Dal CORRIERE della SERA di lunedì 20 febbraio 2006 un'intervista la direttore del quotidiano nigeriano This Day, che nel 2002 pubblicò un editoriale preso a pretesto dagli islamisti per terribili violenze anticristiane.Ecco il testo:
Cosa c'entrano i cristiani della Nigeria con i vignettisti danesi? Qui, non solo nessuno ha visto quelle vignette ma probabilmente nessuno sa bene cosa sia una vignetta. Le ragioni della violenza sono molto più profonde
Eniola Bello è il direttore del quotidiano indipendente
This Day di Lagos, lo stesso che a fine 2002 pubblicò un editoriale, a firma della giornalista Isioma Daniel sul concorso di Miss Mondo che avrebbe dovuto tenersi in quei giorni ad Abuja, la capitale nigeriana. La Daniel nell'articolo scrisse ironicamente che «anche il profeta Maometto si sarebbe potuto innamorare di quelle splendide ragazze in passerella e ne avrebbe potuta sposare qualcuna». Un commento giudicato «blasfemo» che provocò una rivolta islamica a Kaduna, nel nord della Nigeria — durata diversi giorni e costata la morte di oltre 200 persone —, lo spostamento a Londra del concorso e la fuga dal Paese della reporter, colpita da una fatwa che la condannava a morte.
«Anche allora la religione fu solo un pretesto utilizzato per fini politici — racconta Bello, cristiano che si dichiara laico —. I musulmani hanno cercato, oggi come allora, un pretesto per attaccare i cristiani. Cosa c'entrano i cristiani di Nigeria con i vignettisti danesi? E poi, qui, non solo nessuno ha visto quelle vignette ma probabilmente nessuno sa bene cosa sia una vignetta. Le ragioni della violenza sono molto più profonde, vanno ricercate nelle condizioni sociali ed economiche di questo Paese».
Nell'autunno 2002 le prime dimostrazioni contro i cristiani iniziarono non contro i costumi da bagno osé delle Miss ma quando queste espressero solidarietà a due donne, Safyiah e Amina, condannate a morte (poi assolte in appello) dalle corti islamiche per un adulterio probabilmente mai commesso. «I musulmani — continua Bello — fomentano i disordini per dimostrare che i cristiani non sono in grado di governare il Paese. Dunque il potere deve ritornare agli uomini dell'Islam. E le prossime elezioni sono alle porte». Quindi ci sono degli agitatori? «Non c'è alcun dubbio — spiega il direttore di This Day — . Anche se le gerarchie islamiche prendono le distanze a livello ufficiale, vengono però utilizzate per fini politici le masse dei poveri e dei diseredati che nulla hanno da perdere se finiscono in galera o picchiati dalla polizia».
Dopo anni di dittature militari, guidate con pugno di ferro da generali musulmani, ora con il presidente cristiano Olusegun Obasanjo, democraticamente eletto, la situazione della Nigeria piano piano sembra cambiata. «I clan islamici — afferma Bello - stanno perdendo l'egemonia di un tempo. Da qui l'esigenza, violando la legge laica federale, di imporre la sharia per tenere le masse dei diseredati sotto il controllo della religione».
Il governo ha cercato di impedire l'islamizzazione forzata ma, costretto da complicati giochi tribali e di potere, non è riuscito a bloccare del tutto le pretese dei governatori musulmani. «Questo è il Paese più popoloso dell'Africa e in palio ci sono le sue enormi ricchezze petrolifere — precisa il giornalista —. La religione è un pretesto che ha causato molti dolori e sofferenze. Negli ultimi tempi i morti si contano a migliaia. Speriamo di uscire presto da questa spirale ma abbiamo bisogno di più democrazia e una distribuzione più equa della ricchezza».
