La STAMPA di venerdì 10 febbraio 2006 pubblica un 'intervista di Fiamma Nirenstein al generale Aharon Zeevi Farkash, ex capo dell'intelligence militare israeliana.Tra gli argomenti della conversazione il programma nucleare e missilistico iraniano, l'effetto destabilizzante della vittoria di Hamas e alcune rivelazioni sulla sordità dei leader politici europei agli avvertimenti israeliani circa la pericolosità di Teheran Ecco il testo:
Il generale Aharon Zeevi Farkash che da due mesi ha lasciato il suo ruolo di capo dell’intelligence dell’esercito è un chiaro e determinato tecnico della guerra contro al terrorismo. Ieri, per la prima volta dalla fine del suo servizio accetta di incontrare un gruppetto di giornalisti, il tono è di gelido allarme. Prima ancora della vittoria di Hamas, lo preoccupa la vicenda iraniana.
«L’Iran è alla conclusione della fase più significativa. Da pochi giorni, nel gennaio di quest’anno, ha deciso di proseguire la fase di preparazione delle centrifughe. Da allora, possiamo calcolare da sei mesi a un anno prima che siano pronti, fino al 2007. Poi, dal 2007, bisognerà calcolare circa due anni perché possano arrivare a produrre la prima bomba. Successivamente, possiamo pensare che occorra aspettare fino al 2010-11 perché siano pronti a usarla». Farkas dice - con onestà - che fra le varie intelligence, c’è chi pensa che la scadenza sia il 2015. Insiste che comunque la fase più critica è la prima, quella in cui l’Iran si metterà in condizione di arricchire l’uranio da solo.
Qual è l’obiettivo strategico iraniano? Per capirlo, il mondo deve occuparsi della preparazione dei missili Shihab in grado di portare testate nucleari, e ha una serie di scadenze precise. La sorprendente prospettiva: «Per lo Shihab in prima fase l’Iran lavora a due obiettivi: Israele e Arabia Saudita. Abbiamo informazioni che lo Shihab 3 che è già stato sperimentato, gittata da 1300 a 1400 chilometri, è confezionato da una squadra con due responsabilità». Per il prossimo futuro Farkash indica la costruzione iraniana di un missile che arrivi dai 3700 ai 5000 chilometri di distanza. Esso, dice, è destinato alle città europee, e sarà pronto in due-tre anni. Successivamente per il 2008-9 sarà pronto un missile che arrivi fino agli USA e alle coste orientali, intorno ai 10mila chilometri di gittata.
Ma chi può davvero dire se queste intenzioni sono reali? Farkash ha un piccolo sorriso: «Intanto, non abbiamo quasi bisogno di intelligence: il presidente Ahmadinejad parla senza giri di parole. In secondo luogo, la spesa di miliardi di dollari, testimonia che i lavori in corso non sono certo di facciata». In generale, si può dire che la situazione sia particolarmente minacciosa.
E per Israele, il fatto che Hamas abbia vinto le elezioni, peggiora ancora la situazione? Per Farkash, la vittoria di Hamas si inserisce in una pericolosa strada di destabilizzazione mediorientale a carattere religioso: i gruppi fondamentalisti usano gli spazi aperti dal processo di democratizzazione iniziato in Iraq con la guerra. Quindi essa è stata un errore? «No,di fatto il terrorismo contro gli USA è stato battuto. E la novità degli Usa in Medio Oriente crea spazi anche per processi positivi. Certo, qui la destabilizzazione portata dalla crescita islamista si vede ovunque: in Egitto, in Siria, fra i palestinesi. Ma la democrazia è un processo che prende molto tempo. E non si creda che adesso che Hamas ha vinto Fatah sia tagliata definitivamente fuori. Ha perso violentemente nelle elezioni locali, ma al parlamento resta potente, e si mobilita per recuperare. La sconfitta è della generazione dei reduci da Tunisi, con Arafat. I più giovani, possono ancora farcela.
Purtroppo ci si può aspettare che sulla scia di Hamas, in parte rirtorni a contare sull’uso della violenza». Farkash non si sbilancia sul futuro, da tecnico qual è. In tutto ci sono aspetti negativi e positivi, solo una cosa appare certa: «Si deve capire che le forze integraliste possono chiudere i ranghi fra Egitto, Libano con gli Hezbollah, Siria, Libia, Autorità palestinese, e soprattutto Iran. Al Qaeda è della partita. Sharon a suo tempo mi incaricò di parlare del pericolo iraniano e della strategia di Al Qaeda ai primi ministri europei. Da Berlusconi, fino alla Germania e alla Francia, ho fatto un largo giro. Tutti grosso modo mi risposero: «Noi siamo stati abituati dalla Guerra Fredda a vivere col pericolo nucleare, e comunque sia gli Usa che Israele interverranno comunque». Come, anche Berlusconi le disse così? Farkash risponde: «L’incontro con Berlusconi fu costruttivo e interessante e avvenne a Gerusalemme, durante la visita in Israele del 2003». Niente di più.
Cliccare sul link sottostante per inviare una e-mail alla redazione de La Stampa