Il CORRIERE DELLA SERA di martedì 6 settembre 2005 pubblica in prima pagina un articolo di Magdi Allam sulle elezioni in Egitto.
Ecco il testo:Per la prima volta nella loro plurimillenaria storia gli egiziani sceglieranno il loro «faraone». Dai governatori-dei dell'antichità, ai re e imperatori stranieri, poi ai sultani islamici, quindi ai monarchi e presidenti-generali autoctoni, gli egiziani sono stati abituati a rassegnarsi e plaudire a un autocrate e un destino imposti dall'alto.
Ebbene il fatto che domani potranno scegliere il prossimo capo dello Stato tra ben dieci candidati, costituisce una novità di rilievo sul piano formale.
Per contro il fatto che si abbia la certezza del nome del vincitore, l'attuale presidente Mubarak al potere da 24 anni, sottolinea che almeno per ora non si tratterà di un mutamento sostanziale. L'auspicio, coltivato dai contendenti più accreditati, è che l'innovazione insita nella supremazia della volontà popolare dia luogo ad una svolta concreta alle prossime elezioni legislative, previste a fine novembre, facendo emergere un parlamento con una più consistente rappresentanza delle opposizioni rispetto all' attuale dove il partito al governo detiene il 95% dei seggi.
C'è aria di Iraq nel nuovo clima che si respira in Egitto. Di fatto Mubarak ha copiato la logica e lo spirito che hanno animato la massiccia campagna pubblicitaria, perlopiù televisiva, ideata dalla Commissione elettorale indipendente per persuadere gli iracheni a recarsi al voto alle legislative dello scorso 30 gennaio.
Sfidando il terrorismo, costi quel che costi, per il bene supremo della Patria. Anche domani la principale incognita e la grande sfida riguarderà il tasso dei partecipanti al voto. Se sarà basso, sarà una sconfitta politica per Mubarak anche se verrà riconfermato per un quinto mandato di sei anni. Uno spot mostra un gruppo di giovani, alcuni con un look occidentale osé altri in abbigliamento islamicamente corretto, che srotolano una lunga bandiera nazionale fino a ricoprire un ponte sul Nilo. Il messaggio è che i giovani, al di là delle loro preferenze politiche, hanno a cuore il destino della nazione e che questo destino si salvaguarda votando. Se si tiene presente che il 60% degli egiziani ha meno di 35 anni, si comprende la centralità dei giovani nel futuro politico del Paese. La similitudine con l'Iraq si ferma qui. Il voto di domani non sortirà una rivoluzione democratica in Egitto, non metterà il popolo nella condizione di poter liberamente determinare il proprio futuro. Ma sarà un passo in quella direzione. Ispirato dall'onda lunga dell'abbattimento del «Muro della tirannia» in Iraq e sollecitato, anche a viva voce, dall'odiatissima America di Bush.
Bastava vedere il film «Al assifa», La tempesta, trasmesso dall'emittente statale Nile Tv nella seconda serata del primo settembre scorso, per toccare con mano il forte odio anti-americano e anti-israeliano. Nel finale una massa di manifestanti irrompe all'interno del Palazzo presidenziale e, scandendo slogan contro il «terrorismo americano che bombarda l'Iraq», dà alle fiamme una bandiera unificata americana e israeliana. Lo stesso Mubarak ha attaccato il suo concorrente più temuto, il liberale Ayman Nour, accusandolo di essere la lunga mano degli interessi dell' Occidente. All'insegna di questo acceso spirito nazionalista, Mubarak si è strenuamente opposto al monitoraggio di osservatori stranieri sulle elezioni, anche se poi ha ceduto alla presenza di magistrati e di militanti delle organizzazioni della società civile e per i diritti dell'uomo. Allo stesso tempo, quasi a voler tranquillizzare l'Occidente, Mubarak ha autorizzato l'avvio ieri di imponenti esercitazioni militari, ribattezzate «Bright Star», alle quali partecipano circa 30.000 militari di 12 Paesi, fra cui Stati Uniti e Italia.
Ancora una volta il rais d'Egitto si barcamena tra opposte sponde pur di tenere saldo il proprio potere. Dà un colpo agli islamici e uno ai liberali ammonendo dal rischio del caos qualora gli si mettesse fretta in un processo di democratizzazione che lui vorrebbe pilotare e ammansire. Ma ormai all'interno e all'esterno del Paese cresce l'opposizione a una strategia che ha finora individuato in Mubarak il «male minore». La parola d'ordine «Kefaya!», Basta!, riecheggia sempre più forte.
I giovani sono centrali nel rinnovamento del Paese La volontà popolare darà frutti alle prossime
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