Non banalizzare la Shoah
l'analisi di Emanuele Ottolenghi
Testata:
Data: 28/01/2006
Pagina: 1
Autore: Emanuele Ottolenghi
Titolo: Riconoscere l'Olocausto è il biglietto d'ingresso in Europa

Sul RIFORMISTA di oggi 28.1.2006, Emanuele Ottolenghi analizza alcuni aspetti della ricorrenza della Shoah.

Ecco il testo:

Commentando, negli anni trenta dell’ottocento, la disponibilità dell’Europa a estendere agli ebrei i diritti di cittadinanza, il poeta tedesco Heinrich Heine notava come la condizione per l’ammissione a pieno titolo degli ebrei in Europa fosse l’assimilazione. Oggi, per l’ammissione a pieno titolo in Europa, i paesi che vogliono accedere all’Unione devono riconoscere invece l’Olocausto come elemento centrale dell’identità europea. Tanto centrale è il dovere della memoria oggi che le recenti dichiarazioni negazioniste del presidente iraniano hanno provocato una tempesta di reazioni europee che il programma nucleare iraniano non aveva fino a quel momento sollevato. L’offesa alla memoria per l’Europa è oggi ancor più grave dei propositi genocidi che quel programma nucleare comporta. Ma la centralità della memoria dell’Olocausto nell’identità europea non significa sempre che di quella memoria e delle lezioni che ne dovrebbero scaturire se ne faccia buon uso. E nonostante l’Olocausto (oltre che le idee e le esperienze ad esso associate) sia diventato nella cultura dominante sinonimosinonimo del male assoluto,spesso sono proprio coloro che descrivendolo in quella luce malvagia lo usano come inopportuno metro di paragone di altri fenomeni a contribuire alla banalizzazione della sua memoria. Questo finisce per sminuire l’evento storico, negandone l’unicità. L’importanza della memoria dovrebbe essere evidente. Per lo stesso essere avvenuto, l’Olocausto insegna che un simile evento è in teoria ripetibile. Le lezioni della storia servono quindi a sensibilizzare la società di fronte al riapparire quei sintomi, sia che si tratti delle vittime di ieri, sia che si tratti di vittime di altri contesti simili. E l’unicità dell’Olocausto insegna non che solo gli ebrei sono le potenziali vittime di un ripetersi del male, ma semplicemente che l’esperienza dell’Olocausto è l’archetipo del genocidio. Qualunque popolo potrebbe divenirne la vittima. Ma l’identificazione dei sintomi indica come la lezione della memoria non sia stata finora efficace. Non tutti gli orrori hannogli stessi sintomi perché non tutti gli orrori appartengono alla stessa categoria. L’idea dell’unicità dell’Olocausto ha generato e continuerà a generare in futuro feroci polemiche, alcune delle quali sono propedeutiche a un’agenda politica, non alla ricerca della verità.Va chiarito allora immediatamente un dato importante: l’Olocausto fu un genocidio, e il genocidio non è semplicemente la morte violenta di milioni di persone,ma più precisamente l’atto premeditato di annientamento di un intero popolo, dove la premeditazione è condizione necessaria (ma non sufficiente) perché si tratti di genocidio.La definizione di genocidio basta a indicare come l’Olocausto sia stato unico nel suo genere fino allo sterminio in Rwanda nel 1994.Il gulag staliniano non fu un genocidio; gli eccidi di armeni probabilmente non furono, stando a quanto finora è emerso da archivi e testimonianze, un genocidio;lo sterminio cambogiano non fu un genocidio; né lo furono le pulizie etniche attuate nei Balcani negli anni novanta; novanta; e quanto sta accadendo oggi nel Darfur non è per ora classificabile come genocidio. Non classificare questi cupi episodi della storia come genocidio non significa sminuirne la portata, bensì riconoscerne la loro diversa natura.Il punto è di saper distinguere i sintomi per riconoscere non solo il ripetersi del fenomeno ma anche per sapere quando si trova di fronte a fenomeni diversi. Che l’Olocausto simboleggi il male assoluto può essere dunque oggetto di discussione. Come si assegna il titolo “assoluto”? base al numero di morti? In base all’intensità della sofferenza delle vittime? Ovvio che no.La morte per assideramento del prigioniero politico del gulag staliniano,vittima della ferocia comunista, non è diversa