L'Unità pubblica nell'edizione on-line un dossier dedicato a Gerusalemme.Si tratta di quattro articoli di Maurizio Debanne molto sbilanciati a sfavore di Israele. La storia, per Debanne, inizai nel 1967 e così viene abolito qualsiasi cenno, per fare un esempio, al fatto che prima della sua liberazione, gli ebrei non potevano accedere alla Città Santa . Di seguito, pubblichiamo i quattro articoli:
Una città, tre religioni
Situata su una collina, lontana dal mare e senza fiumi che la attraversano, Gerusalemme non è stata, e non è, contesa per la sua importanza strategica ma per il suo valore e carattere religioso. La storia ha voluto che questa città divenisse santa per le tre religioni monoteistiche mondiali: Terra promessa per gli ebrei, teatro della missione redentrice di Gesù e sosta del viaggio mistico verso Allah di Maometto. Nella religione ebraica, a differenza da quanto avviene nel cristianesimo e nell’islam, la santità di un luogo non si misura in base agli avvenimenti che vi si possono essere verificati o alla persona che vi si può essere sepolta, ma al luogo stesso. Questo spiega come i siti sacri agli ebrei non abbiano reliquie. I cristiani tendono invece a dimostrare l’autenticità del carattere sacro di un luogo in base al criterio del ricordo dell’esatta localizzazione del sito sul quale sono stati compiuti atti di Gesù o altri santi. Per questo i cristiani considerano Luoghi Santi tutti quelli evangelici.
Fu durante il regno di Salomone, figlio di David, che fu eretto il Tempio a Gerusalemme, ponendola di fatto al centro della coscienza nazionale e religiosa del popolo ebraico. Nel Tempio fu custodita l'Arca dell'Alleanza, santuario mobile che Mosè fece costruire su ordine del Signore per contenere le tavole della Legge ricevute sul Monte Sinai. La struttura dell'edificio doveva avere un carattere essenzialmente tripartitico con un recinto esterno che delimitava un grande cortile scoperto dove venivano offerti i sacrifici e un edificio centrale, il santuario, che al suo interno racchiudeva il "Santo dei Santi", la cella contenente l'Arca dell'Alleanza.
Nel 587 a.C. Gerusalemme fu conquistata dalle armate del Re caldeo Nabucodonosor che distrussero il Tempio e deportarono migliaia di ebrei in Babilonia, l’attuale Iraq. L’esilio durerà solo una cinquantina d’anni perché Ciro, il re dei medi e dei persiani, entrò vincitore in Babilonia nel 539 e l’anno successivo emanò un decreto che permise a tutti gli ebrei di poter fare ritorno in patria. Si cominciò a lavorare alla costruzione di un secondo tempio che però non fu imperioso e solenne come il primo. Il periodo romano cominciò nel 63 a.C. per mano di Pompeo. Tre anni più tardi scoppiò una violenta rivolta della popolazione ebraica contro i romani piegata nel 70 d.C. con la distruzione del secondo Tempio per mano di Tito. Nel 132 ci fu un'ultima grande sommossa degli ebrei contro i dominatori romani. L’insurrezione fu domata dall'imperatore Adriano che, per spezzare per sempre qualunque possibilità degli ebrei di riprendersi Gerusalemme, fece demolire l’intera città sconvolgendone il tessuto urbano e comminando la pena di morte verso tutti gli ebrei che vi fossero tornati. Nel 313 a Roma il cristianesimo divenne religione di Stato e la madre di Costantino cominciò a costruire il Santo Sepolcro e a trasformare Gerusalemme in una città bizantina.
Nel 638 subentrò la terza religione, l’islam. Gli arabi conquistarono Gerusalemme e dichiararono sacra alla loro religione l’intera area erigendo i loro santuari sulla Spianata dove era sorto il Tempio ebraico ma concessero, dopo cinquecento anni di esilio, agli ebrei di ristabilirsi nella città. Per i mussulmani Gerusalemme, dopo la Mecca e Medina, è il terzo luogo sacro dell’Islam per una tradizione apparsa alla fine del VII secolo proveniente da una nuova esegesi della XVII sura del Corano. Si identificava in Gerusalemme, e in particolare nella roccia del monte Moriah, il punto in cui avrebbe preso inizio il viaggio mistico di Maometto verso il cielo dove giunse al cospetto di Allah. Fu durante questo viaggio che a Maometto vennero rilevati i precetti e gli venne concessa la grazia della visione di Dio. Fu dunque costruita nel 691 la Cupola della Roccia, detta moschea di Omar, e il secolo successivo la moschea al Aqsa.
