Dal RIFORMISTA di mercoledì 8 febbraio 2006 riprendiamo un intervento di Emanuele Ottolenghi.
Il ministro degli Esteri Gianfranco Fini ha notato che in un paese come la Siria appare difficile credere che l'assalto a due ambasciate, danese e norvegese, possa essere avvenuto senza la connivenza del regime. Possibile che, con tutte le spie che hanno al soldo, non sapessero che le dimostrazioni sarebbero avvenute? L'osservazione è valida se si aggiunge che quando i manifestanti sono giunti all'ambasciata francese la polizia siriana ha impedito che le toccasse la stessa sorte. In un caso l'ambasciata brucia, nell'altro no. Strano, in un paese come la Siria, dove nulla accade spontaneamente e dove le dimostrazioni sono regolarmente organizzate dal regime o represse con alacre brutalità Piuttosto che una manifestazione sfociata in violenza, sembra un avvertimento di stampo mafioso, dove l'ambasciata che brucia intimidisce non solo chi quell'ambasciata rappresenta ma anche coloro la cui ambasciata è stata, per il momento, risparmiata. Nel frattempo, il governo libanese, da poche settimane privo di Hizbullah nei suoi ranghi, ha accusato proprio la Siria di aver fomentato le manifestazioni anti-danesi (e anti-europee) a Beirut, finite anch'esse nel rogo dell'ambasciata scandinava. Tra gli arrestati ci sono 76 siriani e 35 palestinesi. L'avvertimento lì ¨ per il governo libanese, oltre che per i suoi alleati europei.
La guerra santa delle vignette offre troppi dettagli strani e troppe coincidenze sospette. Difficile pretendere di essere di fronte alla spontanea esplosione di rabbia causa un'inattesa e poco saggia pubblicazione. Intanto, va notato il contesto particolare. C'è il precedente dei versetti satanici di Salman Rushdie e del Fatwa emesso contro l'autore. La settimana scorsa, lo sceicco libanese Hassan Nasrallah, leader di Hizbullah, ha tirato in ballo proprio quel precedente, sostenendo come sia stato un errore da parte dell'Islam di non assassinare Rushdie, perché ¬'Europa in quel caso avrebbe compreso i pericoli insiti nell'offendere l'Islam. Utile ricordarcelo, forse Fadlallah vuole anche lui avvertire l'Europa di qualcosa che gli sta a cuore. Poi c'è l'omicidio di Theo Van Gogh, sgozzato come un pollo per strada ad Amsterdam, il 2 novembre 2004, per aver offeso l'Islam con un cortometraggio di 11 minuti in cui versi coranici apparivano tracciati sul corpo seminudo di un'attrice per evidenziare in maniera critica il ruolo della donna nell'Islam. L'ispiratrice del film, la parlamentare olandese Ayaan Hirsi Ali, vive sotto protezione e in domicilio segreto da quando ha detto in un'intervista televisiva di aver abbandonato l'Islam. E come se non bastasse, esiste un'atmosfera d'intimidazione contro chiunque intenda criticare l'Islam. Pensando alla morte di Van Gogh e alla sorte di Ayaan Hirsi Ali, gli umoristi del futuro ci penseranno due volte prima di ridisegnare l'Islam.
Proprio ieri sei parlamentari europei danesi si sono rifiutati di parlare con giornalisti sul tema delle vignette pubblicate dalla rivista Jylland-Posten perché hanno paura. I vignettisti sono ora nascosti, minacciati di morte. Lo sceicco radicale Omar Bakri Muhammad, fuggito l'estate scorsa in Libano dall'Inghilterra, ha auspicato qualche giorno fa che gli autori venissero decapitati come punizione per il sacrilegio commesso. Visti gli slogan dei cartelli di protesta davanti all'ambasciata danese a Londra ("Chi insulta l'Islam sarà decapitato" per esempio), a buon intenditor, poche parole.
Il contesto quindi è l'i intimidazione e di attacco aperto alla libertà ¤'opinione. Non si tratta piùstabilire se le vignette sono di buon o cattivo gusto. La questione in ballo ora è µno scontro tra due visioni, una che crede nella libertà di pensiero, il cui vero test non è l'espressione di un'opinione da tutti condivisa, ma la difesa di opinioni ai pi?ise, e l'altra che vuole imporre un'ortodossia morale e di pensiero. Non a caso, lo scopo originale della pubblicazione delle vignette era proprio di mettere alla prova i limiti della tolleranza della cultura islamista in Europa e altrove. A giudicare dai primi risultati, la prova ha ottenuto ben oltre quanto si sperasse (o temesse), tanto che secondo notizie non confermate la Danimarca potrebbe cancellare l'amichevole di calcio con Israele del primo marzo per paura di ripercussioni negative in patria nella comunità usulmana e la Svezia ha ritirato dei libri di testo sull'Islam dalle scuole dove il Profeta Maometto appare in due istanze in foto di opere d'arte (per altro islamica) del XIV secolo. L'autocensura sta già operando Ma il contesto che va considerato veramente per capire gli scopi della guerra santa delle vignette è ben più ampio e sinistro. Infatti la domanda vera da porsi è, perché la pubblicazione di vignette giudicate da alcuni offensive avviene in Danimarca l'autunno scorso ma provoca una tale esplosione di violenza sincronizzata dall'Indonesia all'Atlantico soltanto ora, a febbraio, cioè oltre quattro mesi dopo. Come mai le “masse musulmane” si svegliano spontaneamente adesso, mentre quattro mesi fa soltanto i loro “confratelli” danesi, che pure si arrabbiarono non poco protestando in varie maniere, non riuscirono a scatenare una simile ondata di risentimento? Ci sono altre domande da porsi di fronte alla supposta spontaneità dei moti. Le manifestazioni di piazza inglesi hanno offerto molti partecipanti in tante città, tutti dotati di simili cartelli scritti in simili caratteri con simili slogan. Nel frattempo, chissà per quale miracolo della globalizzazione, l'intero mondo mussulmano, nel suo scatto di spontanea rabbia, aveva così tante bandiere danesi a portata di mano. Possibile che ci sia sempre un venditore di bandiere a disposizione ogni volta che la rabbia esplode spontanea? Possibile poi che la calma sia durata, quasi per magia, nell'intervallo tra i moti parigini d'autunno e la fine del ciclo elettorale egiziano e palestinese, durante il quale Islam doveva rimanere sinonimo (almeno in pectore) di moderazione? Specie quando quel ciclo si è concluso a ridosso della decisione dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica di deferire l'Iran al Consiglio di Sicurezza dell'Onu?
