linea Usa. E la rete diplomatica americana ha speso tutta la sua influenza per ottenere i voti necessari, soprattutto da quelle nazioni considerate “in bilico”.
La risposta piccata dell'Iran non si è fatta attendere: rifiuto assoluto di piegarsi alle intimazioni americane. Il delegato a Vienna Javad Vaidi ha replicato che gli Usa potrebbero provare «danno e dolore» se la questione dovesse finire al Consiglio di sicurezza, minacciando “ritorsioni petrolifere” (l'Iran è il quarto esportatore mondiale di greggio). Mahmud Ahmadinejad ha confermato che «la nazione non si piegherà alla forza e continuerà su questa strada fino alla fine», pur sottolineando di voler «usare pienamente tecnologia nucleare pacifica», dato che «Teheran non vuole aggredire nessuno».
Fra i due litiganti, l'Europa non gode, ma sembra più vicina agli Usa: la Ue ha chiesto all'Iran di e cooperare appieno con l'Aiea e rinunciare subito a tutte le ricerche sul nucleare, se vuole evitare che sia il Consiglio di sicurezza dell'Onu a imporlo. Da tutta questa vicenda il direttore generale dell'Aiea, Mohamed El Baradei esce certamente indebolito. Parla di un «dialogo politico che continua», ma di fatto la sua figura sembra in declino. Anche perché molti osservatori continuano a ritenere il deferimento una misura eccessiva, frutto di una decisione precostituita. Il rapporto dell'Aiea esaminato a Vienna – base per la decisione di deferire l'Iran, pubblicato in Italia dal settimanale Carta al link http://www.carta.org/agenzia/GOV_2006_15.pdf – si concludeva (paragrafo 53) affermando che «di tutto il materiale nucleare dichiarato, l'Iran ha dato conto. Sebbene l'agenzia non abbia visto alcuna diversione di materiale nucleare verso armi nucleari o altri ordigni nucleari, l'Agenzia non è, in questo momento, in grado di concludere che non ci siano in Iran attività nucleari non dichiarate». Che significa: «Abbiamo controllato tutto e ci sembra a posto. Potrebbe magari esserci altro, ma non lo sappiamo». Qui sta il punto: occorrerebbe provare che ci sia altro. E l'onere della prova dovrebbe essere a carico dell'accusa. Per non ricadere in una dinamica già vista con l'Iraq. Anche perché la stessa Aiea si dichiara complessivamente abbastanza soddisfatta delle ispezioni (pur richiedendone ulteriori, e il reattore nucleare di Aark, il più preoccupante, non sarebbe pronto prima del 2011. Insomma, il cammino dell'Iran verso il nucleare, sembra ancora piuttosto lungo. I tempi per le azioni diplomatiche ci sono ancora tutti.

Infine, riportiamo l'intervista di Anna Momigliano ad Emma Bonino sulle proposte dell'Ucoii:
«Sembra quasi una richiesta di un nuovo Concordato». E' così che Emma Bonino legge il documento approvato martedì dalla Consulta per l'Islam italiano, cui l'Unione delle comunità islamiche in Italia, (Ucoii) ha fatto seguire un controdocumento in cui si chiede allo Stato italiano l'otto per mille alla comunità musulmana, l'ora di religione islamica a scuola e il riconoscimento delle feste islamiche a lavoratori e studenti di fede musulmana. «E com'è noto - racconta la Bonino al Riformista - io sono contro il Concordato con la Chiesa cattolica, figuriamoci se posso compiacermi di quanto successo martedì». Ovvero? «Non ho letto i due documenti con attenzione - confessa l'ex commissario europeo - ma mi sembra proprio che l'impostazione sia quella di un'integrazione comunitaria. Pisanu pare aver scelto questa strada, mentre io credo serva un approccio diverso verso le religioni e i cittadini. Occorre integrare il cittadino in quanto individuo, non in quanto membro di una comunità religiosa». Ieri il ministro dell'Interno Giuseppe Pisanu ha fatto sapere di «tenere in eguale considerazione i documenti acquisiti martedì», precisando però che «la Consulta non ha alcun carattere rappresentativo e il suo compito è esclusivamente quello di fornire al ministro pareri e suggerimenti».
