Scandalismo e furori ideologici su Guantanamo
due quotidiani a confronto
Testata:
Data: 17/02/2006
Pagina: 7
Autore: Anna Zafesova - Marco D'Eramo
Titolo: Nessun diritto, nemmeno di morire - Insostenibile Bush

Sulla base del rapporto Onu su Guantanamo Anna Zafesova confeziona sulla STAMPA di venerdì 17 febbraio 2006 un articolo scandalistico che descrive il carcere americano come una sorta di lager. Un caso di alimentazione forzata (una delle poche concrete contestazioni del rapporto) fornisce lo spunto per il folle titolo, magistrale nel suo genere: "Nessun diritto, nemmeno di morire".
Ecco il testo:

Incarcerati senza processo, detenuti senza scadenza, umiliati, torturati, ricattati, offesi nella loro fede, devastati nella mente e nel corpo, privati perfino del diritto di protestare o suicidarsi con lo sciopero della fame: questo è il giudizio del rapporto Onu sui prigionieri di Guantanamo, che chiede agli Stati Uniti senza mezzi termini di «chiudere immediatamente» il penitenziario per i sospetti membri di Al Qaeda, luogo di abusi, torture, illegalità e «trattamento crudele, disumano e degradante». Processare i detenuti o rispedirli a casa, indagare i colpevoli degli abusi e dare una compensazione alle vittime, e astenersi in futuro da comportamenti come quelli tenuti a Guantanamo dal 2001 in poi: queste sono le raccomandazioni perentorie degli investigatori del Palazzo di Vetro alla Casa Bianca e al Pentagono.
Il rapporto di 54 pagine, pubblicato ufficialmente ieri , è stato stilato da cinque esperti della Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite: Leila Zerrougui, esperta di detenzione arbitraria; Leandro Despouy, esperto di indipendenza giuriziaria; Manfred Nowak, esperto di tortura; Asma Jahangir, esperto di libertà religiosa, e Paul Hunt, esperto di salute fisica e mentale. I cinque hanno assunto il loro incarico tre anni fa e hanno lavorato in modo indipendente, con la garanzia della copertura delle spese sostenute, ma senza essere retribuiti dall’Onu. Hanno raccolto prove, analizzato testimonianze, interrogato ex detenuti e i loro avvocati, monitorato notizie sui giornali, mandato questionari al governo Usa, cercando di fare un quadro di quello che stava accadendo dietro il filo spinato della base americana a Cuba. Ma i cinque inquisitori non vi hanno mai messo piede: alla fine del 2005 il governo americano ha concesso a tre membdi del gruppo dell’Onu un permesso per visitare Guantanamo, per un solo giorno, e soprattutto senza la possibilità di parlare a quattr’occhi con i detenuti. Una proposta alla quale gli investigatori hanno detto di no.
Del resto, non mancavano informazioni dirette e indirette su quello che stava accadendo nella prigione per «combattenti nemici» catturati nell’Afghanistan dei taleban e in altri luoghi. Il rapporto cita le «tecniche di interrogatorio» ammesse: privazione del sonno, costrizione a posizioni scomode, isolamento fino a 30 giorni, denudamento forzato, utilizzo di fobie (per esempio, dei cani) per provocare stress, cappucci e cuffie per snervare il detenuto con assenza di stimoli audio-visivi, rasatura coercitiva di capelli, barbe e sopracciglia, e mille altri trucchi che, secondo gli esperti dell’Onu, se non sono tortura (manca il criterio principale di «sofferenza grave fisica o psicologica») vi si avvicinano molto. Senza contare poi le denunce degli ex detenuti di essere stati umiliati come musulmani: spogliati di fronte a femmine, interrogati da donne che assumevano «atteggiamenti provocatori», privati del Corano, costretti a vedere il loro libro sacro pestato dagli inquisitori.
Alcune di queste tecniche non vengono più utilizzate, ma rimane in vigore il regolamento che permette di esporre i detenuti a «temperature estreme», metterli in «condizioni di disagio» artificiali (per esempio, in ambienti puzzolenti, troppo caldi o troppo freddi), isolarli dai compagni e privarli di beni di conforto che vengono invece restituiti in caso di cooperazione con le autorità.
Questo è uno dei capisaldi del ragionamento degli esperti dell’Onu che infatti, interrogando gli inquilini di Guantanamo rilasciati, sono giunti alla conclusione che la prigione Usa non serve alla detenzione di «combattenti nemici» (lecita in caso di guerra dichiarata), ma è un centro di interrogatori dove i veri o presunti membri di Al Qaeda vengono costretti a confessare e dare informazioni. In quanto tale, Guantanamo - dice l’Onu - non ha nessun diritto a esistere e dovrebbe chiudere immediatamente.
Non essendo in guerra dichiarata, gli Usa dovrebbero comunque garantire ai detenuti un trattamento umano e una giustizia equa. Invece i prigionieri di Guantanamo - spesso catturati peraltro non in zone di guerra, come i sei algerini presi in Bosnia e trasferiti a Cuba - vengono detenuti senza scadenze, senza potersi presentare davanti a un giudice che non sia un tribunale militare e venire giudicati nel rispetto dei diritti giuridici più elementari. Secondo gli esperti dell’Onu, è proprio questa incertezza sul proprio futuro a devastare - perfino più dei maltrattamenti e delle privazioni - mentalmente i prigionieri. Il rapporto rileva solo nel 2003 almeno 350 casi di «tentativi di farsi del male» tra i prigionieri, incluse epidemie di tentati suicidi e scioperi della fame. Ma anche questo diritto gli viene negato, e il rapporto dell’Onu riserva parole di fuoco ai medici di Guantanamo che, contravvenendo all’etica professionale, costringono i prigionieri all’alimentazione forzata. E, secondo alcune testimonianze, medici militari hanno anche partecipato agli interrogatori, somministrando droghe o dando consigli sulle «tecniche» da utilizzare.

