A pagina 4 dell'UNITA' di oggi 08-11-04, Umberto de Giovannangeli scrive su Yasser Arafat e sulle lotte per la successione. L'articolo si diffonde nel riportare le speculazioni senza fondamento della stampa araba circa i "sospetti di avvelenanento", smentiti non solo da Israele, che qualcuno già incolpa, ma anche dalla Francia e da esponenti palestinesi. In attesa che gli esami del sangue dicano apertamente la causa del decesso (sempre che lo si arrivi a sapere) u.d.g. avrebbe dovuto sottolineare che le voci in questione non sono minimamente credibili.
Ecco l'articolo:Dall'inviato a Kah Younis: Fino ad oggi il nome di Khan Yunis è sempre stato legato alla violenza. Le incursioni israeliane, la resistenza degli irriducibili dell'Intifada, le case rase al suolo. Dolore e rabbia. Sofferenza e morte. Ma da domani, forse, Khan Yunis entrerà nella storia per un'altra, più nobile, ragione: è qui , infatti, che potrebbe essere sepolto Abu Ammar. Visitiamo Khan Yunis in una giornata di normale tensione. Superare il valico di Eretz, posto di frontiera tra Israele e la Striscia di Gaza, dà sempre la stessa, opprimente sensazione: quella di varcare la porta dell'inferno. I controlli dei soldati israeliani si sono fatti ancora più ferrei nel timore che la morte di Yasser Arafat possa provocare tumulti e azioni di vendetta verso lo Stato ebraico. Superati a piedi i quasi cinquecento metri che separano la terra di nessuno da quella «controllata» dai palestinesi, incrociamo la prima postazione della polizia dell'Anp.
Qui il clima è di mesta attesa. Nemer, soldatino diciottenne, ha la radio accesa su La Voce della Palestina, l'emittente dell'Autorità palestinese. Trasmettono notizie sulle condizioni dell'anziano raìs: «Preghiamo - dice Nemer - per il nostro presidente. Sappiamo che senza di lui sarà tutto più difficile, ma noi non ci arrenderemo e proseguiremo la lotta in suo nome». La nostra meta si trova a quarantacinque minuti da Gaza, oltre il munitissimo posto di blocco Abu Holi, nel pieno centro di Khan Yunis. La nostra meta è un cimitero oggi quasi in rovina che potrebbe essere scelto per dare l'estremo riposo alle spoglie di Yasser Arafat.
A farci da guida è Waleed, 22 anni, originario di Khan Yunis, con un unico sogno nella vita: abbandonare la prigione di Gaza: «Qui nella Striscia - ci dice - i giovani possono solo decidere se lasciarsi morire giorno dopo giorno o sacrificarsi e diventare "shahid", martiri kamikaze». Da lontano, il cimitero al Sheikh Yussef non fa grande impressione: le sue dimensioni non superano i 150 metri quadrati e ospita una quarantina di tombe in tutto, alcune delle quali prive di indicazione. Nei vialetti polverosi, giocano dei bambini. Perché dunque dare sepoltura proprio qui al simbolo della causa palestinese? «Perché - spiega il settantenne Yihia, che vende frutta su un banchetto all'ingresso del cimitero - qui sono sepolti il padre e la madre di Yasser Arafat». Dove, esattamente?, gli chiediamo. «Non si sa con precisione. Eppure ne siamo sicuri», risponde, e non c'è motivo di dubitarne. Invece è possibile vedere la tomba di una sorella del Raìs, Inaam al-Qudwa. «Quando era libero di spostarsi ovunque - ricorda l'anziano venditore di frutta - Arafat veniva qui almeno una volta all'anno, per le feste».
Da quasi tre anni a questa parte, cioè da quando è confinato a Ramallah, non l'ha più visto. Prima di lasciare il piccolo cimitero ci fermiamo un attimo a parlare con i bambini. Nelle loro fantasie il raìs è una specie di Ufo-robot invincibile: «Abu Ammar è un eroe immortale», afferma deciso Kalil, sette anni. Khan Yunis attende il suo Saladino. Così come Gaza City. Due anni fa un'altra sorella di Arafat, Yussra al-Qudwa, è stata infatti sepolta a Gaza, nel cimitero di al Sheikh Radwan. Waleed ci accompagna anche in questa seconda visita: qui ci imbattiamo in alcuni giovani del posto impegnati a lavare due tombe: quelle dei capi di Hamas, lo sceicco Ahmed Yassin e Abdel Aziz Rantisi, uccisi sei mesi fa da razzi sparati da elicotteri israeliani. In questo cimitero si trova anche la tomba della sorella di Arafat. Accanto c'è un posto libero: nessuno sa o vuole dire a chi sia destinato. A Gaza molti pensano che il posto ideale per dare adeguata sepoltura al presidente Arafat sarebbe piuttosto il Cimitero dei martiri, che è anche quello dotato di strutture migliori. Ma ha un difetto: si trova a breve distanza dal territorio israeliano e spesso, ne siamo testimoni diretti, chi visita le tombe vede anche le vicine torrette dei carri armati di Tsahal. «È come se gli israeliani volessero controllare Abu Ammar anche da morto», osserva Waaled.
