In morte di Giulio Cesare, come i giornali possono fare di un terrorista un grand'uomo
l'analisi di Federico Steinhaus
Testata:
Data: 08/11/2004
Pagina: 1
Autore: Federico Steinhaus
Titolo: In morte di Giulio Cesare
Come nella tragedia di Shakespeare, la sepoltura simbolica di Yasser Arafat
è per molti l' occasione per tesserne le lodi.
Per troppi, e troppo.
Non era pensabile, e probabilmente non sarebbe stato giusto, che i media si
astenessero dal dare grande evidenza alle reazioni emotive di un popolo che
improvvisamente viene privato dal destino del suo capo carismatico e
simbolico, di colui che ha creato dal nulla una consapevolezza ed una
identità nazionali opponendosi a quanti - in primissimo luogo i fratelli e
cugini arabi - non avrebbero mai voluto che ciò accadesse.
Ma esistono purtuttavia dei limiti imposti dalla decenza e dall' esigenza
deontologica di non travisare la storia, a meno di non essere coscientemente
deviati da essa in funzione di scelte politico-ideologiche.Questi limiti, se
esaminiamo la quasi totalità dei media cosiddetti indipendenti, sono stati
ampiamente superati, anzi ignorati.
Analizziamo in questo contesto la Repubblica di sabato 6 novembre, con
Arafat in coma non si sa di quale intensità , Suha in silenzio al suo
capezzale in attesa di staccare le macchine che lo tengono in vita, i suoi
dignitari più o meno fedeli che fanno la spola o si riuniscono per gestire
il "dopo".
Quattro pagine con articoli e servizi di Giampiero Martinotti, Leonardo
Coen, Alberto Stabile, con fotografie, riquadri che illustrano e spiegano,
una vignetta di Ellekappa.
In queste quattro pagine così dense non abbiamo trovato una sola volta la
parola "terrorista" per definire Arafat, né un cenno anche solo pudicamente
velato alle violenze che egli per quarant' anni ha fomentato nel Vicino
Oriente ed in Europa, alle sue collusioni con Brigate Rosse e Rote Armee
Fraktion, alle sue simpatie sovietiche che lo hanno sempre ispirato e
protetto, alle migliaia di civili innocenti che egli ha ordinato di
assassinare (ebrei e basta, israeliani, ed anche suoi compatrioti).
In queste quattro pagine abbiamo visto fotografie di dolore e di lutto, e ci
è mancata la fotografia - anche una sola! - di uno degli innumerevoli
attentati da lui organizzati, dei corpi straziati che i suoi uomini hanno
seminato in giro per Israele ma anche in Europa ed in Africa.
Si intervistano mediatori americani come Dennis Ross e palestinesi anonimi,
ma non una sola delle sue vittime, non uno solo dei genitori di un bambino
morto per suo ordine. Si descrive la sua agonia, si pensa al suo funerale,
ma si dimenticano il dolore, i lutti, il vuoto di affetti che portano il suo
nome come un marchio eterno.
Un anonimo cronista (Martinotti?) descrive la tragica realtà di Gaza e
ricorda che "la morte dei principali leader, dallo sceicco Yassin al
pediatra Rantissi, entrambi uccisi durante la politica degli omicidi mirati
da parte dell' esercito israeliano, ha lasciato un vuoto difficile da
colmare. Ed è per questo che, davanti a quello che tutte le 13 fazioni
definiscono un momento storico, si cerca di riannodare quel legame spezzato
da un lungo isolamento e da scelte disperate".Yassin ed il "pediatra"
Rantissi leader? Di cosa? Di una organizzazione definita da tutti come
terroristica, una banda di assassini che si propone unicamente di cancellare
Israele dalla faccia della terra! E le "fazioni", non sono in buona parte
altre bande di terroristi?Non stiamo certamente parlando delle correnti di
partito nel senso europeo del concetto, ma di chi meglio e più di altri
uccide civili! Le "scelte disperate" di Gaza, poi, vengono illustrate da
statistiche sulla miseria dei suoi abitanti, ma il nostro anonimo cronista
(Martinotti?) non si cura certamente di raffrontare l' odierna miseria con
il reddito pro capite del periodo che precedette l' esplosione di violenza 4
anni fa, e di cercarne le radici nei campi profughi che sono tali, e sono
letamai, perché così hanno voluto Arafat ed il mondo arabo allo scopo di
tenere alta l' indignazione contro Israele, che in quanto potenza occupante
tra il 1967 ed il 1978 aveva invece cercato di renderli luoghi dignitosi ed
igienici.
E che dire di Leonardo Coen, che di Gerusalemme (di Gerusalemme, si noti,
non di una parte della città) scrive che si tratta "di una capitale occupata
dal 1967"? Che Leonardo Coen abbia fatto sua la causa di Hamas e di quanti
non ammettono l' esistenza di Israele?
Le 13 "fazioni" vengono definite in un titolo "gruppi combattenti", ma poi
leggendo in un apposito riquadro la loro fisionomia scopriamo che Hamas è
una "organizzazione integralista islamica", la Jihad Islamica un "gruppo
islamico" , che Al Fatah è una "organizzazione palestinese" della quale si
tace l' esistenza del cordone ombelicale e di sottomissione politica con le
Brigate dei Martiri di Al Aqsa, e che il Fronte Popolare per la Liberazione
della Palestina che fu di Habash ha "perso importanza". Certo, di questo e
di altri si fa un breve cenno ad attentati kamikaze, ma la loro definizione
di organizzazioni terroristiche non compare in nessun luogo.
Arafat come Giulio Cesare, dunque.Ma se quel monologo fu epico ed è rimasto
impresso nella nostra memoria per il vigore e la nobiltà che lo animavano,
questi sconclusionati elogi funebri si qualificano per la squallida piatta
servile uniformità e non meritano che il nostro oblio.

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