La Spianata delle moschee presenta oggi la forma di un trapezio leggermente irregolare: il lato occidentale è lungo 491 metri, l'orientale 462, il settentrionale 312, quello meridionale 281 ed è circondata da mura che la proteggono come uno scrigno. Il lato est e il lato sud coincidono con le mura della città vecchia. Il lato occidentale è, per un tratto almeno, costituito dal muro di contenimento della Spianata del tempio di Gerusalemme, e risale al tempo di Erode il grande. Questo tratto, salvatosi dalla distruzione operata da Tito nel 70, è tutto ciò che attualmente rimane visibile dell'antico Tempio ebraico e viene chiamato dagli ebrei “Muro del Pianto”. Ma per i mussulmani è parte ineliminabile e portante dell’al-haram ash-Sharif ( “nobile recinto sacro”).
Una città divisa, dalla guerra dei sei giorni al muro.
Nel corso della guerra dei sei giorni Israele occupò la parte orientale di Gerusalemme, lasciando l’amministrazione della Spianata delle moschee in mano ai leaders spirituali mussulmani nel tentativo di non scatenare ulteriori tensioni con il mondo islamico. In pochi giorni gli israeliani rimossero le barriere di separazione interposte tra le due parti della città dopo la prima guerra arabo israeliana in modo da creare di fatto un’unica Gerusalemme ebraica. Le ruspe israeliane cominciarono a radere al suolo il quartiere medievale Mughrabi nella Città Vecchia cancellandolo completamente nel giro di quattro mesi con la distruzione di 135 case abitate da circa 650 mussulmani. L’operazione aveva lo scopo di realizzare una grande piazza di fronte al Muro occidentale. Poco dopo la Knesset approvò una serie di leggi che estesero il diritto e l'amministrazione israeliani su Gerusalemme Est ampliando i confini municipali di Gerusalemme da 38 km2 a 108 km2 e portando la popolazione della città ad un totale di 263.000 persone: 197.000 ebrei, 55.000 mussulmani e 11.000 cristiani. L’obbiettivo del provvedimento fu annettere il maggior numero di terra ebraica e contemporaneamente escludere dalla municipalità i luoghi abitati dagli arabi palestinesi.
L’accerchiamento ebraico intorno a Gerusalemme si concluse nel 1997 con la progettazione sotto il governo conservatore di Netanyahu, di un nuovo quartiere-insediamento sulla collina di Har Homa, al sud-est della città. Furono espropriati una sessantina di ettari dai vicini villaggi arabi per la costruzione di 6.500 appartamenti per 30.00 famiglie, tutte rigorosamente ebree. In un recente sondaggio pubblicato da un quotidiano israeliano si rileva come gli israeliani siano spaccati sul destino della città santa: 49% sarebbe disposto a dividerla con i palestinesi nel quadro di un accordo definitivo con i palestinesi; stessa cifra per chi vuole Gerusalemme capitale indivisa di Israele; 2% gli indecisi.
La situazione a Gerusalemme Est è stata affrontata nelle settimane passata dall’Unione europea in un documento preparato dalla presidenza britannica. Nel rapporto si accusa Israele di aver iniziato una corsa per annettersi terre arabe a Gerusalemme Est usando la costruzione di insediamenti illegali e del muro, il tutto per impedire che diventi in futuro la capitale dello stato palestinese.
Per il Foreign Office, anche il muro viene usato per espropriare terre degli arabi. «Questa annessione de facto di terra palestinese - prosegue il documento, citato dal quotidiano The Guardian - sarà irreversibile senza un'evacuazione forzata su larga scala di coloni e lo spostamento del percorso della barriera». Dietro questa strategia, si afferma ancora nel rapporto, ci sono motivazioni demografiche degli israeliani, che vogliono mantenere la popolazione palestinese di Gerusalemme sotto al 30%.
Su iniziativa del ministro degli Esteri Gianfranco Fini, L’Ue ha deciso nelle scorse settimane di non pubblicare ufficialmente il documento preparato dalla presidenza britannica. La decisione è stata presa due settimane fa dai capi delle diplomazie europee riuniti a Bruxelles, i quali hanno valutato la «inopportunità politica» di una pubblicazione in questo momento, a ridosso delle elezioni in Israele e nei territori palestinesi. Non è in discussione «ciò che è scritto» nel documento, il cui «contenuto è oggettivo», ha spiegato il titolare della Farnesina, ma il modo in cui «verrebbe divulgato e letto nelle campagne elettorali in corso». Il rischio è che un documento come quello possa, ha aggiunto Fini, «danneggiare» lo stesso processo di pace che attraversa un frangente delicatissimo. La posizione dell'Ue non cambia e la decisione di non pubblicare il documento «non significa in alcun modo - ha detto Fini - che i ministri europei non siano consapevoli e preoccupati di ciò che accade a Gerusalemme Est».
