Le elezioni non bastano, ma sono indispensabili
l'analisi di Emanuele Ottolenghi sulla crisi della teoria neocon
Testata:
Data: 28/02/2006
Pagina: 6
Autore: Emanuele Ottolenghi
Titolo: La democrazia non basta, ma é il primo passo
Dal RIFORMISTA di martedì 28 febbraio 2006:
La teoria neo-con che ha ispirato il progetto di democratizzazione in Medio Oriente è in crisi. Non solo per la difficoltà di esportare la democrazia in Iraq e Afghanistan - problema ormai accertato da tempo - ma anche per i colpi inferti all'idea democratica da due eventi recenti: la vittoria di Hamas ha confermato le peggiori paure degli scettici proprio a ragione del rischio che in tutto il Medio Oriente sarebbero stati gli islamisti a beneficiare del processo democratico. E la guerra delle vignette ha mostrato i limiti della democrazia in una regione dove i parametri di tolleranza sono ancora molto limitati. Chi critica la filosofia neo-con di certo gongola di fronte a questi due eventi, prova della fallace natura della spinta riformatrice che la anima.
Ma anche i critici devono fare il loro esame di coscienza. Le sommosse anti-vignette sono state sobillate dai regimi autoritari del mondo arabo che la filosofia neo-con critica come causa del malessere mediorientale che genera, tra le altre cose, il terrorismo. Il realismo politico che ha tradizionalmente preferito i satrapi per la garanzia di stabilità che essi offrivano ha un bel da spiegare anche in Italia, dove il “nostro” tiranno, il colonnello Gheddafi, è responsabile delle sommosse anti-italiane che hanno animato le piazze libiche nei giorni scorsi. L'argomento a favore di un Gheddafi (come di un Mubarak in Egitto e un Re Abdallah in Giordania) è la sua affidabilità, la capacità di mantenere ordine e stabilità e difendere i nostri interessi e fare affari con noi. Certo, Gheddafi ogni tanto da sfogo alla sua stravaganza: lancia un paio di missili contro la Sicilia, glissa sulla morte violenta di un tecnico italiano e scatena la folla contro il nostro consolato. Ma alla fine coi libici si fanno buoni affari e il colonnello guida un regime certo non liberale, financo brutale, ma stabile e affidabile. E se Parigi val bene una messa, allora Tripoli e i contratti miliardari che ci offre valgono una calata di braghe con la par condicio, dove a sinistra non si condannano i roghi di bandiere e a destra non si condannano i roghi di consolati, tutto per ingraziarsi il dittatore che quei consolati ha fatto bruciare e che quelle bandiere fornisce a casa propria a chi è sempre pronto a bruciare in tutta spontaneità.
E qui si svela l'inadeguatezza della critica ai neo-con. Certo, l'esuberante entusiasmo di chi promuoveva la democrazia in Medioriente sarà anche stato eccessivo, incauto, prematuro o avventato. Ma la teoria secondo cui l'Occidente oggi si trova di fronte a un nemico totalitario contro il quale solo la democrazia offre un antidoto sicuro rimane valida, anche se richiede un dovuto aggiustamento. Il terrorismo nasce dalla bancarotta dello status quo politico del Medioriente, e quindi se la democrazia non funziona come alternativa, il ritorno allo status quo ante non offre una soluzione, semmai acuisce la crisi. Occorre invece chiedersi in quali condizioni la democrazia può fiorire e quali politiche possono favorire, nel contesto mediorientale, una transizione democratica. Nel far questo, occorre studiare l'analogia frequentemente citata dai neo-con - e cioè lo scontro contro il totalitarismo comunista - per stabilire la validità del paragone.

Medioriente 2006 dunque: è come l'Europa Orientale del 1989? Questa seducente analogia è l'essenza della teoria neo-con: la regione è oppressa da un'ideologia totalitaria simile al fascismo e al comunismo - Islamofascismo come molti l'hanno chiamata, che è il vero nemico dell'Occidente nella guerra contro il terrorismo, non il terrorismo stesso che ne è il mezzo scelto per promuoverne interessi e aspirazioni. Si tratta di una guerra di idee, che si può vincere, come nel 1989, grazie al richiamo irresistibile della libertà. Chiunque, secondo la dottrina, preferisce la libertà alla tirannia. Il Medioriente non ha fatto finora questa scelta perché non glien'è stata data l'opportunità. Il comunismo crollò sotto il peso delle sue contraddizioni: non poteva continuare a opprimere avendo perso ormai ogni traccia di vitalità, ogni attrattiva, qualsiasi credibilità come un coerente sistema di valori e idee che ispirasse in qualche modo la società. La rapidità del collasso dimostrò di quanto poco sostegno godessero il comunismo e i regimi che lo rappresentavano. Soltanto l'oppressione manteneva i regimi al potere. E una volta persa l'abilità di terrorizzare i loro cittadini, furono spazzati via dall'irresistibile voglia di libertà dei loro popoli. I regimi mediorientali sono anch'essi bancarottieri d'idee e di contenuti. Offrire la democrazia ai popoli che essi opprimono dovrebbe produrre un simile risultato dunque. Ma si tratta della Rivoluzione di Velluto, o è soltanto una Primavera di Praga? Seducente analogia, si diceva, ma sedurre non basta. Occorre convincere. E se gli scopi della marcia della libertà promossa sono sia nobili che utili all'Occidente, occorre anche notare le differenze, oltre che le somiglianze, tra il 1989 e il 2006.

