Hamas "non chiude del tutto le porte a un riconoscimento di Israele", ma "anche su questo (...) intende praticare la strada del consenso", nel suo vocabolario, inoltre, "la parola negoziato esiste".
Assolutamente fuorviante l'intervista di Umberto De Giovannangeli al presidente del Parlamento palestienese Abdel Azziz al Dweik, di Hamas.
Da essa non risulta infatti la natura propagandistica delle ipotesi di "dialogo" avanzate da Hamas condizionandole al riconoscimento del "diritto al ritorno" in Israele di milioni di palestinesi, che cancellerebbe la maggioranza ebraica. Hamas, cioé é disposta, visti i risultati di un referendum, a riconoscere Israele, purché questa accetti di sparire dalla faccia della terra come Stato degli Ebrei.
Ecco il testo:
«Rispettiamo il presidente Abbas (Abu Mazen, ndr.) ma ricordiamo a lui e a tutto il mondo che la legittimità a governare Hamas l’ha ricevuta dal popolo palestinese attraverso la libera espressione del voto. Ed è al popolo palestinese, quel popolo che ci ha insegnato come resistere all’occupazione israeliana, che Hamas deve rispondere del proprio operato. Una cosa è certa: non saranno diktat, ricatti economici o il terrorismo di stato israeliano che ci piegheranno». A parlare è Abdel Aziz Al Dweik, 58 anni, presidente del Consiglio legislativo palestinese (Clp, il parlamento dei Territori), uno dei leader di Hamas. E al presidente Abu Mazen che pone a Hamas l’aut aut, «per governare deve riconoscere tutti gli accordi sottoscritti dall’Anp», Dweik ribatte: «Siamo pronti a riconoscere quegli accordi che fanno il bene del popolo palestinese ma non quelli che hanno rappresentato una resa a Israele». Ma Hamas non chiude del tutto le porte a un riconoscimento di Israele, e indica le sue condizioni per una «hudna» (tregua) di lunga durata: «Se Israele - afferma il presidente del Clp, docente di geografia e urbanistica all’università An Najah di Nablus - inizierà a riconoscere i diritti di tutti i palestinesi, quelli dei Territori e i rifugiati, i palestinesi a loro volta inizieranno a riconoscere Israele». Ma anche su questo nodo cruciale per il futuro del Medio Oriente, Hamas intende praticare la strada del consenso: «È il libero voto - sottolinea Dweik - che costituisce il fondamento della nostra legittimità. Hamas non opererà alcuna forzatura: se e quando si porrà il problema di un riconoscimento di Israele, questo passo sarà deciso da un grande referendum popolare che investirà tutto il popolo palestinese, perché Hamas non non è disposto a gettare a mare i diritti dei nostri fratelli» che vivono nella Diaspora. E comunque, aggiunge Dweik, «il riconoscimento potrà avvenire solo fra due Stati».
Il presidente Abu Mazen ha ribadito la necessità del dialogo con Israele e avverte Hamas: governa chi riconosce gli accordi fin qui sottoscritti dall’Anp...».
Rispettiamo il presidente Abbas e ne riconosciamo l’autorità ma ribadiamo che Hamas governa perché così ha voluto la maggioranza dei palestinesi, e non certo per volere di Israele o degli Stati Uniti. È il libero esercizio del voto che costituisce il fondamento della nostra legittimità...».
E sul rispetto degli accordi?
«Hamas rispetterà gli accordi che fanno il bene dei palestinesi ma non quelli che hanno rappresentato una resa a Israele...».
Ad esempio?
«Gli accordi di Oslo (1993). Il voto del 25 gennaio è stato anche un pronunciamento di massa contro quegli accordi che hanno fatto solo il gioco dell’occupante israeliano».
Prima di ogni altra cosa c’è da sciogliere il nodo del vostro riconoscimento del diritto all’esistenza di Israele.
«Prima di ogni altra cosa c’è la fine dell’occupazione israeliana della nostra terra. Con Oslo l’Olp ha riconosciuto Israele. E con quali risultati? L’occupazione è continuata, nelle carceri israeliane sono prigionieri novemila palestinesi, la colonizzazione ebraica della Cisgiordania prosegue, così come la costruzione del muro dell’apartheid...».
Ma Israele ha anche smantellato gli insediamenti a Gaza ritirandosi dalla Striscia.
«Quel “ritiro” non è stata una gentile concessione degli israeliani ma il frutto dell’eroica resistenza del popolo palestinese. Senza l’Intifada Israele non avrebbe ritirato neanche un soldato. E poi, di quale “ritiro” si parla? Israele ha trasformato Gaza in una enorme prigione a cielo aperto. E questa lei la chiama libertà?».
Nel vocabolario di Hamas esiste la parola «negoziato»?
«Esiste, certo che esiste. Ma negoziato non è sinonimo di svendita, di capitolazione....».
Insisto: nel futuro di Hamas c’è il riconoscimento dello Stato d’Israele?
«Hamas non può riconoscere uno Stato che occupa le terre palestinesi, continuando a trasformarle in cantoni e a progettare di confiscarle. Non si può chiedere agli oppressi di riconoscere i loro oppressori. Il riconoscimento di Israele non può essere posto come condizione pregiudiziale a un negoziato, ma un tale riconoscimento potrà procedere solo di pari passo al loro riconoscimento nei nostri riguardi. Hamas non firmerà mai cambiali in bianco a Israele».
Lei parla di democrazia. Intanto, però, i deputati di Al-Fatah hanno abbandonato i lavori del parlamento accusando Hamas di aver compiuto un colpo di mano.
«Se di un colpo di mano si deve parlare questo è stato ordito dal vecchio parlamento che nell’ultima seduta, ad elezioni avvenute, ha operato forzature su questioni cruciali sulle quali il nuovo parlamento ha tutto il diritto di intervenire. Chiarito questo punto, resta la nostra volontà di operare per un governo di unione nazionale di cui faccia parte Al-Fatah»,
Ad Hamas si è rivolto anche il numero due di Al Qaeda, per esortarvi a proseguire la lotta armata. Qual è la risposta di Hamas?
«Hamas non prende ordini da nessuno e nessuno può darci lezioni su come sostenere le ragioni del popolo palestinese».
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