Una città da dividere: conflitti e ipotesi di accordo
La disputa su Gerusalemme è senza dubbio la più lacerante del conflitto israelo-palestinese e rimarrà insoluta finché le parti in conflitto rimarranno attaccate solo alla propria percezione della realtà e vincolate a posizioni incrollabili. Due sono i terreni di conflitto sulla città santa: la sovranità sui Luoghi Santi situati nel centro storico di Gerusalemme circondato dalle mura e quella sull’area urbana non comprendente la Città Vecchia. Il nodo è il seguente: la divisione integrale è giusta e realmente perseguibile o questa formula contiene al suo interno forti elementi di debolezza. La risposta in fondo in fondo la sanno tutti: la vera sfida non è dividere Gerusalemme, ma farla condividere a ebrei, mussulmani e cristiani. Tuttavia la parte esterna alle mura della città potrebbe essere oggetto di una divisione integrale della sovranità tra i due stati: Gerusalemme Ovest, inclusi un certo numero di insediamenti ebraici esterni alla città, agli israeliani; Gerusalemme Est, allargata ad alcuni villaggi palestinesi (come Abu Dis), la capitale palestinese. L’entità degli insediamenti inglobati dallo stato ebraico potrebbe essere oggetto di una compensazione territoriale a favore dei palestinesi nella Striscia di Gaza, creando in questo modo uno sfogo al problema del suo sovraffollamento.
La divisione integrale della Città Vecchia è per ovvie ragioni logistiche difficilmente perseguibile. Nell’intera area di Gerusalemme vivono circa 635.000 abitanti, di cui 420.000 ebrei, 200.000 mussulmani e 11.0000 cristiani, mentre la Città Vecchia è geograficamente un piccolo territorio caratterizzato da una bassa consistenza demografica: poco più di 40.000 abitanti. Ed è su questo luogo che si annida la controversia più spinosa: la sovranità sui Luoghi Santi. Tra tutte le soluzioni avanzate, la più interessante è quella che prevede una scomposizione del concetto di sovranità nei suoi diversi contenuti: territoriale, personale e funzionale. La sovranità, in tale prospettiva, perde il suo carattere assoluto per divenire un concetto relativo.
Realistica, anche se anche non immune da un certo grado di vaghezza, è la proposta avanzata da Clinton nel 2000 basata su una definizione “verticale” della sovranità: ai palestinesi sarebbe riconosciuta la sovranità su quanto si trovava “sopra” il suolo della Spianata, agli israeliani su quanto si trovava “sotto”, cioè sulle rovine del secondo Tempio . Questa formula, integrata alla clausola presente dell’Accordo di Ginevra che sancisce il divieto di effettuare scavi sull’area in questione senza il previo consenso delle due parti, è forse capace di garantire nella stessa misura i diritti delle comunità religiose presenti a Gerusalemme. Ogni minimo scavo o variazione dello status quo ha risvegliato infatti in passato sospetti reciproci e violenti scontri come quelli che scoppiarono quando i palestinesi si ribellarono per l’apertura da parte del governo Netanyahu nel 1996 di un tunnel a ridosso della Spianata.
A sovrintendere a questo accordo potrebbe essere un Comitato costituito ad hoc a cui prenderebbero parte rappresentanti religiosi di ambo le parti. Il Comitato si allargherebbe alle autorità cristiane in Terra Santa quando siano in questione problemi riguardanti direttamente o indirettamente i Luoghi Santi cristiani. Sul destino di Gerusalemme il Vaticano continua però ad auspicare uno statuto internazionalmente garantito in grado di far godere degli stessi diritti e doveri tutti i cittadini, israeliani e palestinesi, appartenenti a qualsiasi religione. Seconda la Santa Sede, Gerusalemme è troppo preziosa per dipendere unicamente dalle autorità locali, municipali o politiche nazionali, qualunque esse siano. Non si può escludere che la proposta del Vaticano non possa essere in parte accolta, infatti la definizione di tutta una serie di normative speciali intese a tutelare il carattere sacro della città potrebbe essere accettata dalle altre comunità religiose.