E le differenze ci sono. L'ordine politico arabo che da segni di cedimento e declino, perché ormai incapace di offrire alcunché ai suoi sudditi, non è la facciata istituzionale dell'ideologia totalitaria che l'Occidente contrasta con la democrazia. In quasi tutti i paesi della regione, eccezion fatta per l'Iran, il fondamentalismo islamico non rappresenta l'ideologia che legittima i regimi. Rappresenta il loro più potente nemico. Persino in Arabia Saudita, dove superficialmente la casa regnante abbraccia una versione dello stesso Islam salafita che ispira il radicalismo islamico della Fratellanza Musulmana così come di Al Qaeda, sono i salafiti a costituire la minaccia più potente e reale all'ordine costituito, non i riformatori democratici. Altrove, in Egitto, Tunisia, Algeria, Marocco, Giordania e nel Golfo, sono gli islamisti a formare l'opposizione più formidabile all'ordine costituito, non la democrazia. E' stata la democrazia in passato a portarli a un passo dal potere in Algeria ed è stato un voto democratico che ha portato Hamas al potere in Palestina. La lotta armata islamista contro i regimi è finora fallita quasi ovunque. La democrazia potrebbe dar loro quanto le tirannie attuali, con la loro capacità non ancora esaurita di incutere paura, sono riuscite finora a negargli.
Occorre quindi sottolineare che, se si affermassero regole democratiche in quei paesi, gli ideali di libertà non avranno sconfitto il totalitarismo islamofascista, ma i regimi autoritari, le cleptocrazie familiari e gli eredi locali dello stalinismo che governano oggi la regione e che visione libertaria e islamismo vogliono parimenti spodestare. Vero, sono questi regimi che, nei loro disastrosi fallimenti hanno reso attraente l'alternativa islamista. Rimuoverli quindi è una necessaria precondizione per sconfiggere l'islamismo privandolo di parte della sua ragion d'essere. Ma non basterà sostituire l'ordine attuale con meccanismi democratici. Ci vorrà uno sforzo sostenuto e prolungato per vincere contro l'islamo-fascismo. E alle elezioni che seguiranno la caduta di quei regimi, l'ideale di libertà occidentale dovrà competere con il radicalismo islamico nell'urna. Esso non è la forza ideologica compromessa col potere. Ne è una delle alternative. I movimenti fondamentalisti impegnati oggi in molti paesi nella lotta terroristica e nella sovversione dell'ordine costituito, potrebbero anzi preferire la strada democratica per andare al potere e poi privare le loro società di quelle stesse libertà che ne avranno reso possibile l'avvento. Quindi il paragone da fare semmai la storia ne offrisse veramente uno è con gli anni venti, quando il crollo degli imperi mitteleuropei lasciò dietro di sé fragili democrazie dove partiti ispirati da ideologie totalitarie - fascisti e comunisti in Italia, nazionalsocialisti e comunisti in Germania - si offrirono, accettando superficialmente la democrazia come procedura per assumere il potere, come alternativa alla democrazia stessa. E procedettero poi a smantellarla, come promesso, una volta conquistato il potere.
Questo non significa che il progetto di democratizzazione del Medio Oriente sia sbagliato perché aprirà la strada del potere a quel nemico che invece con la democrazia si crede di sconfiggere. Significa che la lotta contro il totalitarismo islamista sarà più dura di quanto il paragone con il 1989 suggerisca e che essa non finirà con l'affermazione del principio della democrazia ma solo quando la democrazia, una volta affermata, dimostrerà come l'islamismo non abbia nulla da offrire di diverso dalle tirannie appena rimosse. In Europa, ci sono voluti più di vent'anni per sconfiggere il nazi-fascismo e altri cinquanta per sconfiggere il comunismo. Ed entrambe le ideologie godono ancora, nonostante il loro fallimento e gli orrori commessi per loro conto, di numerosi nostalgici e adepti. Pensare dunque che basti un'elezione ad affermare i valori liberaldemocratici è un'illusione. Ritenere allora che sia meglio favorire i dittatori piuttosto che rischiare una lenta, lunga e rischiosa strada verso la democrazia è peggio, perché significa ripetere uno sbaglio conoscendone già le improvvide conseguenze.


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