IL RIFORMISTA di venerdì 9 settembre 2005 pubblica apagina 7 l'articolo di Anna momigliano "L'Hiv avvelenato che riapre il giallo Arafat".
L'articolo si conclude riportando, senza norte critiche, quella che viene definita la "teoria più originale" che viene da Ashraf al-Kurdi, medico personale di Arafat, così spiegata:" sostiene di avere prove che ci fossero tracce di Hiv nel sangue del presidente. Al-Kurdi è anche uno dei sostenitori della tesi dell’avvelenamento. Il medico palestinese, intervistato telefonicamente dai due giornalisti israeliani, sostiene di non avere cambiato idea. Il virus, infatti, sarebbe stato «iniettato» nelle vene di Arafat «per camuffare l’avvelenamento»".
Vale a dire, al Kurdi sostiene pressappoco: "ho le prove che Arafat fosse affetto da aids, per contro, non esiste alcuna prova di un suo avvelenamento.
In ogni caso, Arafat è stato avvelenato. Per cui il virus è sato inoculato per "nascondere" il veleno".
Dichiarazioni senza alcun fondamento, nè fattuale né logico, come si vede. Dichiarazioni cui non sembra molto corretto concedere credito.
Non si tratta di una tesi "originale", ma di una presa di posizione aprioristica, difesa con argomenti cervellotici e risibili.
Ecco il testo:A dieci mesi dalla morte di Yasser Arafat il dibattito sulle cause del decesso è stato riaperto da quando due giornalisti israeliani sono giunti in possesso sul dossier riservato stilato dai medici dell’ospedale Percy di Parigi. Secondo il New York Times, «il primo studio indipendente sul dossier suggerisce che quella di avvelenamento è un’ipotesi altamente improbabile, elimina la teoria secondo cui l’Aids possa essere la causa della morte. Ciononostante i dottori non sono riusciti a trovare la causa dell’infezione, non meglio identificata»
che avrebbe ucciso il raìs. Secondo l’indagine dei giornalisti israeliani «gli esperti che hanno analizzato il dossier sostengono che è probabile che Arafat sia stato avvelenato durante la cena del dodici ottobre».Per tutto il 2004 soffre di ulcere e calcoli delle vie biliari, di attacchi di paranoia e improvvise perdite di memoria (pare abbia chiesto a un consigliere di ricordargli il nome della sua stessa figlia). La sera del 12 ottobre la situazione peggiora improvvisamente: dopo cena il raìs avverte disturbi digestivi, nausea, vomito e dissenteria. Entro qualche ora non riesce a stare in piedi. La diagnosi ufficiale è «influenza ». Il 18 ottobre giunge alla Muqata
una delegazione di medici tunisini, che diagnostica una trombocitogenia abbassamento del livello di piastrine) e una probabile emorragia. Una settimana
dopo il raìs avverte un «drastico peggioramento» e solo allora arriva la moglie Suha,che si trovava in villeggiatura a Tunisi: sarà lei a decidere il trasferimento a Parigi. Il tre novembre Arafat entra in coma. Morirà due giorni dopo. Il dossier di Percy era custodito gelosamente dall’Autorità palestinese;
all’inizio l’unica copia era stata consegnata a Suha. Sotto pressione di Mrs Arafat la Francia si era rifiutata di consegnare il documento alle autorità
palestinesi.Ma fu il nipote del raìs, Nasser al-Kidwa, a consegnarne una copia al premier Abu Ala e al ministro della Sanità. Sarebbe stato un esponente dell’Autorità a fornire il dossier ai due giornalisti israeliani,Amos Harel di Haaretz e Avi Isacharoff di Kol Israel: a fine mese sarà pubblicata in
Israele una nuova edizione del loro libro dedicato alla seconda Intifada
(La Settima Guerra, edito da Yediot Ahronot). I contenuti del capitolo dedicato agli ultimi giorni del raìs sono già di pubblico dominio. «Dopo una lunga discussione tra molti medici di specializzazione diversa, e in base a tutti i risultati dei testi che abbiamo fatto, non è possibile determinare una causa che spieghi la combinazione dei sintomi che hanno causato la morte del paziente
», firma il professor B. Pats nel dossier di Percy. Molti interrogativi, sostengono i due giornalisti israeliani, rimangono dunque aperti. A cominciare,
dalle prime analisi del sangue, effettuate da un team di medici tunisini e egiziani a Ramallah: dei campioni si è persa ogni traccia. Poi, l’assenza nel
dossier di Percy di un test per il virus Hiv: alcuni dei sintomi accusati dal raìs, come il rapido abbassamento delle piastrine, sono comuni nei malati di Aids.Secondo diverse fonti mediche israeliane, è «quantomeno bizzarro» che, tra tutti gli esami effettuati, non abbiano fatto un test Hiv.La stragrande maggioranza degli esami sono stati condotti sotto falso nome: l’alter ego parigino del presidente palestinese era «Etienne Louvet, classe 1932».
Quanto all’ipotesi dell’avvelenamento, la ricerca di Harel e Isacharoff intende, se non accreditare la teoria, quanto meno spogliarla dell’aura di conspiracy theory con cui è stata accolta dal mondo occidentale. Il dossier di
Percy elimina la possibilità di avvelenamento, senza contare che tutti i test tossicologici effettuati dai medici francesi sono risultati negativi. Al dossier è allegato un file con l’elenco dei test: i medici hanno cercato le tossine più comuni (anfetamina,metadone,paracetamolo, cocaina, cannabis,
ecc.), ma non avrebbero avuto modo di rintracciare una tossina che non era loro familiare. Inoltre, le analisi parigine sono state effettuate a due settimane di distanza dall’ultima cena di Arafat (12 ottobre), ragion per cui alcuni
esperti pensano che «è probabile che,se del veleno era presente nel cibo, sia stato velocemente assorbito dal corpo,abbia fatto in tempo a creare danni serri, per poi scomparire». È da considerare anche l’ipotesi di un avvelenamento
alimentare causato da un batterio naturalmente presente nel cibo. Le analisi effettuate a Ramallah escludono l’ipotesi,ma sarebbero state effettuate in condizioni tutt’altro che ottimali (in parte all’interno della Muqata,
poi spedendo i campioni di sangue in Tunisia). La teoria più originale, infine, viene da Ashraf al- Kurdi, medico personale di Arafat, che sostiene di avere prove che ci fossero tracce di Hiv nel sangue del presidente. Al-Kurdi
è anche uno dei sostenitori della tesi dell’avvelenamento. Il medico palestinese, intervistato telefonicamente dai due giornalisti israeliani, sostiene di non avere cambiato idea. Il virus, infatti, sarebbe stato «iniettato» nelle vene di Arafat «per camuffare l’avvelenamento».
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