Per quanto riguarda i quattro quartieri della Città Vecchia (ebraico, mussulmano, ebraico ed armeno), le formule di risoluzione avanzate fin ad ora sono essenzialmente due: l’attribuzione del quartiere ebraico ed armeno a Israele e di quello cristiano e mussulmano al costituendo Stato palestinese; la seconda punta invece sull’unità amministrativa. Tra le due proposte, in linea di principio, la prima sembra più realistica, per via del suo carattere più netto, ma in pratica è evidente, che in regime di pace e cooperazione, possa funzionare meglio la seconda. Israeliani e palestinesi si troverebbero ad amministrare insieme, in un Consiglio Municipale congiunto, la Città Vecchia, nella speranza che nasca una piena fiducia tra le parti. Come forma di garanzia per le tre comunità religiose potrebbe essere richiesto un parere vincolante del Consiglio di Sicurezza dell’Onu sulle decisioni più delicate. Per quel che concerne la sovranità personale all’interno della Città Vecchia, potrebbe essere adottata una formula etnica in base alla quale i palestinesi, dovunque situati, sarebbero sotto la sovranità dell’Anp, e viceversa gli israeliani sotto la sovranità israeliana. Questa formula si potrebbe inoltre allargare nelle medesime modalità a quei 200.000 palestinesi che abitano nell’area municipale di Gerusalemme, a giovamento di Israele che sarebbe una volta per tutte esonerata dall’accollo dei costi per i loro servizi.
Infine per l’aspetto funzionale della sovranità, si può pensare ad un criterio più elastico per il quale alcune funzioni potranno essere divise (scuola, sanità e servizi sociali) ed altre congiunte (sicurezza e come si è visto per il controllo sui Luoghi Santi) .
Il ruolo di Gerusalemme nel processo di pace
Anticipare o ritardare l’analisi del problema di Gerusalemme può essere vitale per l’esito del processo di pace mediorientale. I palestinesi vogliono che la questione venga trattata per prima. Risolto lo status della città santa sarebbe impensabile, secondo loro, non arrivare ad un accordo anche sui profughi e sui confini. Ma cominciare dal problema più scottante si rileverebbe un fallimento. Questo è ciò che pensano gli israeliani che vogliono lasciare la questione per ultima.
A questi due approcci contrapposti, americani ed europei hanno nel tempo cercato di sviluppare una sintesi: il negoziato su Gerusalemme deve coincidere con la dinamica dei negoziati nel loro complesso. Ovvero, quando si discute di sicurezza si parla anche della sicurezza a Gerusalemme, quando si affronta il tema dei confini non si tralascia questo aspetto proiettato nella città tre volte santa. Questo approccio ha però alcune debolezze. La specificità di Gerusalemme, infatti, rischierebbe di essere svilita. Il problema della pianificazione temporale, che rimanda al quando ma anche al come affrontare il nodo di Gerusalemme, è dunque strettamente legato alle modalità di persuasione che i negoziatori dovrebbero esercitare sulle parti per raggiungere un accordo.
Vediamo alcuni casi concreti. La Road Map, il piano di pace del Quartetto (Usa, Ue, Onu, Russia) messo in piedi nel 2003, e l’Accordo di Ginevra, una proposta di pace informale per il Medio Oriente (2003) siglato da esponenti politici, intellettuali e artisti israeliani e palestinesi che hanno ripreso le fila del processo di pace iniziato nel 1991 a Madrid, arenatosi a Taba nel 2001 e naufragato con la seconda intifada dall’altra. Nel primo caso si è lasciato le questioni più spinose per ultime provocando nei fatti un fallimento, nel secondo troviamo l’approccio opposto.
Il testo della Road Map, così come è stato concepito, non lascia in realtà ampi margini di manovra. Il meccanismo rigido di successione per tappe ha fatto sì che gli ostacoli iniziali abbiano di fatto bloccato l’intero processo. Non aver individuato linee guida precise sull’accordo finale, salvo la creazione di uno Stato palestinese al fianco di quello israeliano nel 2005 (!), ha reso più facile l’avvio ma alla lunga ha inevitabilmente accresciuto le possibilità che le parti uscissero dalla strada indicata dalla Road Map, come in realtà poi è avvenuto.
«I dettagli non sono il posto dove si nasconde il diavolo ma gli elementi che rendono realistico un piano di pace». Con queste le parole di Yossi Beilin, uno dei principali autori insieme Yasser Abed Rabbo dell’Iniziativa, ha voluto presentare Ginevra che al contrario della Road Map dà una soluzione concreta a tutte le questioni più controverse, a partire dallo status di Gerusalemme. L’Accordo di Ginevra segue infatti la logica opposta alla Road Map che, come la maggior parte dei precedenti piani di pace elaborati dalla Comunità internazionale, rinvia le decisioni più delicate in un secondo momento. L’obbiettivo dei promotori dell’Iniziativa di Ginevra non è stato comunque sostituire il loro piano con quello del “Quartetto” ma solamente rilanciare il processo di pace in Medio Oriente e dimostrare che in entrambi gli schieramenti esiste un partner con cui negoziare.
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