Hamas smentisce qualsiasi disponibilità a "riconoscere" Israele
la notizia é fornita con imprecisioni e distorsioni
Testata:
Data: 27/02/2006
Pagina: 13
Autore: la redazione - Paola Caridi
Titolo: "Si ad Israele". Poi la smentita - Hamas dice a Washington che vuol tornare al ’67

Un trafiletto da REPUBBLICA  del 27 febbraio 2006:

«Hamas è pronta a riconoscere Israele se darà ai palestinesi pieni diritti e uno Stato nei territori occupati nel 1967»: è quanto ha detto in un´intervista al Washington Post il premier palestinese designato, Ismail Haniyeh, esponente di Hamas. «Le parole di Haniyeh, che non padroneggia l´inglese, sono state travisate» ha però smentito poco dopo l´agenzia di stampa palestinese Bardawil, «ci sono diverse imprecisioni nel testo dell´intervista». «In nessuno caso - ha aggiunto - sarà mai riconosciuta alcuna legittimità della occupazione israeliana».

In realtà Haniyeh ha ipotizzato un riconoscimento di Israele solo come interlocutore di un futuro negoziato, mirante ad una tregua di lungo periodo, non alla pace. Per intendere il senso della successiva smentita bisogna poi ricordare che per Hamas l'intera Israele é terra palestinese occupata.

Sul RIFORMISTA Paola Caridi presenta le dichiarazioni già smentite di Haniyeh come la posizione ufficiale di Hamas. Ecco il testo:

Non comincia da Mosca l’offensiva diplomatica di Hamas, ora che Ismail Hanyeh ha assunto formalmente l’incarico di formare il nuovo governo palestinese. E’ vero, una delegazione ufficiale del movimento integralista è attesa in Russia venerdì prossimo, il 3 marzo, per vedere i dirigenti del Cremlino. Anche se non è sicuro, sinora, l’incontro con Vladimir Putin, che pure aveva lanciato poche settimane fa il ballon d’essai dentro il Quartetto con l’invito ad Hamas a recarsi a Mosca.No, l’offensiva pubblica inizia a Washington. Là dove nessuno di Hamas andrà, dopo che l’amministrazione Bush ha intensificato negli ultimi giorni (con esiti ben poco soddisfacenti, a dire il vero) le pressioni anche verso i paesi arabi perché non sostengano una Anp guidata dagli eredi dello sceicco Ahmed Yassin. Se la pattuglia diplomatica di Hamas non andrà negli Stati Uniti, la voce dello stesso Hanyeh è arrivata chiara nella Casa Bianca, con l’intervista concessa al Washington Post e a Newsweek. Hanyeh si dichiara «pronto a riconoscere Israele». Se, però, «Israele dichiara che darà ai palestinesi uno stato e darà indietro tutti i loro diritti». Hanyeh non lascia neanche spazio alle elucubrazioni. La sua disponibilità ha frontiere chiare. Riconoscerà Israele se Israele «riconoscerà uno stato palestinese lungo le frontiere del 1967, rilascerà i prigionieri e riconoscerà il diritto al ritorno dei rifugiati in Israele». Per Hamas, si ricomincia da qui. Non dagli accordi di Oslo, che secondo Hanyeh non sono stati rispettati da Israele, perché Tel Aviv non ha concesso di creare uno stato palestinese nel 1999, ha invece «rioccupato la Cisgiordania, costruito il muro, espanso le colonie e giudaizzato Gerusalemme». Alla richiesta di accettare le tre condizioni poste dal Quartetto (rinuncia alla violenza, riconoscimento di Israele e accettazione degli accordi firmati dall’Olp), Hanyeh risponde che «stabiliremo una pace a tappe», se Israele si ritirerà lungo confini del 1967. Questo, insomma, è il pacchetto che definisce la strategia di Hamas. Sul quale le reazioni ufficiali del mondo politico israeliano sono, sinora, caute. Queste sono anche le proposte che la delegazione di Hamas, formata da Mahmoud A-Zahar e Siad Siyam ha portato con sé venerdì scorso, quando è andata in Giordania per partecipare alla riunione dell’Unione parlamentare araba ad Aqaba. E che aveva, molto probabilmente, già esposto nel lungo tour arabo e musulmano in cui Khaled Meshaal, il leader del bureau all’estero, aveva forzato l’isolamento politico ed economico, centro della strategia di Israele e degli Stati Uniti. La presenza dei due dirigenti di Hamas in Giordania, peraltro, conferma l’ipotesi che il movimento integralista voglia aprire un canale di comunicazione con Amman,nel cui parlamento è forte l’unica rappresentanza legale dei Fratelli musulmani nel mondo arabo. Non tanto con l’obiettivo di rompere l’embargo sulla presenza di Meshaal in Giordania, a cui non è concesso l’ingresso dopo l’affaire del suo avvelenamento fallito da parte del Mossad nel 1997. Quanto perché il regno hashemita possa rivestire un ruolo più importante di ponte tra il fronte occidentale e i palestinesi. Che, peraltro, re Abdallah sia al centro di pressioni da più parti, lo dice anche il caso diplomatico scoppiato tra Tel Aviv e Amman la scorsa settimana, dopo le frasi del generale Yair Naveh, uno dei più alti nella gerarchia dell’esercito israeliano, che aveva predetto una vita breve per il regno di Abdallah, visto che la Giordania ha un’altissima percentuale di palestinesi e che potrebbe essere rovesciato da un “asse islamico”. Immediato lo scoppio della crisi, solo formalmente sedata dalla telefonata di Ehud Olmert al monarca hashemita per porgergli le sue scuse. La settimana, dunque, si apre con una situazione molto più complessa di quella precedente, sul fronte della diplomazia palestinese. Il viaggio di Condoleezza Rice nei paesi arabi, Egitto e Arabia Saudita in testa, non ha portato frutti: i paesi della Lega araba non possono isolare l’Anp, ma devono attendere le mosse di Hamas. Confermando, peraltro, gli aiuti economici. Hamas ha già effettuato la delicata tappa turca, dove siede - ricordiamolo - un governo islamista moderato. Ismail Hanyeh, peraltro, continua a disegnarsi il profilo di pragmatico, e smorza anche gli usuali termini dell’integralismo, dicendo al Washington Post che Hamas non vuole «ributtare gli ebrei a mare». E la Russia di Putin continua a dire che l’invito a Mosca serve per convincere Hamas ad accettare le richieste del Quartetto. Una speranza, questa, nutrita anche dallo stesso Mahmoud Abbas che, nella sua intervista all’emittente inglese Itv, dice di riporre fiducia negli incontri internazionali di Hamas per moderarne le posizioni.

Cliccare sul link sottostante per inviare una e-mail alla redazione di La Repubblicca e Il Riformista  

rubrica.lettere@repubblica.it ; cipiace@ilriformista.it