Fanatico, minaccioso, propagandista della jihad, antisemita
Bouriqi Bouchta, il predicatore islamista espulso dall'Italia, nei ritratti di due quotidiani
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Data: 07/09/2005
Pagina: 1
Autore: Magdi Allam - Alberto Custodero
Titolo: Fanatico e minaccioso, così spingeva alla guerra santa
Il CORRIERE DELLA SERA di mercoledì 7 settembre 2005 pubblica in prima pagina e a pagina 30 un editoriale di Magdi Allam sull'epulsione dall'Italia del predicatore islamista Bouriqi Bouchta.

Ecco il testo:

Bene ha fatto il ministro dell'Interno Pisanu ad allontanare uno dei più focosi e attivi apologeti della Guerra santa islamica e del terrorismo suicida in Palestina, Afghanistan, Iraq, Cecenia e Kashmir, nonché uno dei più spietati e cinici dispensatori di condanne di apostasia nei confronti dei musulmani che non condividono la sua interpretazione estremistica e terroristica dell'islam.
Attuando per la prima volta la nuova normativa in materia di anti-terrorismo, che ha raccolto il consenso dell'intero Parlamento, il ministro dell'Interno Pisanu ha salvaguardato l'interesse dell'insieme della collettività, italiana e musulmana.
«Il bello in Italia è che la magistratura non è scema, non condanna la persona per dei sospetti o per apologia di reato», mi disse Bouriqui Bouchta il 27 giugno 2002 nel corso di una lunga intervista concessami in una delle tre macellerie di cui è diventato rapidamente e misteriosamente proprietario, contemporaneamente alla gestione di tre moschee a Torino. Per nostra fortuna, facendo tesoro della catastrofica esperienza britannica che ha partorito gli attentati dello scorso 7 luglio, il Parlamento ha finalmente introdotto il reato di «istigazione o apologia di terrorismo o crimini contro l'umanità» (articolo 414, 1-bis). I molti predicatori dell'odio che hanno trasformato le moschee d'Italia in centri di indottrinamento ideologico al jihad e al «martirio» islamico ora sanno che lo Stato non li tollererà più.
Bouchta era riuscito a trasformare Piazza della Repubblica, nel cuore del quartiere-casbah di Porta Palazzo, in un proprio feudo personale. Riverito e temuto per un potere religioso accreditato da mass-media e politici ingenui e ideologici che l'avevano elevato al rango di «imam di Torino», quasi fosse una sorta di «vescovo islamico», in una religione dove il rapporto tra il fedele e Dio è diretto, dove non esiste un clero né tantomeno un papa.
«Anch'io credo nel jihad come sesto pilastro della fede: nel Corano ci sono circa 300 versetti che parlano del jihad e del combattimento, si tratta dunque di un dovere religioso», sostenne Bouchta, «l'Europa vorrebbe imporci un islam senza jihad, ma questo è un islam ambiguo, è un islam americanizzato». Che non si trattasse di mera libertà di espressione, ma del primo tassello di una struttura organica del terrorismo islamico, fu evidenziato dall'accertamento di un'attività di reclutamento di combattenti islamici all'interno delle moschee gestite da Bouchta. Tra loro figura il marocchino Mohamed Aouzar, arruolato in seno alla moschea Al Tawhid di Porta Palazzo dopo l'11 settembre 2001, andato a combattere in Afghanistan e poi catturato e trasferito a Guantanamo. Così fu sottolineato dall'attività intimidatoria da «boss islamico» nei confronti di tanti musulmani di Torino. Tra loro spicca Ahmed Cherkaoui, imam della Moschea della Pace, anch'essa a Porta Palazzo, colpevole di aver osato cacciare Bouchta dalla sua moschea proprio perché predicava la guerra santa. Ebbene figuratevi che nel novembre del 1998 Bouchta tappezzò i muri di Porta Palazzo con un manifesto in arabo contenente una fatwa, un responso giuridico islamico, di condanna di apostasia di Cherkaoui, ciò che comporta la sua condanna a morte. Bouchta, dopo aver definito Cherkaoui «spia e informatore», nonché «nemico dei prediletti di Dio», lo apostrofò: «Chi invita all'islam globale, che include la purezza e il jihad, e non nasconde la verità qualunque sia il prezzo, si chiama terrorista?».
La risposta per Bouchta è ovviamente «no». Così come, dopo l'11 settembre, affermò che «Osama bin Laden è innocente secondo la legge islamica, ma anche secondo quella internazionale, perché fino ad ora non sono state trovate le prove della sua colpevolezza». In più «sono in molti a pensare che l'America sia stata colpita da una maledizione divina, perché in qualche modo se lo meritava».
Fino a ieri Bouchta ha detto e fatto tutto ciò pubblicamente e impunemente. Dobbiamo ringraziare Pisanu anche per l'onda lunga che il suo provvedimento provocherà, costringendo i musulmani, ma anche gli italiani ideologicamente collusi, a schierarsi in modo inequivocabile da una parte o dall'altra: o con lo Stato e la legge o con l'eversione e il terrorismo.
Completa il ritratto del personaggio l'articolo di Alberto Custodero "Dal corteo per il velo agli appelli antisemiti", pubblicato da LA REPUBBLICA a pagina 10.