Dal RIFORMISTA di lunedì 20 febbraio 2006 un articolo sui giornalisti musulmani incarcerati per aver pubblicato le vignette "blasfeme". Ecco il testo:
La guerra delle vignette non infiamma solo le piazze. Nei paesi arabi o musulmani è materia anche di aule giudiziarie. Mercoledì davanti al tribunale di San’a, nello Yemen, apparirà Mohammed al-Assadi, direttore del periodico Yemen Observer, ritenuto colpevole di aver ripubblicato le controverse caricature su Maometto che hanno scatenato l’ira negli animi di tutti i paesi arabi e islamici o dove esiste una nutrita presenza di musulmani. Il giornalista del settimanale yemenita, diventato famosissimo all’epoca del rapimento degli ostaggi italiani nel gennaio scorso (quando il suo sito internet era diventato una fonte primaria per seguire la vicenda dei nostri connazionali), è accusato di aver «pubblicato vignette blasfeme offensive nei confronti del profeta Maometto e della religione islamica».Al-Assadi ha respinto le accuse, sostenendo di aver ripubblicato le caricature nell’ambito di un servizio dedicato alle proteste nel mondo islamico e il sito internet del settimanale lo difende a spada tratta, sfidando la mano pesante del governo guidato dall’inossidabile presidente Abdallah Saleh,militare in abiti civili. Il sito del settimanale pubblica infatti in prima pagina, in questi giorni, l’appello appena lanciato da Reporters sans frontieres. Una petizione che non riguarda solo al-Assadi ma anche altri colleghi yemeniti detenuti con lui e altri ancora recentemente incarcerati in Algeria. Sempre con l’accusa di aver pubblicato le vignette satiriche sul profeta Maometto. In molti casi la pubblicazione delle testate è stata sospesa. Il processo ad al-Assadi è dunque solo la punta di un iceberg in quella che è stata la reazione spesso durissima (con arresti, accuse e chiusura di testate) nei confronti di giornalisti il cui intento non era certo quello di offendere il profeta e i sentimenti dei propri connazionali. Una vicenda poco nota e che, subissata dalle cronache sugli assalti alle ambasciate, sui cortei e i roghi di bandiere, ha finito per lasciare nell’ombra quella che è una vecchia pratica di regimi o democrazia a libertà vigilata: la censura. L’associazione per la libertà di stampa che ha sede a Parigi spiega che sono undici i giornalisti colpiti a livello giudiziario per la vicenda delle vignette. Sei sono in prigione. La segretaria di Reporters sans Frontieres (Rsf) ricorda che in Giordania ci sono due direttori perseguiti con l’accusa di provocazione e disordini, mentre in Marocco, Indonesia, Malaysia e Giordania sono state sospese tredici testate. Il caso giordano è il più noto e riguarda i due direttori Jihad Momani e Hashem Khalidi, rispettivamente a capo di Shiahne e Al- Mehwar. Nello Yemen in totale sono tre i giornalisti arrestati grazie all’articolo 103 della legge sulla stampa che vieta la pubblicazione di tutto ciò che nuoce alla fede islamica e denigra una religione monoteista. Nell’ultima conferenza organizzata a Parigi insieme alla commissione araba per i diritti umani, si legge nell’appello di Rsf, è stato ricordato che niente può giustificare la detenzione dei professionisti dell’informazione (la petizione per la liberazione dei sei attuali detenuti che si può leggere sul sito www.resf.org e può essere sottoscritta inviando una mail a moyen-orient2@rsf.org). Il processo nello Yemen è dunque uno dei primi veri test per capire se i governi intenderanno fare marcia indietro e se e quali pene applicare. Esiste poi il problema della riapparizione delle testate soppresse. Uno dei primi casi di censura è avvenuto tra l’altro proprio in un paese “moderato”come la Malaysia, il cui premier Abdullah Badawi, è noto come il fautore del cosiddetto Islam Hadari (Islam tollerante). Ma equilibri religiosi, libertà e laicità non sempre vanno a braccetto. In Malaysia, paese democratico ma che resta pur sempre a “libertà vigilata”, il governo ha infatti vietato anche il solo possesso delle caricature mentre aveva immediatamente “sospeso” il Sarawak Tribune, giornale da 25mila copie che le aveva pubblicate.Poi però si sono cominciate a diffondere voci sulla possibilità che la sospensione, concordata dal governo con l’editore, potesse trasformarsi in una chiusura definitiva. Per restare nel Far East, forme di censura pesanti per la pubblicazione delle vignette si sono verificate anche in Indonesia,dove Imam Tri Karso Hadi, editore di Peta, potrebbe subire una condanna di cinque anni per blasfemia.
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