LA STAMPA di giovedì 8 settembre 2005 pubblica a pagina 9 un articolo di Aldo Baquis sull'omicidio a Gaza di Moussa Arafat, ex capo della sicurezza palestinese e cugino di Yasser.
Ecco l'articolo, "Moussa Arafat assassinato a Gaza" :Uno degli uomini più potenti e temuti di Gaza, il generale Mussa Arafat (un cugino di Yasser Arafat e consigliere di Abu Mazen), è stato brutalmente ucciso ieri sulla porta della sua abitazione nel corso di un attacco in grande stile, senza precedenti nel suo genere, sferrato da decine di miliziani dell’Intifada. L'attentato - rivendicato dai Comitati di resistenza popolare (un gruppo di dimensioni ridotte ritenuto difficilmente in grado di organizzare un’operazione di tale portata) - è avvenuto mentre Israele ha completato il ritiro da Gaza e si accinge a consegnare lunedì le zone ancora occupate nella Striscia al presidente Abu Mazen.
Ma quel ritiro - dicono adesso responsabili di governo israeliani - appare ogni giorno di più come un salto nel buio. Anche perché in drammatici eventi degli ultimi giorni a Gaza le forze di sicurezza dell'Anp non si sono mosse affatte, o sono sopraggiunte con largo ritardo. «A Gaza - ha riconosciuto il generale Yaakov Amidror, un ex comandante dell'intelligence militare di Israele - lasciamo uno stato di "fawda", ossia di anarchia. Il cosiddetto "potere centrale" non ha presa sul terreno».
Da quasi mezzo secolo Mussa Arafat (65 anni) era impegnato nella lotta armata contro Israele. Era stato uno dei fondatori di al-Fatah, si era trovato coinvolto in Giordania nel Settembre Nero (1970), poi era passato in Libano, aveva trascorso anni di esilio a Tunisi con Yasser Arafat ed era rientrato a Gaza nel 1994, grazie agli accordi di Oslo. Ma ieri, quando il comandante militare dei Comitati di resistenza popolare Abu Saed ha voluto giustificare la sua uccisione, ha sintetizzato la biografia di Mussa Arafat in due sole parole: «Corrotto, e collaborazionista di Israele».
Negli ultimi dieci anni il generale aveva infatti collezionato ogni sorta di nemici: dagli islamici di Hamas (alcuni dirigenti, caduti nelle sue retate, si era visti tagliare la barba in segno di spregio), ai dirigenti di servizi di sicurezza rivali, ad uomini di affari che - anche secondo l'intelligence di Israele - Arafat aveva ricattato e taglieggiato. «Non mi sorprende che sia stato ucciso - ha detto il ministro Sufian Abu Zaida - bensì che l'assassinio sia avvenuto quando ormai non rivestiva alcuna carica reale».
Erano le quattro di notte quando nel rione Tel al-Hawa sono entrate una ventina di jeep da cui sono scesi fra 80 e 100 miliziani che hanno provveduto ad isolare totalmente l’elegante palazzina di tre piani, rivestita in pietra, del generale palestinese. Mussa Arafat era in gabbia. Al segnale predisposto, si è scatenato il fuoco. Contro l'edificio - dove il generale si trovava assieme col figlio, Manhal, e con una decina di guardie del corpo - sono stati sparati razzi Rpg, bombe a mano, raffiche di armi automatiche.
Secondo fonti giornalistiche palestinesi, in quel momento Abu Mazen si trovava nella propria residenza, a 400 metri di distanza. Una caserma dei servizi di sicurezza palestinesi distava circa tre minuti di automobile dalla scena della battaglia. Ma evidentemente Mussa Arafat ieri doveva morire: perché lo scontro a fuoco si è protratto per 45 minuti senza che gli agenti dell'Anp cercassero di intervenire.
La resistenza degli uomini di Mussa Arafat è stata infine piegata. Il generale è stato trascinato in strada. Là, davanti a un pugno di miliziani, è stato infine crivellato di colpi. Il suo corpo è stato poi trascinato sull'asfalto, dove ha lasciato una larga chiazza di sangue. Una fine volutamente «esemplare», ha spiegato in seguito un portavoce dei Comitati di resistenza popolare: «I corrotti devono sapere che per loro non ci può essere scampo. Prima o poi, tutti rischiano di fare la medesima fine».
Al termine dell’operazione, gli assalitori si sono ritirati in buon ordine portandosi dietro, prigioniero, Manhal Arafat, un ufficiale dell'intelligence che ha ricevuto un’istruzione accademica in Italia. In serata fonti dell'intelligence di Israele e la radio hanno detto che era stato ucciso dai rapitori.
Già di prima mattina Abu Mazen ha voluto convocare una riunione di emergenza del suo Consiglio di sicurezza. Al termine ha condannato l’esecuzione di Mussa Arafat e ha assicurato che i responsabili saranno individuati e puniti. Ma le sue parole sono state accolte con totale scetticismo da un ufficiale dell'intelligence, il colonnello Maher Fares, secondo cui era inconcepibile che un gruppo dalle risorse molti limitate come i Comitati di resistenza popolare avesse potuto progettare un attacco di tali dimensioni e addirittura scandaloso che le forze dell'Anp, in un tale frangente, fosse rimaste inerti nelle loro caserme. Fares non ha esitato ad invocare dunque le dimissioni del ministro degli Interni, generale Nasser Yussef: se non per collusione con gli attentatori, almeno per incapacità.