Curiosamente, all'Iran ora sono stati immediatamente concessi altri 30 giorni di grazia prima che Mohammad el-Baradei riferisca al consiglio. Il che, permetterà di far passare febbraio, mese di presidenza americana al Consiglio di Sicurezza. Di sicuro ci saranno altre scuse ora, altri abboccamenti, e nel clima teso di rapporti tra Occidente e Islam forse ci saranno altre voci che si leveranno raccomandando di evitare ulteriori tensioni (vedi ieri, sul Guardian, Polly Toynbee, avida sostenitrice di un'Iran nucleare). E se si riesce a trascinare la questione per qualche mese ancora, si arriverà a giugno, mese di presidenza danese e a luglio, mese di presidenza francese, i cui paesi, ohibò, sono casualmente nell'occhio del ciclone per l'incauta scelta di pubblicare dodici vignette. Di europei ce ne sono altri tre naturalmente: Grecia, Inghilterra e Slovacchia. E contando i due membri permanenti più recalcitranti - Cina e Russia - appare abbastanza ovvio perché intimidirne qualche membro potrebbe rendere il Consiglio più malleabile quando arrivasse il momento della verità.
Della missione incendiaria dell'Imam danese Ahmed Abu Laban si sa. Si sa anche che Abu Laban, nel visitare moschee e organizzazioni islamiche (oltre che governi), ha loro offerto un libretto che riproduceva non solo i dodici disegni incriminati, ma se ne era inventati altri tre almeno, molto più esplosivi. Contraffatti a bella posta insomma, per sollevare gli animi. Ma la missione, che mirava a sollecitare aiuto e sostegno, è anch'essa avvenuta da tempo ormai. C'è un intervallo molto lungo insomma tra il viaggio di “sensibilizzazione” e l'esplosione dei moti. Un intervallo lungo abbastanza da preparare “la rabbia spontanea” e farla esplodere al momento politicamente più conveniente.
L'esplosione della guerra santa delle vignette insomma non è né spontanea né casuale, perché serve gli scopi politici dei movimenti salafisti e jihadisti, sunniti e sciiti, unendo per la prima volta Hizbullah e la Fratellanza musulmana attraverso la cerniera di Hamas e gli altri movimenti vicini ad al-Qai'da. Tutti gli eventi e le circostanze previamente indicate mostrano una pianificazione e un coordinamento, come fu il caso dei moti francesi, dove l'esplosione quasi sincronizzata della violenza in quasi duecento centri urbani, e la coincidenza di simili slogan e graffiti oltre che di attività, indicano un chiaro coordinamento. Gli scopi di questa azione servono gli interessi di Iran, Siria e dei movimenti islamisti a loro legati. In primo luogo, la Danimarca, voto cruciale in Consiglio di Sicurezza (e presidente a giugno) è stata messa in guardia in vista del voto sul nucleare iraniano. In secondo luogo è stata avvertita la Francia, che dovrà presto decidere in che direzione muoversi non solo sul nucleare ma anche sull'inchiesta sull'assassinio del primo ministro libanese Rafik Hariri: i moti parigini, uniti alla guerra delle vignette chiariscono ai francesi che la prossima volta i guai nelle banlieues saranno molto più seri. Entrambi sono dimostrazioni di forza. Ma il peggio ha da venire. Meglio ammiccare forse, questo il messaggio. In terzo luogo si cerca di dividere e indebolire l'Europa a un passo da scelte cruciali in tema di nucleare iraniano, truppe in Iraq e Afghanistan e strategia da adottare con Hamas. Nelle dinamiche violente mediorientali c'è un ultimo dato che serve l'agenda salafita: gli attacchi ai cristiani (molte le chiese assalite e in Turchia c'è un prete cattolico già ucciso) permettono agli islamisti di assurgere a protettori dei “popoli del libro”, rafforzando così l'immagine tollerante dell'idea islamista di dhimmitudine, ben diversa dalla democrazia che l'Occidente vorrebbe installare nella regione, a cui gl'islamisti aspirano sia nel contesto palestinese, sia in quello più ampio mediorientale.
L'attacco alla libertà di pensiero occidentale, nato dal pretesto delle vignette, rappresenta la riscossa dell'Islam radicale dopo cinque anni di offensiva occidentale nei loro territori in nome della democrazia. Non si tratta di un'esplosione spontanea di rabbia. Si tratta di una chiara strategia politica, che porta lo scontro nel cuore dell'Europa, mirata a chiari obbiettivi. Non si tratta più dunque di stabilire la saggezza o il buongusto della pubblicazione. Si tratta di difendere interessi e valori europei. Cedere creerebbe un precedente: la violenza funziona e l'Europa è vulnerabile. E allora il ricatto sarebbe molto ma molto più pesante della richiesta di scuse per dodici vignette.
Cliccare sul link sottostante per inviare una e-mail alla redazione del Riformista