dalla morte per simili ragioni del deportato ebreo Auschwitz.L’esecuzione di massa di ufficiali polacchi a Katyn da parte del Nkvd - la polizia politica staliniana - nel 1940 non è meno mostruosa delle esecuzioni di massa perpetrate dai miliziani serbi a Srebrenica nel 1995 “solo” per la differenza dei numeri: 4000 nel 1940, quasi 8000 nel 1995. Ma si tratta sempre dello stesso fenomeno? Ripeto, il genocidio richiede premeditazione vale a dire la manifesta intenzione di eliminare un popolo dalla faccia della terra, intenzione che si esplicita in atti pianificati, incoraggiati e perseguiti a quel fine. Sulla questione armena c’è un punto interrogativo perché non esistono prove sufficienti a dimostrare l’esistenza di un intento, una premeditazione, una volontà di uccidere tutti gli armeni (anche se esiste sufficiente materiale da non escluderlo e anche se la conseguenza in numeri fu non meno spaventosa). Sul gulag staliniano, nonostante le sue vittime siano maggiori di quelle dei campi di sterminio nazisti, manca l’intento genocida. Lo stesso vale per Cambogia e Balcani. Nessuno può seriamente mettere in dubbio che tali orrori siano avvenuti. Nessuno ne nega la portata o cerca di sminuire la sofferenza di chi li ha subiti. Sottolineare le differenze non significa fare una graduatoria di chi ha sofferto di più (e quindi di chi è più cattivo, i nazi-fascisti, i comunisti, i khmer rossi o i cetnici). Significa dare a ogni esperienza il suo giusto peso e il suo giusto nome, evitando così di trasformare tutto in un’indistinta galleria di episodi di ingiustizia e sofferenza che, per fatto stesso di non saperli più distinguere, paragonare valutare, perdono prima o poi di significato. Se tutto è uguale ad Auschwitz, Auschwitz perde di significato. Che tutto il male umanamente generato diventi equivalente alla Shoah, è dunque meno ovvio. Va quindi condannato il fenomeno, sempre più diffuso in Europa, di paragonare ogni ingiustizia all’Olocausto. Nel linguaggio antiamericano che ha fatto seguito all’11 settembre, Guantanamo diventato Auschwitz. Di recente, il centro per gli immigrati clandestini di Lampedusa è stato paragonato a un lager. Nell’immaginario fondamentalista cristiano e cattolico l’aborto (che non comporta la premeditazione di sterminare un popolo, ma è una scelta individuale) viene regolarmente paragonato allo sterminio degli ebrei. E nella retorica antiisraeliana appare sempre più frequente il paragone tra Israele oggi e la Germania nazista - a cui fa da corollario l’implicito paragone dei palestinesi agli ebrei vittime di ieri. L’uso e l’abuso dell’Olocausto in tutti questi casi servono a demonizzare qualcos’altro - Guantanamo, la politica italiana sull’immigrazione, l’aborto e Israele.Ma l’effetto collaterale è la banalizzazione della Shoah. Coloro che inventano e difendono tali paragoni mostrano solo la loro più totale incapacità di fare il loro mestiere, che è l’abilità di discernere tra fenomeni ed eventi diversi, contribuendo far sì che tutto il male diventi un eguale indistinto privo di significato. Nessuno presumibilmente, nel fare questi paragoni, vuole coscientemente sminuire o negare l’Olocausto, al pari dei revisionisti storici dei loro assidui lettori neonazisti (e islamisti). Ma l’effetto di tali irresponsabili paralleli medesimo. L’annullamento delle differenze tra esperienze storiche diverse oggi popola la cacofonia di voci europee impegnate usare e abusare la memoria della Shoah per le più disparate tenzoni retoriche morali politiche. Questo non fa altro che rafforzare il trend di banalizzazione dell’Olocausto, paradossalmente, proprio nel momento in cui l’Europa ha riconosciuto la natura assolutamente diabolica e incomparabilmente malvagia della Shoah. E i due fenomeni, intersecandosi, si rafforzano l’un l’altro. La Shoah continuerà essere l’archetipo del male. Il suo uso come termine di paragone da abusare per propositi politici e morali espedienti ma che nulla hanno a che fare con la vera natura dell’Olocausto non farà altro che sbiadire, invece che rafforzare, la memoria della sua vera natura. 

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