Un antico detto musulamno recita: "prima il sabato poi la domenica", il che vuol dire il sabato sistemiamo gli ebrei, i cristiani la domenica. Ci viene in mente leggendo il pezzo di Anna Momigliano sul RIFORMISTA di oggi a pag.5, dal titolo "Carissimo Gheddafi, e tu ci hai risarcito ?" Nel 1967 (guerra dei 6 giorni) la Libia, ancora sotto regime monarchico, cacciò di colpo tutti gli ebrei. Due anni dopo, dopo la presa del potere, Gheddafi fece lo stesso con gli italiani, cattolici. Appunto, prima il sabato poi la domenica. Lo ricordino i cristiani/cattolici, se prima toccherà agli ebrei (Israele), subito dopo toccherà ai cristiani (Europa/mondo occidentale).
Ecco l'articolo:
All'attacco al consolato di Bengasi, segue la spiegazione di Gheddafi: se la gente della Libia ce l’ha con gli italiani, dice il colonnello, non è per le caricature di Maometto, ma perché «l’Italia ha mancato di risarcire i libici per le loro sofferenze». Una richiesta, quella dei risarcimenti, che suona un po’ strana da parte di Gheddafi, il cui governo, detto per inciso non ha mai pensato a risarcire nessuno, a cominciare dagli italiani cacciati nel 1969 e dalla comunità ebraica libica due anni prima - una delle più antiche del mondo, le cui origini risalgono al primo secolo d.C. «Se si parla di risarcire qualcuno, almeno bisognerebbe partire da un approccio paritario », ci racconta Evelina Meghnagi, cantante e attrice nata a Tripoli, che con le sue melodie ripercorre l’esperienza, quotidiana e religiosa, del mondo ebraico sefardita, o “orientale”, dall’Italia allo Yemen. Passando, naturalmente, per la Libia. Allora poco più che bambina, nel 1967, Evelina visse sulla sua pelle prima il feroce attacco contro gli ebrei di Tripoli - dove persero la vita in molti e che costrinse gli altri alla reclusione - e poi cacciata dell’intera comunità, espulsa dalla Libia senza soldi né documenti, perché «indegni di alcuna cittadinanza». Era il tempo della Guerra dei sei giorni: l’apertura delle ostilità tra Israele e Lega araba fu la miccia che accese l’odio antisemita, e poi la bruciante sconfitta dei paesi arabi fece della piccola comunità ebraica un capro espiatorio ideale su cui sfogare la frustrazione generale. Nelle ultime Evelina Meghnagi, che oggi vive a Roma, ha osservato con apprensione l’ondata di violenza contro gli italiani in Libia. Come brutto déjà vu : «Ho riconosciuto le grida di violenza che ho udito allora, la stessa irruenza capace di una grande violenza, che ho già visto e che anche questa volta mi ha fatto paura. Credo sia una cosa tipica delle masse aizzate». Quindi non è trattato di una protesta spontanea? «Le basi antisemitismo e di odio contro gli occidentali ci sono. Ma, come spesso accade nel mondo musulmano, credo che se non ci fossero stati degli aizzatori non si sarebbe giunti a questi eccessi». Lo stesso vale per le violenze di quarant’anni Allora c’era ancora il re, spiega la Meghnagi, Gheddafi sarebbe salito al potere solo due anni più tardi: «In molti credono che il re, che era una persona abbastanza tollerante, in realtà non volesse cacciare gli ebrei. Ma le pressioni interne erano troppo forti. In particolare c’era una nuova borghesia che voleva farsi strada e che vedeva nell’espulsione degli ebrei un mezzo rapido per creare nuovi spazi. Così ci mandarono via con una valigia, venti dollari, e neppure i documenti, perché in quanto ebrei non eravamo neppure riconosciuti. Così abbiamo dovuto aspettare l’intervento dell’Onu che ci riconoscesse lo stato di apolidi». Quel che resta della comunità ebraica libica è ora divisa tra Israele, l’Italia, e in misura minore gli Stati Uniti. Di risarcimenti, naturalmente, non se ne parla nemmeno: « Qualche anno fa Gheddafi invitò una delegazione di sei persone,alcuni ebrei ed altri italiani.Si diceva che la Libia voleva aprire i rapporti, e persino invitare gli ebrei cacciati a fare ritorno. Naturalmente la comunità ebraica era rimasta troppo scottata dal pogrom dalla cacciata, quindi nessuno pensò realmente di tornare a Tripoli. L’evento di “riconciliazione” fu molto pubblicizzato,ma poi non ci fu nessuna misura concreta, figuriamoci i risarcimenti». Oggi nei suoi concerti, in Italia e all’estero, Evelina Meghnagi racconta di questo mondo che non esiste più, dalle ninna-nanne alle preghiere degli ebrei della Libia, dove l’arabo si fonde con l’ebraico e con il judeo-espagnol,ovvero quella lingua tipica degli ebrei spagnoli prima della Reconquista, e che gli ebrei cacciati da Caterina d’Aragona esportarono in tutti i paesi dove trovarono rifugio: E’ un pezzo di cultura ebraica che io voglio raccontare », spiega la Meghnagi. «Spesso nella storia, mi riferisco anche ai primi decenni dello Stati d’Israele, i detentori della cultura ebraica sono stati gli ebrei dell’Est Europa, che parlavano yiddish e suonavano musica kletzmer. Oggi, con questa diffusione del kletzmer spesso gli italiani pensano che sia musica ebraica tout court. Ma questo non è vero ». La musica sefardita,racconta la Meghnagi,è di per sé un universo molto eterogeneo al suo interno, dove a seconda dei paesi di provenienza si sono sovrapposti strati culturali diversi. In Libia, per esempio, gli ebrei cacciati dalla Spagna hanno incontrato una comunità ebraica preesistente, e hanno fuso il judeo-espagnol con l’arabo: il risultato era una sovrapposizione tra ebraico, castigliano e arabo. Un processo analogo vale per chi è giunto in Grecia, chi in Turchia e via dicendo. Della divisione principale all’interno del mondo ebraico,del resto, racconta ampiamente lo scrittore israeliano Avraham B.Yehoshua (lui stesso sefardita) nel suo romanzo Viaggio alla fine del Millennio, che racconta del viaggio a cavallo dell’anno Mille di un mercante ebreo nordafricano che fa visita al nipote parigino: «Un viaggio nella dicotomia tra un mondo nordico e scuro e un tradizionalismo gioioso che vale un po’ anche oggi».
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