Virulento editoriale di Marco D'Eramo fondato sull'equiparazione di Guantanamo ai lager sul Manifesto. Ecco il testo: 

Persino le Nazioni Unite chiedono ora l'immediata chiusura della prigione di Guantanamo e la liberazione dei prigionieri ivi rinchiusi, a meno che non siano subito processati secondo i criteri internazionali di legalità. Eppure l'Onu è celebre per il suo tatto nel blandire le suscettibilità delle superpotenze che compongono il suo Consiglio di sicurezza e pagano il lauto stipendio dei suoi funzionari. Se perciò i cinque ispettori della Commissione sui Diritti Umani hanno stilato uno schiacciante atto d'accusa nei confronti del governo statunitense, deve essere davvero spudorata la violazione di ogni diritto delle genti che da quattro anni (i primi detenuti vi furono deportati nel gennaio 2002) è perpetrata in questa baia sud-orientale di Cuba. Secondo il rapporto Onu, nei confronti dei malcapitati prigionieri il ramo esecutivo dello stato Usa si arroga il diritto di agire «come giudice, pubblica accusa e collegio di difesa tutto in una volta, e viola così il diritto a un processo equo»; tenta di ridefinire la tortura in modo tale da permettere tecniche d'interrogatorio «che non sono consentite dalla definizione internazionalmente accettata della tortura»; pratica «condizioni di detenzione indeterminata e isolamento prolungato che costituiscono un trattamento inumano», e così di seguito.

Nessuna di queste accuse è nuova. Inedito invece è il tono duro che contrasta con l'usuale bilancino linguistico, esercizio da sempre prediletto nel Palazzo di Vetro. Vuol dire che lo scandalo di Guantanamo è divento insostenibile anche per la più tartufesca burocrazia internazionale (per pura coincidenza il rapporto è stato divulgato subito dopo la pubblicazione di nuove foto sugli orrori di Abu Ghraib). D'altronde, la chiusura di questa galera l'ha chiesta di persona a George Bush persino un'ultraliberista filoamericana come la neo-premier tedesca Angela Merkel durante la sua prima visita ufficiale a Washington.

Certo, come previsto, la raccomandazione Onu ha già avuto la stessa sorte della richiesta Merkel: è finita nel cestino e la Casa bianca l'ha respinta. Non solo, ma - facile profezia - accrescerà la diffidenza della destra Usa nei confronti delle Nazioni unite Il fatto è che per la coscienza pubblica statunitense questa base militare convertita in campo di concentramento è solo una fastidiosa sgradevolezza, che gli stranieri hanno la malevola tendenza a sbatterti in faccia o ogni piè sospinto. Appena nomini Guantanamo, nel volto dei tuoi interlocutori Usa, anche di sinistra, trapela un'insofferenza fatalista («Eh ...sì...»), un po' come quando a noi chiedono delle volgarità di Silvio Berlusconi. Siamo stati tutti mitridatizzati: gli Usa possono rapire cittadini stranieri a Milano o a Londra per farli seviziare in Romania o in Egitto; possono torturare prigionieri in Iraq e in Afghanistan, lanciare bombe al fosforo contro civili, detenere in condizioni inumane senza processo per più di 4 anni più di 500 prigionieri (di cui solo l'8% riconducibile ad Al Qaida), possono spiare i propri cittadini senza autorizzazione giudiziaria. Eppure... Eppure si proclamano paladini della legalità internazionale, vessilliferi della democrazia (dipende però da chi viene eletto), assemblano tribunali in cui giudicare l'universo mondo. Ma questo mondo cambia. Chi dieci anni fa avesse stigmatizzato tali pratiche, sarebbe stato tacciato di antiamericanismo viscerale: oggi invece. Bisogna riconoscerlo a Bush: è riuscito a rinsaldare almeno una «coalizione delle volontà», quella contro di sé persino nell'equilibrista diplomazia Onu.

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