Ecco il testo:

TORINO - Ascetico d´aspetto, candido d´abito, Bouriqi Bouchta, 41 anni, nato in Marocco, macellaio a Torino dal 1986, dopo essersi proclamato imam, ha parlato, per anni, due lingue. In italiano predicava l´integrazione nella società occidentale degli immigrati musulmani, la lotta agli spacciatori, la pace fra religioni diverse. In arabo, invece, inneggiava alla «morte degli ebrei» e alla Jihad, la guerra santa. In tutta Italia si era fatto conoscere come imam grazie all´ormai storico «corteo per il velo» del 30 ottobre ‘99, una manifestazione ufficialmente a favore del diritto delle donne musulmane di farsi ritrarre in hijad nelle foto tessera. In realtà, una protesta per ottenere il permesso di soggiorno.
A nulla è valso il disperato tentativo di Bouchta, recentissimo, di rifarsi un´immagine dopo essere stato considerato per anni (come ha scritto Angela Lano in «Islam d´Italia»), «l´emblema di quell´Islam pauroso, sanguinario contro cui combattere l´imminente ‘guerra al terrore´». Dopo l´espulsione da Torino, nel 2003, dell´imam di Carmagnola Fall Mamour (suo amico), e della cellula di presunti terroristi in sonno di Nourredine Lamour (suoi conoscenti), aveva capito che il prossimo nome, nell´elenco del ministero degli Interni, era il suo. E così, per scongiurare il rischio di tornarsene in Marocco, aveva rinunciato alla carica di imam. Da «integrista» si era convertito a posizioni pragmatiche e moderate, e aveva fondato, nel giugno di quest´anno, una nuova associazione, l´«Unione delle comunità marocchine». Nella primavera del 2004 aveva chiesto la liberazione dei tre body-guard italiani prigionieri in Iraq. Ma questa sua metamorfosi non ha cancellato il suo passato. Non ha fatto dimenticare al ministro Pisanu che a casa sua ospitò Mohamed Ebid, imam accusato dagli egiziani di aver preso parte agli attentati di Luxor e del Cairo. E che nelle sue moschee di Porta Palazzo - il cuore della città da sempre simbolo dell´immigrazione - furono arruolati da Al Qaeda e dai talebani i due mujahidin di origine marocchina, ma residenti a Torino, arrestati in Afghanistan e, poi, detenuti per lungo tempo a Guantanamo. Doppio, ambiguo, protagonista della scissione della comunità islamica torinese, Bouchta proclamò l´innocenza di Osama Bin Laden accusato dagli americani di essere l´autore dell´attentato alle Torri Gemelle. Durante un corteo del 6 aprile del 2002 in solidarietà del popolo palestinese pronunciò, in arabo, le parole mawt li-jahud, «morte agli ebrei». Sfilava per la pace, ma predicava l´odio. Non aveva esitato a mettersi contro la parte più moderata - e più numerosa - della stessa comunità marocchina. Fra i suoi nemici, c´erano anche alcuni suoi «fratelli». Contro un suo ex collega imam, Ahmed Cerkaoui, aveva addirittura scagliato un takfir (una denuncia pubblica), accusandolo di non essere stato fedele alla scienza sciaraitica, la legge religiosa islamica. Nella fase della sua vita più segnata dal radicalismo, più volte aveva predicato: «Qual è il ruolo delle moschee nella vita della nazione musulmana? Possiamo propagandare l´Islam senza Jihad?».
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