L'indice islamico dei film proibiti cancella "Submission" dai festival
in accordo con l'ideologia dell'Onu
Testata:
Data: 14/04/2005
Pagina: 7
Autore: Anna Momigliano
Titolo: Il Van Gogh censurato, secondo la dottrina Onu
IL RIFORMISTA di giovedì 14 aprile 2005 pubblica un articolo di Anna Momigliano sulla censura che colpisce il film "Submission", realizzato dal regista Theo Van Gogh, ucciso da un terrorista islamista proprio per tale pellicola.

Una censura ispirata a principi che la stessa Onu intende far propri.

Ecco il testo:

Quando si è presentato davanti ai giudici, ieri, Mohamed Boyeri doveva sapere che presto o tardi sarà condannato. Probabilmente era anche conscio di essere riuscito nel suo intento. Da quando, il 2 novembre, Bouyeri ha assassinato Theo Van Gogh, nessuno ha più accettato di proiettare il suo cortometraggio Submission, un pellicola-monologo che dipinge la condizione della donna nelle società islamiche. Il festival di Rotterdam, a gennaio, ha cancellato la proiezione del film; più recentemente, si era parlato di una proiezione alla rassegna cinematografica di Locarno, subito smentita dalla direttrice Irene Bignardi («non è mai stato in programma»); sempre a Locarno era prevista la proiezione di un documentario di retrospettiva sul regista scomparso, anch’esso cancellato; il produttore del film, Gijs van Vesterlaken non intende portare la pellicola alla grande distribuzione. Quella di ieri era la seconda udienza preliminare sull’omicidio Van Gogh, mentre il processo vero e proprio si svolgerà a luglio. Una prima udienza già c’era stata il 26 gennaio, ma Bouyeri scelse allora di non presentarsi in aula. Non accettò, inoltre, di sottoporsi alla perizia psichiatrica, nonostante l’unica sua possibilità di evitare il carcere consista proprio nell’invocare l’infermità mentale. Ieri il giovane olandese di origine marocchina ha fatto la sua prima apparizione pubblica dopo l’arresto: portava ancora i segni della ferita riportata durante l’inseguimento della polizia e si è rifiutato di dare spiegazioni sulle motivazioni che l’hanno spinto a uccidere il regista olandese. Anche perché le motivazioni sono già tutte esposte nella lettera di cinque pagine che l’assassino lasciò sul corpo di Van Gogh. La lettera conteneva, tra le altre cose, una condanna a morte rivolta all’autrice della sceneggiatura, in parte autobiografica, del film: la parlamentare musulmana Ayaan Hirsi Ali, che come la protagonista era stata vittima da adolescente di un matrimonio forzato, ma riuscì a fuggire. Dall’omicidio del regista, Ayaan Hirsi Ali vive sotto un programma di protezione.
Alcuni hanno definito l’affaire Van Gogh come un caso Rushdie, traslitterato dalla letteratura al mondo del cinema. La trama, in effetti, coincide: un’opera lancia un attacco frontale all’Islam (anche se l’approccio di Van Gogh è sociologico, mentre il revisionismo di Rushdie riguarda la genesi stessa del Corano e la figura di Maometto), a cui seguono reazioni indignate, poi una fatwa, minacce di morte di vario genere e, nel caso del regista, un omicidio. Quel che distingue il caso Rushdie dall’affaire Van Gogh è però la reazione da parte dell’Occidente davanti alla minaccia fondamentalista. Salman Rushdie, in altre parole, ricevette minacce, fu costretto a nascondersi, e più volte scampò ad attentati, ma non per questo le case editrici smisero di pubblicare i Versetti Satanici. Un libro facilmente reperibile, come le altre opere di Rushdie, in qualsiasi libreria italiana, tanto che dei Versetti Satanici ci sono state diverse ristampe. Submission, invece, è diventato un film di fatto invisibile. Gli addetti ai lavori si rifiutano di distribuirlo. Bouyeri è riuscito nel suo intento, mettere a tacere le voci che infastidivano la sua visione del mondo, e poco importa se questo sia avvenuto grazie all’imposizione della sha’aria o, semplicemente, «terrorizzando l’Olanda», nelle parole della pubblica accusa. Se si tratta non di censura, ma di auto-censura. L’opera di Van Gogh, mostrata un’unica volta sulla televisione pubblica olandese, rischia così di rimanere sconosciuta al grande pubblico. O, meglio, lo rischierebbe, se non fosse per la grande diffusione che Submission sta avendo su internet. Negli ultimi giorni il tam tam sulla rete ha raggiunto anche i siti italiani: è possibile vedere il cortometraggio, in formato compresso, su diversi blog nostrani. A facilitarne la diffusione, il fatto che Submission sia quasi integralmente in lingua inglese, fatta eccezione per i primi minuti che consistono in una preghiera salmodiata in arabo.
Proprio in questi giorni, intanto, la Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite approva una risoluzione che condanna la «diffamazione dell’Islam» nelle società occidentali. Gli Stati Uniti e i paesi europei hanno votato contro. In particolare, l’ambasciatore olandese Ian de Jong si è opposto alla dichiarazione perché «è un testo sbilanciato e la discriminazione religiosa non può essere riferita a un solo credo». E perché, manco a dirlo, i film sono indicati come una dei mezzi principali di questa tendenza: «l’Islam è stato soggetto a una profonda campagna di diffamazione - spiega l’ambasciatore cubano - Basta guardare i film che sono usciti negli ultimi anni a Hollywood ». E ad Amsterdam, si potrebbe aggiungere.
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