L'ESPRESSO datato 30 giugno 2005 pubblica un articolo di Tahar Ben Jelloun intitolato "Se anche Abbas ricorre al boia".
La pena di morte è condannabile, sembra di capire da questo testo, sopratutto perché è praticata negli Stati Uniti.
A parte questo, ciò che colpisce è l'apparente candore assoluto di Ben Jelloun che, di fronte alla decisione di Abu Mazen di attuare la pena di morte, vede cadere la sua speranza in un esemplare rispetto dei diritti umani da parte dell'Anp.
E le esecuzioni di "collaborazionisti", il terrorismo, l'anarchia armata? Dov'era Ben Jelloun durante l'era Arafat?
La sua ingenuità è davvero un po' sospetta. E i sospetti venngono confermati da alcuni passi del suo articolo: una descrizione delle difficoltà del processo di pace che attribuisce tutte le reponsabilità a Israele, senza nemmeno nominare il terrorismo, l'uso del termine dispregiativo "spione" per indicare il palestinese ucciso per l'accusa di "collaborazionismo" e la definizione di Israele come "stato nemico" dei palestinesi.
L'approccio di Ben Jelloun al conflitto israelo-palestinese è chiaro, e altrettanto chiaro che i suoi silenzi sulla barbarie terrorista e la sua presa di posizione su quella della pena di morte non sono casuali o frutto di ingenuità.
Ci devono essere, per lo scrittore francese, alcune barbarie politicamente giustificabili.
Ecco il testo:Giustiziando, all’inizio di giugno, quattro cittadini dichiarati colpevoli di omicidio. L’autorità Palestinese ha mancato un’occasione per distinguersi dal resto del mondo arabo che mantiene fra le sue leggi la pena di morte.
Lo scorso aprile, l’Autorità aveva rinviato l’esecuzione di altri 15 cittadini riconosciuti colpevoli di spionaggio a favore di Israele; in seguito alle pressioni esercitate dall’Unione europea, principale erogatrice di fondi a favore di Israele.
Questa volta, Mahmoud Abbas ha voluto inviare invece un messaggio di fermezza al suo popolo.Tre dei condannati hanno subito l’impiccagione, il quarto, lo spione, è stato fucilato.
I progressisti arabi hanno sempre pensato che la Palestina dovesse dare l’esempio e soprattutto essere diversa dagli altri paesi della regione guidati per la maggior aprte da uomini politici che diffidano della democrazia e governano con metodi feudali. Nella stampa araba non si discute mai della pena capitale, considerata un tema secondario. Ma la sua abolizione è un segno di grande civiltà, poiché è stato ampiamente dimostrato che l’esecuzione di un condannato non ha mai scoraggiato la delinquenza.
Lo vediamo negli Stati Uniti d’America che la applicano, dove la criminalità non è diminuita e quando le autorità uccidono legalmente, non riescono a comprimere le tendenze all’omicidio e allo stupro. L’esemplarità di questa punizione non è mai stata dimostrata.
Quando la Francia ha abolito la pena di morte grazie a Badinter questa fu una decisione storica. La presidenza di Mitterand mise fine a una pratica barbara condannando alla disoccupazione i carnefici. Oggi non viene più giustiziato alcun condannato in Europa. La pena di morte è stata sostituita con l’ergastolo. I palestinesi avrebbero potuto prendere esempio dall’Europa e mostrare al mondo che non sono promotori di questa pratica, prendendo così le distanze dall’Arabia Saudita che continua a tagliar teste sulla pubblica piazza dopo la preghiera del venerdì.
Disgraziatamente, Mahmoud Abbas ha ceduto a coloro che pensano che giustiziando pubblicamente cittadini che hanno commesso dei crimini o fornito informazioni a Israele consentendo a questo pese nemico di compiere "omicidi mirati" in territorio palestinese, l’autorità si rafforzerà ei cattivi cittadini rinunceranno ai loro misfatti.
Com’è noto, la Palestina vive momenti difficili, la costruzione del muro che la divide da Israele continua e i negoziati di pace si trascinano con fatica. La speranza è sempre viva, ma la realtà quotidiana rimane dura. I campi profughi sono pieni di gente che versa in condizioni intollerabili. La minaccia di distruzione delle case è sempre incombente. La pace non è ancora nelle cose, forse è nei cuori, ma i due popoli attendono e sono stanchi di pazientare.
L’autorità si comporta così come in tempo di guerra. E questo spiega il suo ricorso alla pena di morte. Ma è un errore.
Il Marocco non l’ha abolita, ma non giustizia i condannati. L’unico criminale che è stato fucilato una decina di anni fa era un ispettore di polizia che aveva stuprato un numero impressionante di ragazze e di donne filmando le scene. Il suo processo era stato seguito con grande interesse da tutti i concittadini che scoprirono così un aspetto orribile della vita segreta di questi funzionari che approfittavano della loro autorità per commettere le peggiori azioni.
La sua esecuzione ebbe luogo in modo discreto. Ma il Marocco ci tiene a non trasformare la epna di morte in un esercizio e uno spettacolo e ha deciso, ufficiosamente, di non metterla in pratica. Forse il re Maometto VI prenderà la decisione di abolirla quando se ne presenterà l’occasione, ben sapendo che ciò collocherà il suo paese fra quelli che credono alla giustizia. Lo Stato non deve comportarsi come colui che condanna. Deve dare invece il buon esempio. Giustiziare una persona ritenuta colpevole di un crimine non è degno di uno Stato di diritto.
I palestinesi non hanno ancora un loro Stato. Ma questa è una scusa. Ancora una volta, Mahmoud Abbas si sarebbe conquistato molte più simpatie se avesse commutato questa pena in carcere a vita. Tutto il mondo arabo ha gli occhi puntati sulla Palestina. Se essa dimostrerà di essere un’entità politica serena e tranquilla, promuovendo lo sviluppo della giustizia e del diritto, rappresenterà la possibilità di un futuro migliore per i paesi dell’intera regione.
Se invece seguirà il cattivo esempio dell’Arabia Saudita e dell’egitto, finirà inevitabilmente per deludere milioni di donne e uomini arabi che attendono dal futuro Stato palestinese ch’esso non sia soltanto diverso dai loro paesi, ma soprattutto che sia irreprensibile dal punto di vista del rispetto dei diritti umani e dell’esercizio della democrazia.
Un’esecuzione, quali che siano i suoi motivi, resta una forma di barbarie, cosa che la Palestina ha in comune con un certo George W.Bush
A differenza di Ben Jelloun il sito on line dell'UNITA' giustifica politicamente anche la pena di morte comminata dall'Anp. Che deve difendersi dai tentativi israeliani di "distruggerla".
Leggiamo, nell'articolo "Pena di morte, 58 paesi boia con in testa la Cina" del 24-06-05:
(...) Sembra un paradosso ma è così, e lascia stupiti. Nel 2005 ancora si può essere uccisi perché si fa uso di droghe oppure perché si pratica una religione "non autorizzata". Sono questi i reati che vengono maggiormente puniti con la pena di morte, oltre a quello spaventoso e strumentalizzato del terrorismo. Nei paesi governati da regimi totalitari i reati che prevedono la pena di morte sono quelli che attentano allo stato: in Cina si parla di "minacce alla sicurezza dello Stato, oppure per attività terroristiche, separatistiche o comunque estremistiche". L’Autorità nazionale palestinese invece, impegnata nella sua lotta di sopravvivenza per non essere schiacciata dal vicino e quindi in permanente stato di guerra, è prevista la morte per i "collaborazionisti" del governo di Israele.(...)
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