Israele prepara misure straordinarie di sicurezza per i funerali del leader palestinese, ma su dove debbano svolgersi le divisioni con la dirigenza palestinese non sono ancora superate. Esclusa decisamente la Spianata delle Moschee a Gerusalemme Est, Israele propende per la Striscia di Gaza. «La Difesa - dice a l'Unità una fonte vicina a Mofaz - ha ultimato i preparativi per i funerali a Gaza. Nel momento in cui l'Anp ci inoltrerà formale richiesta, metteremo in atto il piano». Assieme al tema dei funerali a tenere banco è uno dei tanti misteri che avvolgono l'agonia del leader palestinese: l'ipotesi dell'avvelenamento. «Fintanto che i medici francesi non si saranno pronunciati, la teoria dell'avvelenamento è destinata a crescere in continuazione», sottolinea il quotidiano al-Hayat al Jadida, espressione di Al Fatah, il movimento fondato da Arafat. E a suffragare questa tesi vi sono alcuni riscontri clinici: forte dissenteria, vomito, dolori lancinanti allo stomaco: un quadro tipico dell'intossicazione da avvelenamento che - nell'ultimo, scarno, bollettino dei medici - è stato parzialmente confermato. «Se un qualsiasi responsabile ci desse spiegazioni, o rispondesse ai nostri interrogativi, potremmo capire cosa succede, e vedere anche che cosa c'è di vero nelle voci sul possibile avvelenamento del presidente», rileva Hafez al Bargouthi, capo redattore del giornale palestinese. Già l'anno scorso si erano sparse voci analoghe, secondo le quali si sarebbe tentato di avvelenare Arafat con una stilografica manomessa da un suo collaboratore, che sarebbe stato fucilato, ricorda il quotidiano di Al Fatah: «Se fosse vero che è stato avvelenato - riflette al Bargouthi - il colpevole rimarrebbe probabilmente anonimo, perché oltre a Israele i nemici del presidente sono tanti, e molti di loro sono fra di noi». Chi non ha dubbi è Sakher Habbash, un anziano esponente di Al Fatah: «Il presidente - dice - è stato vittima di una sinistra cospirazione ordita da Israele assieme ad una "Quinta colonna" non meglio precisata». Secondo la televisione Al Arabiya, i medici francesi non sono riusciti in alcun modo a comprendere che cosa esattamente abbia provocato il crollo fisico di Arafat. Provette con alcune dosi del suo sangue sarebbero state inoltrate dalla Francia verso moderni laboratori negli Usa o in Europa. Da quelle provette ci si attende adesso la risposta a molti interrogativi. Sul «giallo dell'avvelenamento» è intervenuto anche il premier israeliano Ariel Sharon smentendo seccamente un possibile avvelenamento da parte di Israele. Commentando durante la riunione del governo ipotesi in tal senso formulate dal deputato comunista israeliano Issam Mahul, Sharon ha replicato: «Si tratta di affermazioni molto gravi che vengono riprese in tutto il mondo senza che in esse vi sia un briciolo di verità». Il dopo Arafat va invece in scena a Ramallah, dove ieri si è riunito il Consiglio di sicurezza palestinese sotto la presidenza del premier Abu Ala. Il Consiglio, indica il ministro per gli affari negoziali Saeb Erekat, ha deciso di varare un piano «per porre fine alla situazione di anarchia nei Territori palestinesi». La decisione è stata presa dopo che l'altro ieri Abu Ala - che ha ora la responsabilità dei servizi di sicurezza - ha incontrato a Gaza City i rappresentanti delle 13 fazioni palestinesi concordando con loro sul principio di una transizione senza violenza dopo il decesso di Arafat. Una transizione garantita, fino alle indizione di nuove elezioni, da una dirigenza palestinese unificata: a chiederlo, stando a una indagine demoscopica condotta dall'università An-Najah di Nablus, è l'86,2% della popolazione palestinese di Cisgiordania e Gaza. Un'indicazione che accompagnerà Abu Mazen e Abu Ala nel viaggio programmato per oggi a Parigi, al capezzale del raìs morente. «Dei contatti sono in corso per verificare che potranno vedere il presidente per sincerarsi di persona delle sue condizioni», puntualizzano fonti Anp a Ramallah. E da Parigi il ministro degli Esteri francese Michel Barnier conferma la visita dei due leader palestinesi (affiancati dal ministro degli Esteri Nabil Shaath) e sintetizza così, in una intervista alla catena televisiva Lci, le condizioni del raìs: Arafat, dice, «è vivo ed è in uno stato molto complesso, molto grave e stabile».
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