Ma, secondo Emma Bonino, la questione non è solo quella dell'integrazione: «C'è anche un problema di rappresentanza e di trasparenza. Chi sono questi imam? Chi li ha eletti? Che legittimità hanno? Per l'Islam l'imam non è altro che una figura che guida la preghiera. Siamo stati noi a conferire loro una sorta di legittimità politica». In molti, a cominciare da Magdi Allam, hanno però lodato i toni moderati della Consulta, che ha condannato tra le altre cose il terrorismo e l'oppressione della donna. «Non sono molto d'accordo con questa visione della Consulta come organo dell'Islam moderato - obietta la Bonino - tanto che so di elementi libici che vi fanno parte e che non hanno fatto molto per mediare negli ultimi tempi».
Però c'è una bella differenza tra il testo della Consulta e quello dell'Unione delle comunità islamiche in Italia. A cominciare dal fatto che il presidente dell'Ucoii, Nour Dachan, ha inviato a Pisanu un messaggio che sembra una minaccia: «Fino a quando saremo nel dialogo, episodi di violenza come quelli di Bengasi, in Italia non potranno assolutamente succedere». La questione è complessa, ed Emma Bonino la affronta un punto alla volta. Prima di tutto, è assurdo tirare in ballo i fatti di Bengasi: «le violenze sono state il frutto di uno scatenamento da parte dei regimi. Né a Bengasi, né a Beirut né a Damasco si muove anche solo una foglia senza l'autorizzazione dei regimi. In quei paesi chi ha provato a manifestare liberamente è subito stato messo in carcere». Poi, prosegue la Bonino, «i due documenti sono diversi, questo è vero. Ma in entrambe i casi è sbagliata la linea di fondo: il nostro rapporto deve basarsi prima di tutto sui cittadini, che sono anche fedeli di una certa religione. Ma prima di tutto cittadini. Gli individui vanno integrati in quanto tali, mentre noi finiamo per ricacciarli dentro le rispettive comunità». Può fare qualche esempio? «Le donne, prima di tutto. Molte donne che vengono in Italia lo fanno anche per trovare quei diritti e quella cittadinanza di cui non possono godere nei paesi d'origine. E noi che facciamo? Le rispediamo sotto la giurisdizione di un imam». Non mi risulta che in Italia si obblighi le donne musulmane ad obbedire alla Sha'aria… «Sono capitati in realtà episodi, qui da noi ma anche nei Paesi Bassi, di ragazze che si sono rivolte alle autorità per protestare contro matrimoni combinati e si sono sentite rispondere che quella era la loro cultura». Alcune delle richieste dell'Ucoii però non sono tanto lontane dalla situazione di altre minoranze religiose in Italia. Si pensi al venerdì libero per gli studenti musulmani, mentre il riposo sabbatico è garantito ai loro coetanei ebrei. «Così si rischia di avere il sabato per gli ebrei, il venerdì per i musulmani, e magari il giovedì per gli induisti… il giorno di riposo deve essere uno per tutti. In fondo tutte le ditte occidentali nei paesi musulmani stanno chiuse il venerdì e non si lamentano». Della scuola privata musulmana che ne pensa? «Che va bene, purché rispetti il codice civile e penale, che non diventi una zona legibus soluta».
Quanto alla parola «dialogo», Emma Bonino dice: «Non so neppure cosa sia. Dobbiamo decidere se vogliamo una politica di integrazione o no, che si tratti di musulmani, polacchi o indù. Finora non ce n'è stata una, questo è poco ma sicuro». E nel futuro governo? «C'è un lungo capitolo sugli immigrati nel programma dell'Unione. Su cui noi radicali non ci siamo espressi. Questo perché nell'ultima riunione abbiamo dovuto scegliere le priorità e abbiamo scelto Pacs, liberalizzazioni, mercato del lavoro e scuola pubblica».

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