Ieri Hamas ha ricordato che Mussa Arafat era un «seviziatore di islamici», ma ha anche pubblicamente condannato la sua uccisione. Hamas non fa mistero di voler seguire la strada indicata in Libano dai guerriglieri Hezbollah: accetta adesso il gioco democratico e a gennaio parteciperà alle elezioni politiche (nella speranza di riportare un vistoso successo) ma al tempo stesso rifiuta di sciogliere il proprio braccio armato Ezzedin al-Qassam e di piegarsi al volere della Autorità nazionale palestinese. In futuro - avverte Israele - il suo esercito parallelo potrebbe servire anche per spazzare via gli uomini di Abu Mazen.
IL FOGLIO pubblica a pagina 3 un editoriale sull'omicidio di Moussa Arafat, "Palestina a rischio guerra civile".
Ecco il testo:L’esercito israeliano intende completare il suo ritiro dalla striscia di Gaza entro lunedì, con ampio anticipo sui tempi preventivati, e questo spinge le diverse fazioni palestinesi a una lotta per il potere che ha già assunto il carattere di una guerra civile. Un raggruppamento armato, dopo aver raggiunto a bordo di una ventina di veicoli la residenza di Moussa Arafat e dopo uno scontro a fuoco, ha trascinato in strada e ucciso l’ex responsabile dei servizi di sicurezza dell’Autorità palestinese, poi ha sequestrato il figlio, che secondo fonti israeliane, sarebbe stato infine ammazzato in un’altra località.
Le modalità "militari" dell’attacco, oltre alla sua ferocia, mostrano che non si tratta di un crimine episodico, ma di un aspetto dello scontro che oppone le varie milizie che, con la tolleranza e forse il sostegno finanziario di Yasser Arafat, erano sorte nei territori palestinesi, e l’attuale Autorità, che vorrebbe recuperare il monopolio della forza, condizione basilare per poter essere considerata un interlocutore politico. Non solo Israele pone la condizione dello smantellamento delle milizie come vincolo per la collaborazione con Abu Mazen. Persino il ministro degli Esteri spagnolo, Miguel Angel Moratinos, in visita a Gaza, aveva avanzato la stessa richiesta. La Spagna, che finanzia l’Anp per 28 milioni l’anno, è un interlocutore importante, ma il problema di Abu Mazen non è tanto di volontà quanto di possibilità. Il cugino di Arafat, che era stato in passato al centro dei complessi traffici tra Anp e milizie, era diventato scomodo per tutti. Abu Mazen l’aveva degradato da capo della sicurezza a consigliere, le milizie lo accusavano di aver lucrato sui fondi che l’Anp segretamente passava loro. Rappresentava comunque una specie di "fusibile" tra milizie e governo, e il fatto che sia stato fatto saltare fa intendere che ormai la questione del potere si risolve sul piano della forza. Il rischio di guerra civile palestinese diventa quindi assai consistente, se l’Anp non sarà in grado di mostrarsi convincente con i mezzi adeguati e necessari.
Davide Frattini nell'articolo "Armi e contrabbando. Gli affari dei Comitati" spiega che cosa siano in realtà i "Comitati di resistenza popolare" che hanno ucciso Moussa Arafat.
Ecco il testo:A Gaza gira una battuta: se vedi del fumo all'orizzonte, è un omicidio mirato israeliano o Jamal Abu Samhadana che sta arrivando. Fumatore seriale, il capo dei Comitati di resistenza popolare incenerisce molte delle sigarette che il suo gruppo contrabbanda attraverso i tunnel di Rafah. Ex poliziotto, 43 anni, controlla i 500 mila abitanti di questa città al confine con l'Egitto e tutto quello che passa sotto la sabbia del deserto: armi, vestiti, alcol, pezzi di auto, prostitute. Che da qui spariscono verso Libano, Siria, Giordania, Cipro e i porti egiziani.
Per gli israeliani è il secondo terrorista più ricercato della Striscia, dopo il comandante dell'ala militare di Hamas Mohammed Deif. Nel 2004, i Comitati avevano rivendicato l'imboscata contro la macchina di una colona, che era stata uccisa con le quattro figlie. Gli americani ritengono la fazione responsabile dell'attentato contro un loro convoglio diplomatico nell'ottobre 2003 (3 morti).
A inizio agosto, l'Autorità palestinese aveva cercato di convincere Samhadana a deporre le armi proponendogli la poltrona di capo dell'Intelligence militare. «Jamal ci ha pensato, poi ha rifiutato l'offerta perché la gente non pensasse che le lotte del passato fossero servite a trovargli un lavoro», aveva spiegato un suo portavoce.
I Comitati di resistenza popolare sono nati alla fine del 2000.
Raccolgono fuoriusciti e dissidenti di tutti i movimenti, dal Fatah del presidente Mahmoud Abbas alla Jihad islamica e Hamas. Fin dal 2002 avrebbero progettato un piano eversivo per mantenere Gaza nel caos. Un documento della sicurezza palestinese trasmesso ad Arafat — che era stato rivelato da Guido Olimpio sul Corriere — indicava gli obiettivi degli attentatori. Mussa Arafat (allora responsabile proprio dell'Intelligence militare) era già nel mirino, assieme al capo della polizia Ghazi Jabali e al numero due dei servizi segreti Tareq Abu Rajab. Secondo il rapporto, gli ordini per il progetto destabilizzante erano stati impartiti dall'Hezbollah libanese.
Il clan di Samhadana — ha ricostruito il sito israeliano Debka — gestirebbe anche il traffico di droga dalla Siria e il Libano, verso Israele, Giordania, Egitto. «Come ogni gang di stile mafioso — scrive Debka — il gruppo è stato lacerato da lotte interne: degli otto fratelli Samhadana, solo tre sono sopravvissuti. E Jamal è il più potente». L'intelligence israeliana ha svelato che i contrabbandieri usano i tunnel di Rafah per i loro convogli o li affittano al miglior offerente: ormai si pagherebbero oltre 10 mila euro a passaggio.
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