Tra gli articoli dedicati oggi alla scomparsa del Papa pubblicati su l’Unità ve ne è uno firmato da Umberto de Giovannangeli dalla "Terra Santa" in cui vengono intervistati a proposito di tale argomento il rabbino Rosen e il segretario Anp, Rahim. Mentre Rosen parla in generale del ruolo del pontefice nel corso degli anni per il riavvicinamento tra cristiani ed ebrei e tra Vaticano e Israele, Rahim non perde occasione di rilanciare l’immagine della sofferenza del popolo palestinese per rivendicare a sé l’amicizia di Giovanni Paolo II. Oltre ai muri, ai campi profughi e ai bambini palestinesi costretti a vivere dietro al filo spinato, il minestrone strappalacrime della coppia Rahim- Udg si condisce anche della questione di Gerusalemme; a detta di Rahim infatti, il pontefice aveva più volte invocato lo statuto internazionale a dispetto di chi (gli ebrei) ha "la bramosia di un possesso assoluto da parte di un'unica fede religiosa". Inutile rilevare che soltanto dal 1967, dopo la riunificazione della città, viene garantito l’accesso ai luoghi santi a tutte le confessioni. Dopo aver tanto parlato di giustizia ed uguale dignità di tutte le fedi a Gerusalemme Udg conclude l’articolo attraverso le parole di Rahim, il quale auspica di vedere un giorno la bandiera palestinese sventolare sulla Spianata delle Moschee. Un’immagine che parla da sé, nella galassia di faziosità che l’Unità propone ai propri lettori.
Ecco l'intervista a Rahim:La sua riflessione viaggia a cavallo tra ricordi personali e considerazioni generali. Il ricordo della storica visita in Terra Santa, con la visita a Betlemme e al vicino campo profughi di Dehisheh, e il costante impegno di Karol Wojtyla per una pace giusta tra israeliani e palestinesi. «Se ne è andato un grande uomo che ha lasciato la sua impronta nel mondo intero. La morte di un Papa, soprattutto di un Papa cosmopolita come è stato Giovanni Paolo II, è una perdita per l'intera umanità, per coloro che vogliono la pace e per il popolo palestinesi che lo ha sempre sentito al proprio fianco, al fianco del più debole». A parlare è Taieb Abdel Rahim, segretario generale dell'Autorità nazionale palestinese. «Giovanni Paolo II - sottolinea il dirigente palestinese - era un uomo, un leader religioso che ha dedicato la sua esistenza a costruire ponti di dialogo laddove altri erigevano Muri, non solo fisici, di diffidenza e di odio». «Karol Wojtyla sapeva ascoltare e riconoscere le ragioni dell'altro da sé».
Il mondo piange la scomparsa di Giovanni Paolo II. Cosa ha rappresentato per il popolo palestinese Giovanni PaoloII?
«Un grande uomo, un punto di riferimento anche per i non cristiani. Nei Territori, e non solo nella comunità cristiana palestinese, Giovanni Paolo II era amato e rispettato come un leader religioso attento e partecipe alle sofferenze dei più deboli. Per questo noi palestinesi lo piangiamo».
Nel guardare alla martoriata Terra Santa, Giovanni Paolo II aveva particolarmente a cuore Gerusalemme.
«Giovanni Paolo II era pienamente consapevole che una pace giusta, duratura in Medio Oriente comporta necessariamente la definizione dello status di Gerusalemme. Una definizione che doveva scaturire da un negoziato che vedesse partecipi non solo Israele e l'Anp ma anche quei soggetti internazionali, come la Santa Sede, che avevano particolarmente a cuore il problema. Da uomo di pace, Giovanni Paolo II vedeva in Gerusalemme la Città del dialogo interreligioso, una città aperta, con una sovranità condivisa da israeliani e palestinesi, ebrei, musulmani, cristiani, con i Luoghi Santi alle tre grandi religioni monoteistiche sotto giurisdizione internazionale. Non c'era in lui la bramosia di un possesso assoluto di Gerusalemme da parte di una unica fede religiosa, sognava una Gerusalemme patrimonio dell'umanità intera. Un messaggio che fu al centro della sua storica visita in Palestina».
Una visita che ebbe anche un fuori programma di cui Lei fu partecipe. Di cosa si è trattato?
«Nel programma ufficiale, Giovanni Paolo II avrebbe dovuto visitare Betlemme. Ma il Papa volle recarsi anche al campo profughi all'ingresso di Betlemme, il campo di Dehisheh. I tempi della visita erano ridotti, le misure di sicurezza rigidissime, ma il Papa insistette per poter trascorrere qualche ora tra i più deboli tra i deboli: volle incontrare i bambini di Dhehisheh, dare loro una parola di conforto, sentire dalla voce dei loro genitori storie di sofferenza e di riscatto, rendersi conto di persona di cosa significhi vivere circondati dal filo spinato. Il Papa rimase particolarmente colpito da quell'incontro e non nascose la sua commozione. Fu una esperienza umana straordinaria che avvicinò ancor di più il popolo palestinese a un uomo giusto, che sapeva parlare al cuore della gente e che non aveva mai fatto mancare il suo sostegno ai diritti legittimi dei palestinesi. Di quel viaggio ricordo anche l'incontro tra il Papa e il presidente Arafat. Fu un incontro molto cordiale, tra persone che si stimavano e che condividevano l'impegno a riportare pace e giustizia in Palestina. Giovanni Paolo II non fece mancare parole di conforto e di solidarietà al popolo palestinese in occasione della morte del presidente Arafat».
Ed ora qual è la speranza dei palestinesi?
«Karol Wojtyla ci mancherà, ma noi speriamo che il suo successore seguirà il suo cammino diffondendo la pace e l'amore fra le nazioni e sostenendo i giusti diritti di coloro che subiscono l'ingiustizia».
Gerusalemme capitale del dialogo. Il sogno di Giovanni Paolo II potrà un giorno divenire realtà?
«È la nostra speranza, il nostro obiettivo. E il giorno in cui la bandiera palestinese sventolerà sulla Spianata delle Moschee, pregheremo anche per lui, per il Papa amico del popolo palestinese.
Riportiamo anche un passo dell'articolo di Maurizio Chierici "Tutti i muri che non ha abbattuto":
I no a Wojtyla piovono anche da Israele: Gerusalemme città aperta alle tre religioni? Non se ne parla. Chiesa della natività assediata, buldozer che sbriciolano case palestinesi e quel muro - un altro muro - che Wojtyla non vuol vedere. La pioggia dei no continua.
Va da sè che di corpi israeliani sbriciolati dalle bombe umane non c'è
traccia, come pure delle condanne del terrorismo palestinese che pure il pontefice aveva pronunciato.
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